Eli Manning con il Trofeo che premia l'MVP del Super Bowl.
Sono passati appena dodici mesi, 365 giorni, ora più, ora meno, ed ecco che la famiglia Manning torna sul tetto del mondo, aggiudicandosi Super Bowl ed annesso titolo MVP, che questa volta il giovane Eli ha strappato dalle mani dell'esperto, e pluridecorato, Tom Brady, in odore di premio dopo il drive che lo aveva condotto, con Randy Moss, a segnare il secondo touchdown della partita.
Purtroppo per il quarterback dei Patriots quella seconda meta è servita a poco o nulla, annullata e straordinariamente superata dalla grandissima conduzione del match operata dal collega dei Giants, che ha stupito spettatori televisivi, e non, con quel grandissimo ultimo drive di New York che gli ha aperto le porte del sogno; in noi tutti, è da scommettere, rimarrà ben impresso, e a lungo tempo, quel passaggio incredibile con cui Eli ha servito David Tyree nella metà campo di New England, immagine ideale per inquadrare gli splendidi playoffs giocati dal ragazzo alla quarta stagione da Ole Miss.
Il titolo di MVP vinto dal giovane Manning pare infatti meritatissimo, soprattutto pensando alle prestazioni mantenute fin dalla Wild Card, quando al termine di un'ottima partita ha estromesso Tampa Bay dalla lunga corsa verso il Super Bowl XLII; dalla Florida all'Arizona, dall'est all'ovest, in un viaggio che lo ha portato a toccare tutti e quattro i punti cardinali, con scalo al sud, Dallas, e al nord, Green Bay, prima di raggiungere Glendale, e coronare il sogno di un'intera vita, per terminare al meglio una nuova storia del grande libro del football.
Una storia composta da fatti concreti, leggende, corsi e ricorsi storici, e di comeback come in questo caso, dove per la prima volta nei cento, e più, gloriosi anni di vita, due fratelli si sono susseguiti nell'albo d'oro dei campioni, festeggiando la vittoria del Super Bowl con la conquista del premio quale Most Valuable Player dell'incontro; Peyton ed Eli, due fratelli capaci di sedersi sul trono della NFL a nemmeno un anno di distanza, il 4 Febbraio 2007 il giocatore dei Colts, ed il 3 Febbraio 2008 quello dei Giants.
Una bella vittoria, soprattutto per il più giovane, che ha sempre vissuto nell'ombra, ingombrante ed imponente, dello stellare numero 18 di Indianapolis, mietitore di record come pochi altri nella storia del football; una vittoria che sancisce una sorta di rivincita per questo brutto anatroccolo, costretto per anni a fare i conti con due pesanti eredità famigliari, quella paterna e quella fraterna, ma poi trasformatosi improvvisamente in cigno, aggrazziato nei movimenti e sfuggente, come quando è uscito dalla gabbia in cui avevano tentato di chiuderlo i Patriots su quel 3 e 8 che lo ha consegnato alla storia.
Una sola azione però non basta a creare un campione, e la nomina di Eli come MVP dell'incontro è il giusto compenso di una partita giocata con un'intelligenza tattica ed una maturità disarmanti, un match preparato ottimamente a tavolino e condotto con poca spettacolarità , ad esclusione di un magnifico passaggio, ma con tanta, tantissima, concretezza; prima dell'opera d'arte con cui il 10 dei Giants ha deliziato il nostro palato gli abbiamo visto fare di tutto, passaggi incompleti, sack subiti, palloni gettati a terra, il tutto solamente per evitare di causare turnovers, errori decisivi che potessero pesare enormemente sull'esito della sfida.
Eloquente, in tal senso, è l'incompleto intenzionale lanciato nel corso del terzo quarto, quando Eli rinuncia a cercare di servire un proprio ricevitore per non arrischiarsi nel secondo intercetto di giornata e porgere il fianco dei Giants ad un eventuale ritorno tentato dalla difesa avversaria; un segno, importante, della maturità raggiunta dal ragazzo, e soprattutto della conoscenza dei limiti, suoi e della squadra stessa.
Fattori importanti, decisivi, in un match simile ad una partita a scacchi come da anni è un Super Bowl, dove a volte la sagacia tattica aiuta di più dell'invenzione personale, anche se queste ultime, alla fine, si rivelano sempre molto importanti, come nel caso di New York, che proprio grazie alla geniale intuizione del suo stesso quarterback trova la chiave, e la giocata, per impossessarsi dell'agognato Vince Lombardi Trophy.
Il destino è un attimo, fuggente quanto quello famoso di Peter Weir, e l'appuntamento lo coglie al volo Eli, che sfugge con rapidità alla morsa della difesa dei Pats, correndo sulla destra per due, tre, forse quattro yards, prima di puntare il mirino, lo sguardo, verso la porzione di campo difesa da New England e decidere di stoppare la propria corsa, mettendo le residue speranze nelle mani di Tyree, con un bel lancio in equilibrio precario che viene ricevuto in punta di dita, e con l'aiuto del casco, dal suo stesso ricevitore; un'azione che lo consegnerà alla storia, un attimo che vale l'accesso al paradiso, di quelli che ti fanno saltare in piedi sul divano, e gridare la più classica delle esclamazioni, "Oh my God!".
