Bill Belichick risponde alla stampa. Siamo già in clima Super Bowl.
Siamo vicini a The Big One, manca poco e l'emozione sale di giorno in giorno. No, non fatevi prendere dallo sconforto di un risultato che forse si conosce già dato il tipo di onnipotenza proposta da una delle due partecipanti, questo è un evento che accade una volta l'anno, la partita in se stessa può capitare sia a senso unico, ma le attese che si creano attorno all'evento sono sempre enormi, pazienza se i New York Giants partono già sconfitti. Lo spettacolo sta per cominciare.
Il Super Bowl vive di molte tradizioni che hanno luogo prima del suo kickoff: tra queste, l'immancabile curiosità da parte della stampa americana di analizzare al microscopio gli avvenimenti che accadono giorno dopo giorno, partendo dai primi allenamenti di preparazione e passando per il viaggio delle due squadre verso il luogo di disputa dell'avvenimento, osservando come viene preparato il campo, immaginando come sarà esso con le scritte giganti "Patriots" e "Giants" all'interno delle due endzone, interpellando i protagonisti circa sentimenti, previsioni, prospettive di gioco, schemi, e quant'altro.
Il Super Bowl è la partita per definizione, quella con la P maiuscola, e per questo facciamo un immaginifico salto al di là dell'oceano, e vediamo che cosa sta succedendo man mano che la tensione sale, fingendo di essere negli Stati Uniti e di trovarsi in qualche locale attorniati dalla tranquillità , leggendosi un quotidiano sportivo qualunque.
The boot
Non si poteva che cominciare da qui. La saga del boot, leggasi strumento di protezione per arti infortunati, ha tenuto banco per tutta la settimana, e la caviglia di Tom Brady, laddove tale boot è stato applicato, possiede oramai una telecamera tutta per sé che la segue da mattino a sera.
Niente paura, se avete pensato anche solo per un nanosecondo che Brady poteva non essere della partita vi siete sbagliati alla grande. Fosse anche con una gamba sola, giocherà .
Certo, il problema esiste, perché tale caviglia aveva impedito all'Mvp della lega di scendere in campo per gli allenamenti lasciando che parte della preparazione tattica venisse svolta senza il suo aiuto, ma una volta atterrati in Arizona i Patriots hanno ripreso gli allenamenti con il loro campione esattamente al suo posto, protetto stavolta da numerosi giri di tape, quel nastro che più lo avvolgi e più ti lega assieme molteplici parti del corpo strette strette, di modo da non sentire male eseguendo una qualsiasi torsione.
Il noto Boston Herald riporta che Brady, nella giornata di lunedì, ha effettuato ogni singolo esercizio previsto dall'allenamento pur zoppicando ancora un po', ma il suo status non è (e per noi non è mai stato) in discussione. Bill Belichick ha liquidato i giornalisti riferendo che tutti si sono allenati regolarmente, e che mercoledì discuterà l'eventuale rapportino degli infortunati come consuetudine vuole.
Dirrrty
La classica battaglia di parole che si antepone a quella sul campo è in atto anche stavolta, evidentemente non ci si può scappare.
Osi Umenyora, defensive end dei Giants, ha pesantemente criticato Matt Light, offensive tackle avversario, definendolo un dirty player, ricordando alcuni episodi occorsi nel precedente scontro tra le due compagini, che aveva avuto luogo nell'ultima settimana di regular season.
Molti giornali hanno infatti riportato la trascrizione di una parte dell'intervista rilasciata da Umenyora a Bob Costas, in qualità di ospite della trasmissione della HBO da quest'ultimo condotta: "Contro Light è stata una guerra vera e propria", ha sostenuto Osi, "Ci siamo scambiati dei colpi e lui mi ha detto delle cose avendo la convinzione che non mi avrebbe più rivisto in stagione. Sfortunatamente per lui, non sarà così."
Invitato ad approfondire l'argomento, il defensive end ha spiegato che Light gli avrebbe assestato un paio di colpetti proibiti in luoghi non ripetibili davanti alla stampa, lasciandosi quindi andare a qualche frase poco conveniente ed altrettanto non quotabile in pubblico. "Non definirei i Patriots una squadra sporca", ha concluso Umenyora, "Non mi permetterei di dire una cosa che non posso provare. Qualcuno di loro, però, sicuramente gioca sporco."
Light, portato opportunamente a conoscenza del fatto, non ha tardato a rispondere. "Chiedete a qualsiasi difensore che io abbia affrontato, non sono un tipo che fa queste cose. Dai tempi della high school non ho mai parlato con alcun avversario, io sono uno che gioca duro e per fare questo devo necessariamente rifiatare tra uno snap e l'altro. Non sprecherei il mio fiato per parlare sporco a qualcuno."
Se dunque cercavate il classico scazzo stile Joey Porter/Jerramy Stevens, eccovi accontentati. Come al solito, una porzione della partita è cominciata con qualche giorno di anticipo.
Remembering the past
Era il 1985, Lawrence Taylor era un rookie e Bill Belichick era l'allenatore dei linebackers dei Giants sotto le direttive di Bill Parcells, allora defensive coordinator.
Il New York Times ricorda, in un articolo di ieri, un po' del passato trascorso da coach cappuccetto sulla sideline dei Big Blue, per i quali ha rivestito diversi incarichi difensivi dal 1979 al 1990, portandosi a casa due anelli di campione del mondo.
