Nfc Wild Card recap

Eli Manning ha finalmente vinto la prima partita di playoffs della sua giovane carriera.

Terminato il primo weekend di postseason sono arrivate le prime due sentenze, la Nfc si prepara a vivere l'atteso round di Divisional Playoffs, quello dove tradizionalmente entrano in gioco i pesi massimi, e le due migliori squadre del raggruppamento, Dallas e Green Bay, hanno seguito con trepidazione i match al fine di scoprire chi avrebbero fronteggiato tra pochi giorni.

Per la seconda volta in tre anni la stagione dei Washington Redskins è finita al Qwest Field, casa del dodicesimo uomo più famoso della Nfl e dei Seattle Seahawks, in quella che prometteva essere la partita sulla carta più equilibrata del turno, e tale si è rivelata nonostante le dimensioni stucchevoli del punteggio finale: lotta poco spettacolare, dominata dalle due difese, giunta alla resa dei conti dell'ultimo periodo premiando chi era riuscito a commettere meno errori.

Suonava come un affare per una squadra priva del miglior rendimento dei suoi giocatori offensivi più in vista, Shaun Alexander e Matt Hasselbeck: il running back (15, 46) ha confermato, dopo un mini-exploit iniziale, di vagare continuamente nelle difficoltà  che l'hanno accompagnato per tutto l'anno e di essere estraneo alla nuova filosofia offensiva, mentre il navigato regista (20/32, 229, TD, 2 INT), non è riuscito a lanciare con la consueta efficienza, la stessa che tante volte aveva salvato i Seahawks dalla pericolosa assenza di un gioco di corse credibile, rischiando di decidere la gara in negativo con un paio di turnovers di troppo.
La partita, seppure priva di quelle giocate che fanno schizzare dal divano eccezion fatta per una ricezione ad una mano di Chris Cooley, è stata emotivamente intensa e mutevole nei suoi possibili scenari, i Redskins del primo tempo sembravano una copia esatta della squadra del tutto inoffensiva che aveva vinto la Wild Card del 2005/2006 a Tampa esclusivamente grazie ai big plays della difesa e quel poco i Seahawks erano inizialmente riusciti a produrre, una meta di Leonard Weaver ed un field goal di 50 yards di Josh Brown, sembrava del tutto sufficiente a garantire il passaggio del turno.

Merito anche della straordinaria prima frazione di Patrick Kerney, autentico terrorizzatore di quarterback con licenza per decapitare, il quale ha messo a soqquadro praticamente da solo la debole parte destra della linea offensiva pellerossa, laddove il rookie Stephon Heyer chiamava continuamente aiuto finendo per essere ascoltato solamente più in là  nella gara; merito pure dei preziosi istinti di Julian Peterson, sempre presente nel chiudere ogni spazio creato a fatica dal fronte avversario e bravo a neutralizzare sul nascere la maggior parte dei tentativi dell'impaziente Clinton Portis, limitato a 20 portate per 52 yards e lontano dall'incisività  che lo aveva contraddistinto nelle quattro vittorie consecutive che avevano traghettato Washington agli insperati playoffs. Merito infine dei restanti due linebackers, Lofa Tatupu e Leroy Hill, autori di importanti giocate nel backfield e responsabili di molte azioni a yardaggio negativo, nonché di una secondaria perennemente incollata ai propri ricevitori.

La partita, chiusa da Seattle senza subire punti nei primi trenta minuti, evento inedito in postseason per Joe Gibbs, si è curiosamente decisa a favore dei padroni di casa proprio nel miglior momento espresso dai Redskins, coinciso con due intercetti dell'encomiabile LaRon Landry ed un errore di valutazione di Nate Burleson in occasione di un punt return, evento che più degli altri sembrava aver fatto scivolare di mano la situazione al team di Mike Holmgren.
Incredibilmente sotto di un punto nel giro di due minuti (reminiscenze di un Dallas-Washington di due anni fa) grazie alle mete di Santana Moss ed Antwaan Randle-El, tuttavia con danni sensibilmente limitati dal fondamentale errore di Shaun Suisham da una trentina di yards, Matt Hasselbeck ha sfornato il miglior drive della giornata nella situazione psicologica più difficoltosa, sostenuto dalle giocate del 34enne Bobby Engram e dalle ricezioni puntuali dello stesso Burleson, terminando la serie con un touchdown di D.J.Hackett (6, 101, TD) con tanto di conversione da due per il tight end Marcus Pollard.

Sotto di 8 punti e quindi in partita, le forzature ordinate a Todd Collins (29/50, 266, 2 TD, 2 INT) attraverso discutibili chiamate dall'alto si sono trasformate istantaneamente in punti subiti grazie alle imprese di Marcus Trufant e Jonathan Babineaux, lesti ed atletici nel ritornare in meta ambedue i rispettivi intercetti arrotondando un 35-14 forse troppo pesante, aprendo le porte del Wisconsin ad un Matt Hasselbeck desideroso di vendicare quella maledetta Wild Card di qualche tempo fa.
"Scegliamo la palla e andiamo a segnare" aveva detto Matt durante il coin toss di quella famosa partita. L'ha ripetuto in conferenza stampa sabato scorso, strappando sorrisi a tutti i giornalisti presenti. Favre prende atto ed attende nel gelo del Lambeau Field.

