David Tyree festeggia la meta del primo vantaggio Giants nel quarto periodo. Sarà protagonista anche nel drive decisivo. Il miglior jolly pescato dal mazzo.
Il re è morto, viva il re. Iniziamo concedendo l'onore delle armi agli sconfitti, i New England Patriots, i quali abbandonano, e lo diciamo senza retorica, il Super Bowl XLII nel modo più inatteso. Il riferimento non è solo alla sconfitta, nata in una situazione in cui, è ovvio, qualunque cosa può accadere; certamente non ci aspettavamo dei Patriots fermi a 14 punti, dominati per lunghi tratti da dei Giants generosi, organizzati. Forti.
I New York Giants, proprio loro, la formazione di Eli Manning, la squadra allenata dal discusso Tom Coughlin, hanno staccato il biglietto per l'Olimpo del football, hanno vinto il Super Bowl, hanno consacrato i Road Warriors che, anche ieri, erano la squadra in trasferta anche se solo "virtualmente".
Una partita perfetta, eccezionale, guidata nell'unico modo in cui, quest'anno, sembrava possibile fermare New England. Punteggio basso, difesa solida, attacco praticamente senza errori. E' stata la partita perfetta, di nuovo senza retoriche, la gara che ha tolto ai Patriots la stagione perfetta e che ha consegnato Eli Manning alla storia togliendo dalle spalle del ragazzo ogni critica che ancora gli rimaneva appiccicata addosso.
E' stata la notte di Steve Spagnuolo, il defensive coordinator dei Giants, che ha imposto una tattica funzionale, soffrendo il prevedibile ritorno di fiamma finale degli avversari ma pescando, nella defensive line, il jolly che ha impedito a Brady di giocare la solita partita tranquilla fatta di protezione e tanti secondi a disposizione. Cinque i sack rifilati a Brady, 17-14 il risultato finale di un match che dopo l'intercetto a Manning in avvio aveva consegnato alla squadra di Boston il solito pallone ammazza partita; un pallone che Steve Smith aveva perso in redzone e che aveva fatto temere un crollo psicologico di NY e dello stesso Manning, un pallone perso che poteva pesare tantissimo nell'economia della gara.
Niente da fare, dopo il field goal di Lawrence Tynes tante occasioni per i Patriots, tanta difesa dei Giants e qualche rammarico in attacco per troppi possessi finiti in niente mentre la partita entrava nel quarto periodo sempre ferma su quel 7-3 per New England che diventava, ogni secondo in più, una sentenza.
Un Super Bowl godibile, teso, piacevole e giocato molto bene, con dei Patriots umani, forse sotto tono, certamente inferiori, questa volta, all'avversario. Niente diritto di residenza a Perfectville, niente anello record, niente più "imbattibili". L'ultimo quarto consegna alle pagine della cronaca e della storia un susseguirsi di emozioni e di giocate incredibili, con il doppio sorpasso di NY, prima capace di segnare la meta del vantaggio e poi, dopo aver subito il ritorno avversario e la segnatura di Randy Moss a 2:42 dal termine, in grado di uscire dalle sabbie mobili imbastendo un drive perfetto e segnando, a una manciata di secondi dalla fine, il touchdown che ha chiuso l'incontro.
E' stata la gara di un Justin Tuck onnipresente per tre quarti di gioco, di un Michael Strahan da applausi e di tutto un reparto arretrato presentatosi in gran lustro. Ma negli occhi rimane quell'ultimo, incredibile drive offensivo di Manning, capace di convertire due terzi down e un quarto e di pescare, dopo una giocata da autentico fuoriclasse che gli aveva permesso di sgusciare via da un sack già confezionato dagli avversari, David Tyree per 32 yard.
Tyree, sì: non Amani Toomer, non Plaxico Burress, non Brandon Jacobs. Tyree, con 3 ricezioni e 42 yard, un touchdown e una palla presa con forza e abilità nel mezzo, braccato da due avversari, in territorio rivale: è lui l'uomo in più. Il pallone che cambia il finale della gara, un pallone che, in mille altre situazioni, il gregario di Tom Coughlin avrebbe mollato senza troppe recriminazioni e che, invece, ha tenuto incollato alle mani, tra il casco e il terreno, chiudendo un down senza più ritorno. Il finale, scritto a settembre e che i newyorkesi hanno respinto con forza decidendo il momento migliore per prepararne un altro, è cambiato lì, quando la penna degli sceneggiatori ha deciso che Manning sarebbe sopravvissuto a un sack e che Tyree avrebbe tenuto quel pallone a costo della propria vita. Il finale è anche quello di un fratello minore che diventa finalmente un campione, si porta a casa il titolo di MVP (meritatissimo) della partita e firma il capolavoro di famiglia, come Peyton un anno fa, meglio di Peyton un anno fa.
Una vittoria che chiude una stagione di alti e bassi, stagione che in dicembre vedeva persino in dubbio la presenza dei Giants ai playoff, giunti nell'ultimo mese in difficoltà , con poche idee, poco gioco e tante critiche da sopportare ogni settimana. Per gli allenatori, per i giocatori, per lui, Manning, criticato spesso anche dall'ex compagno Tiki Barber, fenomenale runningback che il suo Super Bowl, nel 2000, lo ha perso e, stanotte, si è sorbito la peggiore delle rivincite di una ex squadra. Una vittoria giunta inaspettatamente quando tu hai già deciso di dire basta.
Finisce così la stagione 2007, la favola si compie e la Nfl riesce, di nuovo, a non regalare finali scontati, ovvi, scritti con troppo anticipo. La storia ci dirà che NY ha effettuato una delle più grandi imprese di sempre e che, come negli anni 30, ha fermato una perfect season che sembrava ormai destinata a compiersi. Dei Patriots ammireremo la stagione, uno standard di gioco tra i più vicini alla perfezione, ma con un buco nel finale che vale più di qualsiasi altra favola da raccontare. Quando si entra nella storia dalla parte sbagliata, il futuro resta incerto, perché precipitare da quell'altezza non può che lasciare grossi lividi in tutto il corpo. Ferite dure a rimarginarsi. Chi, invece, ha inchiodato una città davanti a maxi-schermi, intasando traffico e pub, oggi non pensa al futuro. Ma ad un anello, vinto con il coraggio, la forza e la mente di un grandissimo defensive coordinator che, dai suoi uomini, ha ricevuto in cambio le giocate migliori che si possano pretendere in situazioni come questa. Una storia che, anche a settembre, a New York staranno ancora raccontando, perché hanno battuto Boston. Perché hanno vinto contro gli “imbattibili”. Perché c'è un anello da onorare. Oggi e per sempre.