L'articolo si sofferma per qualche riga sulla stagione '89, quando Belichick era stato investito del ruolo di allenare le secondarie, incrociando spesso lo sguardo con colui che nel medesimo momento era il coach dei ricevitori. Se state pensando a chi mai potesse essere questo personaggio misterioso ed avete risposto Tom Coughlin, avete indovinato.
Durante la lettura emerge inaspettatamente il lato debole di Belichick, altrimenti sempre impegnato a dare una risposta secca con grugno abbinato in direzione di qualunque giornalista che non sia Armen Keteyan.
"Quando mi congratulai con John Mara in occasione del nostro ultimo incontro, gli dissi che speravo ci fossimo rivisti al Super Bowl. Ripensandoci, ora preferirei non fosse così. Quando vado al Giants Stadium mi viene spontaneo entrare nello spogliatoio di sinistra, lo stesso che ho frequentato per tanti anni. E' una sensazione strana uscire dal campo, attraversare la rampa che porta al tunnel e quindi girare a destra. Ho girato dall'altra parte per così tanto tempo"avrò sempre un bel ricordo dei miei anni a New York, là ho lavorato con tante persone speciali e sono maturato come persona e come allenatore."
Abbiamo la netta sensazione che, per una notte, i ricordi di Belichick saranno adeguatamente riposti in un cassetto, per poi tornare fuori solamente a perfect season compiuta. Auguri, New York.
First timer
Eli Manning non si è potuto ovviamente risparmiare dalle luci della ribalta, in quella che è stata la sua prima partecipazione ad un media day in ottica Super Bowl.
Sorridente al limite dello sforzo, come consigliatogli da mamma via sms, Eli si è trovato dinanzi alla cosa più antipatica del mondo per uno della sua indole, ovvero parlare dagli affari propri davanti a dei perfetti sconosciuti, non il massimo per uno che preferisce la riservatezza all'occhio di bue del palcoscenico, sempre intento a studiare il playbook schiacciato su una sedia piuttosto che scherzare con i compagni.
Si è parlato di molte cose, alcune delle quali già trite e ritrite durante i playoffs, ma pazienza, di qualcosa bisogna pur sempre parlare: ed ecco ritornare quesiti sulla scelta del college (Ole Miss, lo stesso di papà Archie), che al tempo innescò un meccanismo di comparazioni mai terminato, della sua apparente non voglia di essere un leader vocale, del record in trasferta dei Giants, ed immancabilmente del doppio upset contro Dallas e Green Bay, motivo principe per il quale non conviene dare per morta New York prima del necessario, e parziale risposta alla domanda che ogni giornalista si sta ponendo in questo momento: "Is Eli ready to play in the Big One?"
Tuttavia, ed era presumibile, Eli non ha avuto nemmeno un quarto delle attenzioni posatesi sul golden boy Tom Brady (che tra l'altro, ha pure ricevuto una proposta di matrimonio da una reporter), figuriamoci rispetto a quelle che aveva avuto Peyton a Miami un anno fa. Meglio così, per lui, che ha avuto modo di non trovarsi troppo a disagio pur faticando a celare la sua innata timidezza, riuscendo comunque a far emergere particolari divertenti sul suo passato in famiglia. Ha raccontato ad esempio che l'eccessiva distanza di età con i due fratelli maggiori gli impediva di partecipare alle partite casalinghe che si tenevano in giardino "anche se ogni tanto mi facevano giocare, sicuramente perché avevano paura che se avessero rifiutato li avrei asfaltati entrambi", scherzando persino sulle misere dimensioni dello spazio assegnatogli per le interviste, mettendo in riga gli ascoltatori con un "In fondo sono sempre il fratello piccolo di Peyton, no?".
Curioso guardare al rendimento di Eli Manning in seguito all'infortunio di Jeremy Shockey, che se ne sta a Miami (come di consueto) a recuperare e partirà a breve per il deserto per dare sostegno ai compagni. Il buon Jeremy, dalla Florida, ha giurato ai cronisti di non voler essere una distrazione per la sua squadra, e che quindi non si farà vedere in loco nei giorni precedenti al Super Bowl. Senza le sue pressioni psicologiche Manning ha sfoderato le prestazioni che gli si richiedevano da tempo. E se Shockey stesse a casa pure per il Super Bowl?
Chiudiamo con il risultato del Super Bowl XLII, che sarà di 23-17 per i New York Giants. Come?
Ebbene la cosa è stata resa pubblica da Plaxico Burress, improvvisatosi veggente durante il raduno di squadra prima della partenza per l'Arizona ed interrogato in merito dal New York Post, che aveva chiesto ad un po' di giocatori se erano pronti a riscrivere la storia.
"Beh, la sua sfera di cristallo dev'essere difettosa" ha detto Richard Seymour, ricordando con tutta probabilità la vittoria che Anthony Smith, defensive back degli Steelers aveva garantito in regular season contro i Patriots fallendo miseramente.
Intanto l'attesa per domenica cresce, i giocatori si preparano a vivere un sogno per pochi eletti, consci che difficilmente ci sarà un'altra occasione di viverlo. L'unicità dell'avvenimento è data anche da queste piccole cose raccontate dai protagonisti man mano che il Super Bowl week avanza, nonché dalle piccole curiosità che si scoprono di continuo, manco fossero un rubinetto impossibile da chiudere, come la storia di Jeff Feagles, punter che in questi stadi gioca dal 1988 e che mai era arrivato così in là in una stagione.
Ed ora, che il campo dia la sua sentenza.