La perfezione si avvicina

Tom Brady (12) e Randy Moss, la coppia più temuta del football Nfl

La chiamano perfect season per un motivo preciso e tutti, bene o male, sappiamo perché. La chiamano stagione perfetta ed è difficile immaginare che esista un altro sport, un'altra competizione di statura così elevata come quello del football Nfl, dove un'impresa del genere sia realizzabile. Domenica i New York Giants colmi di infortuni e polemiche ma alla loro terza qualificazione in postseason consecutiva, ospiteranno i New England Patriots per l'ultima gara stagionale, quella che ci dirà  se Bill Belichick potrà  o meno puntare al titolo da imbattuto. Anzi: da perfetto.

Esatto, perché per quanto raro sia il pareggio nel football americano del Dopoguerra, è giusto ricordare che anche da queste parti il pareggio esiste e che una stagione perfetta la centri solo se vinci ogni singola gara. Sembran poche, 19 partite, ma sono una infinità  di scontri, di battaglie dure e fisiche che anche solo a immaginarne un paio in più vien male a ogni parte del corpo.

Eppure noi, figli del mito degli anni Ottanta, siamo cresciuti con la convinzione che i Dolphins del 1972 fossero una eccezione, che la perfezione non potesse esistere se non in quell'unico, pregevole episodio che serve, proverbialmente, a confermare una legge non scritta. Già , perché ci siamo convinti che prima o poi si debba cadere, che una regular season non valga la pena di rischiare il tutto per tutto per giungere stremati in gennaio, quando iniziano le partite senza domani, quando esperienza, freschezza fisica e abilità  si mischiano senza che il peso psicologico degli imbattibili ricada sulle teste degli uomini che portano l'assalto alla corona del titolo.

In più, la storia ci insegna che anche una sola sconfitta può non essere l'ultima, come fu per i Minnesota Vikings del 1998 o i Pittsburgh Steelers del 2004, entrambe sconfitte al Championship di conference, ma ciò che ci sembrava aver imparato è, soprattutto, che una partita, in un modo o nell'altro, la devi sbagliare. Devi perdere, cadere, o inciampare se preferite, ma questo è diventato quasi un rituale per mettersi al riparo da eventuali giochetti di malasorte che potrebbero manifestarsi sul più bello. E' accaduto che perdessero i magnifici Chicago Bears del 1985, così quanto i San Francisco 49ers di Joe Montana l'anno prima, due squadre campioni del mondo con un record di stagione regolare impresso a 15-1.

E, sempre la storia ci insegna che, escluso lo splendido e unico 1972 dei Dolphins di Don Shula, quelli per cui venne coniato il sarcastico soprannome di "No-name Defense" per via di un gruppo difensivo tutt'altro che celebre per i nomi degli atleti schierati, ma prontissimo a rivelarsi più che fondamentale in stagione, chi è arrivato alla finale con zero sconfitte in curriculum, in Nfl, ha poi perso. E' successo due volte, sempre ai Bears, in epoche antidiluviane (1934 e 1942), quando poi Chicago si arrese nell'allora Championship di Nfl.

Non è così utile e interessante indagare sui Calgary Stampeders che vinsero la Grey Cup nella Canadian Football League edizione 1948 senza perdere una gara; non ci interessa perché, è ovvio, la massima espressione professionistica si svolge ormai da troppo tempo, ossia da sempre, più a sud del Canada, tra Wisconsin e Florida, nella tenaglia che si chiude tra Oregon e Maine.

Eppure, comunque vada a finire, sembra ovvio che New England diventerà  la prima squadra a chiudere la stagione regolare a 16-0 e, in questo caso, sarebbe la prima vera squadra a tentare l'assalto ai Dolphins del 1972 nei prossimi playoff. Un primato che sarebbe comunque storico, il tutto in una sfida che non sembra interessare troppo i Giants, che pur stimolati dalla chance di poter interrompere l'incredibile striscia dei Pats hanno ben altro a cui pensare; in primo luogo salvaguardare la salute dei titolari rimasti a disposizione dopo che, uno dopo l'altro, si sono infilati in infermeria per non fare più ritorno alcuni grossi nomi. Ultimo tra questi Jeremy Shockey, proprio l'uomo che, per carattere, vorresti al tuo fianco quando devi tentare l'impossibile.

Un primato, quello che si avvicina, che quasi certamente si unirà  a quelli individuali di Tom Brady e Randy Moss, la nuova combo che fa impazzire l'America e che può, al primo anno passato insieme nella franchigia, riscrivere una parte del libro dei Guinness targato Nfl. Manca una meta a entrambi per raggiungere il record di TD lanciati da Peyton Manning nel 2004 e quello di TD ricevuti da un certo Jerry Rice nel 1987. Praticamente basta rivedere un paio di volte la connessione Brady-to-Moss realizzarsi fino alla fine del campo ed ecco che due castelli, mai apparsi così fragili, cadranno sotto il duo più potente in circolazione.

