NFC Divisional Playoffs Recap

Brett Favre esulta nella neve del suo Lambeau Field.

Il destino sa essere beffardo come pochissime altre cose. Ma sa pure essere benevolo, non nei confronti di tutti, ma sa esserlo.
Tra una settimana, quando si giocherà  il Championship della Nfc, Brett Favre, tornato ad essere l'uomo dei miracoli, non solo avrà  l'occasione di disputare tale evento per la prima volta dopo un decennio, ma avrà  l'onore di potersi giocare il suo ultimo accesso di carriera al Super Bowl davanti al pubblico amico, questo per cortesia dell'unico Manning sopravvissuto al weekend di Divisional Playoffs. Unica annotazione: per una volta non si tratta di Peyton, bensì del criticato Eli, che assieme ai suoi compagni ha giocato un pessimo scherzo ai Dallas Cowboys andando a vincere in Texas.

Vediamo com'è andata.

Let it snow, let it snow"

Brett Favre, Lambeau Field, e neve a volontà : chi può sperare di farla franca con tali presupposti?

Non certo i Seattle Seahawks, o meglio la brutta copia che si è sostituita a loro nel viaggio a Green Bay, data per dispersa sotto le voraci nevi del Wisconsin, sotterrata da una delle migliori prestazioni di carriera di Brett Favre nei playoffs, da un running back in cerca di redenzione e da una squadra convinta più che mai a non lasciarsi abbattere da un inizio più burrascoso della nevicata che ha presto ricoperto il mitico stadio dei Packers durante questa dominante dimostrazione di forza, soprattutto psicologica.

Il manto bianco di Green Bay, scenario già  pesante di per sé ed in grado di estromettere un qualsiasi avversario da solo, è stato il curioso teatro della caduta e della svelta resurrezione dei propri idoli, soprattutto di un Ryan Grant (27, 201, 3 TD) capace di sgretolare il maggior numero di yards corse da un giocatore in maglia verde in singola partita di postseason, arrivando da una situazione potenzialmente disastrosa che rischiava di compromettere non solo una stagione gloriosa ed inaspettatamente positiva, ma pure di terminare nel peggiore dei modi una delle più belle storie dell'anno, quella di Brett Favre.

I Packers sono risultati più forti di quanto siano mai sembrati in stagione al di là  delle 13 vittorie, si sono comportati da squadra compatta, da spietati trita-avversari capaci di compiacersi maggiormente dei danni inflitti se in condizioni climatiche particolari ("Volevo giocare fino a non vederci più nulla, volevo che le cose peggiorassero sempre più" dirà  Favre alla stampa).
Sembravano invischiati nel peggiore degli scenari che una partita casalinga di playoffs attesa da molto tempo potesse presentare, nel giro di due possessi Ryan Grant era costato 14 punti che i Seahawks si erano ritrovati piacevolmente tra le mani ed apparentemente gettato all'aria un training camp, 16 partite di lotta e sudore, ed un record che da queste parti non vedevano da parecchio tempo.

In una situazione simile, in passato, Brett Favre si sarebbe fatto domare dal suo istinto competitivo.

Con tutta probabilità  avrebbe cominciato a forzare in profondità  accumulando intercetti, ed un'altra delle cocenti e precoci eliminazioni dalla corsa al Super Bowl da parte dei Packers. Invece, tutti sono rimasti calmi e sicuri delle loro possibilità . E Ryan Grant, il cui sguardo era davvero perso nel vuoto nelle impietose inquadrature della Fox, si apprestava a fare danni incalcolabili.

Le luci di Seattle si sono spente dopo aver capitalizzato ambedue i fumbles perduti da Grant con il massimo risultato possibile, due mete a firma dello spento Shaun Alexander e del fiero Bobby Engram, dopodichè il buio più totale. Chi aveva acceso il televisore in ritardo ed aveva visto Green Bay sotto di 14 punti in pochi istanti e si era chiesto che cosa mai fosse successo, non ha dovuto aspettare troppo per sapere la risposta, rendendosi conto da sé che per i Packers non era successo davvero nulla.
La reazione è stata brutale: l'entusiasmante primo quarto si è chiuso non prima di vedere Favre dirigere i due drives della veloce parità , contraddistinti dal primo di due TD pass scagliati verso l'ottimo Greg Jennings (6, 71, 2 TD) nonché dalla prima di tre cavalcate in endzone da parte del giocatore che nella seconda parte della stagione aveva ridato un gioco di corse degno all'attacco, quello stesso Grant il cui sguardo, ora, era molto più determinato rispetto alle precedenti inquadrature.