La giocata che ha aperto le porte del Super Bowl ai Giants non è però forse la migliore della partita fatta da Manning junior, in tanti, soprattutto i suoi ex detrattori, evidenziano il passaggio successivo da 12 yards, nel traffico, per Steve Smith come ancora più decisiva ai fini del drive vincente, perché effettuata con timing perfetto, dopo aver sezionato accuratamente tutte le secondarie avversarie; sia come sia, entrambe i passaggi hanno preceduto, di poco, quello che ha regalato la vittoria ai newyorkesi, ovvero il TD pass da 13 yards ricevuto in endzone da Plaxico Burress.
Uno, due, tre, il tris di lanci che ha fatto scattare in piedi tutti i tifosi Giants sparsi nel mondo, il tris che è valso, meritatamente, il titolo di miglior giocatore del match a Eli Manning, protagonista inatteso, ma a lungo sperato, di una partita che ha fermato la cavalcata trionfale dei Patriots, rimasti fermi ad un passo da quella leggenda e da quei quattro titoli vinti nel nuovo secolo; un brutto scherzo ed una bella rivincita, per un ragazzo che ha stravolto tutti i pronostici di questi playoffs e di una stagione intera, rifacendosi delle infinite critiche piovutegli addosso in questi quattro anni di professionismo, nonché zittendo, a dovere, i suoi detrattori.
Eli ora può guardare tutti dall'alto, con la consapevolezza e la convinzione di essersi rivelato finalmente per quel campione tanto atteso su cui New York aveva investito parecchio in quel Madison Square Garden gremito per il draft NFL 2004, con la certezza di aver risposto come tale a tutte le opinioni contrarie spese su di lui in questi anni, non con le parole, ma con i fatti, concreti e coincisi, sul campo, come solo i grandi di questo sport sanno fare.
La gioia del ragazzo venuto dalla Louisiana, è nato a New Orleans il 3 Gennaio 1981, traspare dalle sue stesse parole, rilasciate a pochi attimi dalla festa sul terreno del University of Phoenix Stadium, a conclusione di un Super Bowl che lo ha visto eguagliare il record del leggendario Joe Montana, unico oltre a lui a segnare due touchdown nell'ultimo quarto di una finale NFL; "Felice è dir poco, sotto di quattro punti ho creduto che non ce l'avremmo più fatta, avevo sentito mio fratello Peyton poco prima del drive decisivo e mi aveva detto di pensare in positivo, di stare tranquillo che stavo disputando una buona partita e potevo farcela a condurla in porto con una vittoria. Beh, ci sono riuscito, ma davvero non ci speravo più."
Sensazioni forti, al giovane Eli, le ha lasciate anche la giocata decisiva: "Quando giochi quarterback sei in una posizione che ti permette di fare di tutto, sei li con la palla in mano ed hai tu le sorti della partita in pugno, devi pensare veloce e decidere ancora più velocemente. Ho visto che mi stavano chiudendo, mi sono divincolato dalla presa di un difensore, non ho visto bene chi fosse, ho corso prima verso una zona di campo libera, poi ho deciso di mettere in aria il pallone, per fortuna David (Tyree ndr) è riuscito a prenderlo; ho provato a passargliela appena ho visto un buco, la stessa cosa che mi è riuscita con Smith nel gioco successivo, giusto qualche secondo prima al touchdown di Plaxico; appena individui uno spazio nelle difese avversarie devi colpire, ed io così ho fatto."
La stessa contentezza traspare negli altri membri della famiglia Manning, che non fanno mancare attestati di stima al loro consanguineo; primo fra tutti il padre Archie che spende bellissime parole per il figlio appena dopo aver saputo che era stato scelto come MVP dell'incontro: "Io non avevo dubbi che i miei ragazzi diventassero dei validi atleti, o almeno ero consapevole che avevano i mumeri per giocare fino a livello collegiale, questo era previsto; certo mi avessero detto che un giorno avrei visto entrambe diventare professionisti, ed entrambe vincere un Super Bowl e annesso titolo MVP, beh, non ci avrei mai creduto; questo decisamente non era nei nostri piani. Detto questo, Eli ha giocato una partita splendida, merita quel titolo per come ha condotto la rimonta, ma soprattutto, per come ha giocato in tutto l'arco di questi playoffs."
Della stessa idea è anche il linebacker Antonio Pierce "Non posso che essere contento per Eli, ha subito sempre molte critiche, forse troppe, ed anche gratuite; vediamo se ora questi personaggi avranno il coraggio di criticare un MVP del Super Bowl, soprattutto dopo le splendide cose che ci ha fatto vedere in questa magica serata.", seguito a ruota dal compagno di squadra Shaun O'Hara, centro dei neo campioni del mondo, "Eli era solito essere comparato a Phil Simms o a suo fratello Peyton, con quello che ha fatto questa sera si è costruito un piedistallo per il quale, ora, saranno gli altri a dover essere paragonati a lui".
Un bel traguardo per un ragazzino che quando si disputavano le partite nel giardino di casa Manning era solito schierarsi proprio come centro, pronto a snappare palloni per il quarterback Peyton che cercava di raggiungere il ricevitore Cooper, fratello maggiore dei due ultimi Super Bowl MVP.