Passando invece alla partita domenicale, giocata sotto l'invidiabile ed umida temperatura estiva di Tampa, è stata grande la delusione patita dai Buccaneers, arrivati nei playoffs quali trionfanti vincitori della Nfc South ma sistemati a dovere dai fieri New York Giants, che non sembrano smettere di riuscire a vincere in trasferta.
Chi, tra i tifosi dei Big Blue, aveva desiderato la tardivafioritura di Eli Manning (20/27, 185, 2 TD, 1-2 nei playoffs) ha vissuto una giornata esaltante, chi piuttosto gli dava contro è stato zittito dall'attesa prova da leader da parte di un ragazzo che sta lentamente riuscendo a discostarsi dalle intriganti ombre che lo perseguitano, un ragazzo che talvolta riesce a farsi sentire padrone della situazione senza necessariamente abbaiare ordini qua e là . Per vincere Eli non doveva commettere errori ed ha finito per non sbagliare nulla.

L'intercambiabilità  degli elementi e l'impegno comune sono stati la chiave di volta per New York, che ha messo in campo un attacco variegato e capace di colpire in diverse maniere, che ha frustrato la difesa avversaria ottenendo diversi primi downs appena dopo la catena delle 10 yards.
Senza Shockey e con un Burress perennemente limitato dalle caviglie, gli eccellenti schemi studiati da Kevin Gilbride sono stati eseguiti con dovizia ed hanno fruttato i risultati sperati, gli stessi che stavano per trasformare i Giants nell'unica squadra in grado di battere New England.
La difesa avversaria ha faticato nell'adattarsi ai continui cambiamenti apportati dagli schieramenti, dovendosi prima occupare dell'implacabile Brandon Jacobs, entrato per due volte in endzone dopo un inizio stentato, e quindi di un secondo tempo tutto targato Ahmad Bradshaw (17, 66), una delle tante piacevoli sorprese sfornate dal backfield di New York in sostituzione di Tiki Barber.
Ma è stata anche (e forse soprattutto) la partita di Amani Toomer (7, 74, TD), sempre meno considerato ad ogni candelina che aggiunge alla sua carta d'identità  ma valvola di sicurezza di valore inestimabile per il suo quarterback, nonché del redivivo Steve Smith, perennemente acciaccato ma pronto per il debutto nei playoffs con 3 ricezioni per 9.7 yards di guadagno di media.

Al tutto ha contribuito la solita difesa di Steve Spagnuolo, la più grande differenza tra i vecchi ed i nuovi Giants, la quale non ha smesso di mettere pressione su Jeff Garcia (straordinario, in tal senso, Michael Strahan) senza porsi troppi problemi nell'assestargli qualche bel colpo ed ha mostrato efficacia nelle secondarie, brave a cancellare le tracce dei ricevitori escludendo la mobilità  del quarterback e decisive in alcuni interventi in anticipo sui palloni aerei.
Da qui è nata una delle giocate decisive, un intercetto preso in endzone da Corey Webster su un lancio evitabile di Garcia (23/39, 207, TD, 2 INT), costretto per tre quarti ad accontentarsi di completi al di sotto delle 10 yards da un reparto tappezzato a causa delle assenze di Madison, Kiwanuka e Mitchell, ma la partita era già  girata in precedenza quando le corse di Earnest Graham (18, 63, TD) erano calate di effetto, costringendo Jon Gruden ad insistere troppo sul gioco aereo con conseguenti prevedibilità . I fastidi fisici di Joey Galloway, mattatore dell'attacco verticale dei Bucs per tutta la regular season, non faceva che peggiorare le cose.

I Buccaneers sono infatti durati un quarto, nel quale avevano trovato il provvisorio vantaggio proprio dalle gambe di Graham e costretto gli avversari a -2 yards di total offense, costruendo il primo drive incisivo del resto della gara quando ormai era troppo tardi, ridimensionando i toni di una sconfitta (24-14 il finale) che il campo pareva aver annunciato con largo anticipo rispetto al triplo zero.

New York, ridendo e scherzando, ha vinto l'ottava partita consecutiva su nove in trasferta (e la prima di playoffs dal 2000, l'anno del Super Bowl) compilando un eccellente record distante dal Giants Stadium: l'ultima volta avevano perso in un Sunday Night, il primo della stagione per intenderci, proprio dentro quel Texas Stadium che si prepara a diventare teatro di un'altra bellissima sfida (la terza dell'anno) tra Tony Romo ed Eli Manning. E qualcosa ci dice che punti e spettacolo non mancheranno.

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