Una volta riacciuffata la situazione, il rullo chiamato Green Bay non ha più smesso di segnare, e Favre (18/23, 173, 3 TD) non ha più smesso di trovare ricevitori smarcati: 14 punti nel secondo quarto, e 7 per ciascuno dei due quarti rimanenti, diventati addirittura superflui da giocare, il tutto mentre la difesa, ora non più chiamata ad entrare a freddo (eufemistico, si sa) per difendere le ultime 20 yards con le spalle al muro, colpiva duro recuperando un pallone grazie ad Atari Bigby, autore di una partita maiuscola, e chiudeva il cuore dell'azione facendo rinunciare i Seahawks ad un debole gioco di corse, continuando la crisi senza fine di Shaun Alexander (9, 20, TD) e riducendo il suo ottimo backup Maurice Morris a tre sole comparsate in campo per uno yardaggio addirittura negativo.
Che fosse una serata magica lo si è intuito quando Favre, evitando un sack e cercando di salvarsi la pelle, riusciva persino a completare un "sottomano" per il tight end Donald Lee in una delle giocate più belle della gara, compiendo ancora una volta un gesto che, per giunta fuori equilibrio, non dovrebbe essere concesso ad un nonnetto come lui.

Ma lui un nonnetto non è e nemmeno si sente, specialmente quando poi lo si vede prendere Donald Driver a pallate di neve. Dentro, è ancora un ragazzino con un sogno che ha già  realizzato, ma che vorrebbe assaporare per un'ultima volta, poco importa se a pagarne le conseguenze sia stato ancora Mike Holmgren, la stessa persona che con lui aveva sollevato il Vince Lombardi Trophy nel gennaio del '97.
Tra le tante fortune, Brett ha tra l'altro evitato di dover passare dal Texas Stadium, luogo assolutamente indigesto visti i suoi numeri in loco. Solamente un semplice segno del destino? Ne sapremo di più domenica prossima.

A Giant upset

Mai, nella storia della postseason del nuovo formato, quindi dal 1990 fino a ieri notte, la squadra che deteneva il seed numero 1 aveva perso nei Divisional Playoffs della Nfc. Dallas poteva diventare la 18ma squadra consecutiva a mantenere in piedi la tradizione vincente, non fosse stato per i diversi programmi che i Giants, arrivando in Texas, avevano preparato.

Quella disputatasi nella serata di ieri era la terza partita stagionale tra le due rivali, New York arrivava da una striscia sorprendente di vittorie consecutive i trasferta, otto, e l'ultimo posto dove avevano perduto lontano dal Giants Stadium era proprio Dallas. Era il primo Sunday Night del campionato, che si chiuse sul 45-35 per i Cowboys dopo una gara spettacolare di ambedue le franchigie.
Facile, in qualsiasi disciplina di squadra, che con il passare delle settimane alcuni presupposti mutino, l'amalgama tra i giocatori aumenta, la padronanza degli schemi è collaudata e le compagini che appartengono alla medesima division sono già  state affrontate due volte, agevolando (se così si può dire) l'immenso lavoro di preparazione tattica che precede una partita di football americano.

Ben diverse le chiavi di lettura di questo showdown post-stagionale, e ben diverso l'atteggiamento portato in campo dai due quarterbacks: ad Eli Manning si chiedeva di limitare i propri errori per la seconda settimana consecutiva, ed il compito è stato eseguito alla lettera (12/18, 163, 2 TD), a Tony Romo si chiedeva invece di mantenere intatta l'esplosività  di un attacco potente, che ritrovava Terrell Owens e Terry Glenn dopo i rispettivi recuperi dagli infortuni. I problemi dei Cowboys sono nati proprio da qui, con responsabilità  da dispensare sia a Romo che al reparto che lui stesso aveva diretto con padronanza ed intelligente uso del cronometro, colpevole di disattenzioni negli schieramenti della linea e colpevole di qualche drop suicida.

La gara, molto equilibrata, era stata impostata da Dallas sul possesso del pallone, ed un primo tempo sostanzialmente perfetto aveva portato in endzone i padroni di casa per due volte, dopo lunghe ed estenuanti serie di 90 e 96 yards che avevano continuamente frustrato la difesa avversaria. Il contributo di Marion Barber III (27, 129, TD), finalmente schierato da titolare al posto di Julius Jones, era stato fondamentale e si era avvicinato alle 100 yards nei soli primi due quarti grazie alla visione di campo ed ai cambi di direzione in possesso del running back, sempre abbinati alla notevole potenza fisica che aveva fatto la differenza soprattutto nei guadagni sui primi downs.
Se offensivamente questo primo tempo era stato impeccabile, altrettanto non si poteva sostenere per la difesa: il primo touchdown dei Giants nasceva da un placcaggio mancato principalmente da Anthony Henry, il quale liberava l'ottimo Amani Toomer (4, 80, 2 TD) per uno sprint vincente di 52 yards, mentre il drive del pareggio a quota 14 veniva stato alimentato da un'evitabile penalità  di Jacques Reeves, permettendo a New York di percorrere 70 yards in 46 secondi, nonostante le operazioni fossero notevolmente affrettate dall'incombente intervallo.

Decisivo, in negativo, il cambio di tendenza avuto dai Cowboys nella ripresa, quando la difesa aveva cominciato a fare le giocate che contavano, seppure senza riuscire a provocare turnovers, e l'attacco arrancava, penalizzato da cattive decisioni di Romo e da frustranti penalità  della linea offensiva.
Il vantaggio definitivo dei Giants era arrivato in conseguenza ad un ottimo punt return di R.W. McQuarters, che aveva permesso ad Eli Manning di dirigere un drive veloce ed efficace culminato con la segnatura del forte Brandon Jacobs (14, 54, TD), in seguito alla quale al difesa texana aveva reagito erigendo un vero e proprio muro costringendo New York a due fugaci apparizioni offensive senza possibilità  di chiudere la partita, regalando ben due possibilità  di vittoria al proprio attacco.

Sotto di quattro lunghezze e dunque costretto a segnare una meta, l'attacco dei Cowboys ha mostrato i suoi limiti nel momento peggiore: Romo si era mangiato un paio di downs intestardendosi nel voler fare la giocata ad ogni costo anziché liberarsi del pallone sotto pressione, gli scambi con il centro Andre Gurode erano tardivi e mandavano fuori tempo la sincronia generale, ed i lanci in profondità , scagliati sperando in Owens e Crayton, non avevano il timing giusto, terminando o troppo lunghi o troppo corti rispetto alle tracce percorse.
Nemmeno quando sembrava che Romo avesse trovato un modo per vincere, creando dal nulla uno shovel pass per un importantissimo primo down, le cose andavano meglio, merito dell'aggressività  della oramai nota difesa di Steve Spagnuolo, capace di mandare in blitz con estremo successo sia linebackers che defensive backs, difesa che ha sigillato un quarto periodo palpitante con l'intercetto in endzone di McQuarters nell'ultimo disperato assalto di Dallas, sancendo il primo viaggio al Championship dei Giants dal 2000.

D'un tratto si spegne il sorriso di un Tony Romo apparentemente in controllo di qualsiasi situazione ed emozione, ed il 13-3 di una fantastica regular season perde qualsiasi significato. Wade Phillips rimane senza vittorie nei playoffs in carriera (0-4) e dovrà  fare i conti con una lunga offseason, che probabilmente gli porterà  via un paio di assistenti chiaramente pronti per un posto di head coach altrove, e che gli porterà  le pressioni che solo un esoso proprietario come Jerry Jones può portare.
Il tutto mentre Eli Manning, sotto quella faccetta priva di espressioni, se la starà  ridendo ovunque egli si trovi, perché la sua missione di distaccamento dai continui accostamenti a Peyton e dalle enormi pesantezze del mercato newyorkese sta procedendo per il verso giusto.

I Giants verranno ricordati per essere stata la squadra che più delle altre aveva minacciato i perfetti Patriots. Qualora vincano anche domenica prossima, potrebbero essere chiamati a riprovarci di nuovo.

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