Si narra che ogni anno, quando una squadra lanciata verso la perfect season subisce la prima sconfitta, i terribili ragazzi un tempo allenati da Don Shula si ritrovino per un party dove far decollare i tappi di alcune ottime bottiglie di champagne. Don Shula smentisce da sempre, ma in ogni caso, se fosse vero, quest'anno quelle bottiglie sono ancora tappate e ben riposte in cantina, e l'idea è che, in caso di crollo dei Pats, non saranno solo i Dolphins '72 a festeggiare. Non arrivassero i record individuali crediamo che Rice e Manning non ne sarebbero dispiaciuti, crollasse il sogno di tutta la Boston del football, migliaia di fans ne gioirebbero.

Un po' perché questa squadra, bella da vedere e fin troppo forte, da tempo non attira simpatie e in verità  poco ha fatto per farsi amare dagli avversari. Un po' perché molti non vogliono vedere la Nfl essere dominata in modo così netto ed in parte perché molti sperano che, in fin dei conti, l'episodio di 25 anni fa resti isolato, unico: un gioiello raro da celebrare e rispolverare nel momento dei ricordi.

I Patriots riuscirebbero a fare meglio di quella Miami vista la stagione più lunga, ma come loro hanno rischiato più volte di non riuscire ad attraccare in porto con la vittoria. Quei Dolphins rischiarono grosso a Minneapolis e in casa con Buffalo (16-14 e 24-23 i risultati ottenuti in rimonta) e si affidarono a due storiche giocate dell'allora trentottenne Earl Morrall che ribaltò un 7-17 trasformandolo in un 28-24 contro i Jets.

Questi Pats hanno tremato a Indianapolis, a Baltimore, contro Philadelphia e non hanno brillato neppure contro i Jets. Ma hanno vinto, sempre. E in alcuni casi proprio nel finale, tirando fuori gli artigli e le giocate giuste nei momenti giusti da vera grande squadra. Cercando Wes Welker quando Moss era incatenato alle difese avversarie o addirittura rispolverando quel Jabar Gaffney che in mezzo a tanto talento sembra capitato quasi per caso. Ci hanno provato, i ragazzi di Shula, a spingere i propri colori, ma nella settimana sbagliata, ossia quella prima del duello coi Patriots quando Greg Camarillo era volato via per 64 yard, in overtime, fino a scacciare tutti gli incubi di una stagione che poteva essere l'opposto di quella perfetta: un campionato a 0 vittorie.

Chiedere a Cleo Lemon e Greg Camarillo di cercare un altro miracolo sarebbe stato troppo. Ed ecco che tocca ai Giants provarci, sabato notte, con tutti ad aspettare che non sia proprio la squadra più vincente del nuovo millennio a godere di un'altra epocale stagione, con tutti i rivali e quei tifosi che non amano mai chi vince troppo (e sono tanti) a incrociare le dita, anche solo per evitare un 16-0 che, insegna ancora la storia, non vale nemmeno un pezzetto di quell'anello che a febbraio va strappato dalle grinfie dei rivali ma che profumerebbe già  di impresa epocale.

Ci proveranno i Giants, ma non in modo deciso. I titolari da salvaguardare, dicevamo, e una sfida già  pronta a Tampa la settimana seguente per quella Wild Card che negli ultimi due anni è sempre coincisa con una sconfitta. Insomma, a questi Patriots non resta che andare avanti, record dopo record, partita dopo partita, per puntare a quel titolo che in questo modo diventerebbe leggendario, che scaccerebbe ogni critica, che confinerebbe ai limiti del paradossale ogni contestazione su "spy story" o quant'altro perché sarebbe una vittoria che toglierebbe il titolo di "The Perfect Season" a quel 1972, relegandolo ad essere "solo" la prima di una serie di imprese simili della National Football League. Dovranno continuare a tirare fuori gli artigli gli uomini di Belichick, non pensando ad una difesa apparsa a tratti troppo stanca e a un clima che, a Boston, potrebbe proprio togliere l'arma migliore all'attacco, ossia gli splendidi servizi aerei di Tom Brady. Ma soprattutto, New England dovrà  vivere il tutto senza una ossessione come ci è parso sia stato tutto l'anno perché nel football, come nella vita o in qualsiasi disciplina, la sconfitta aspetta sempre dietro l'angolo.

Forse stiamo solo esagerando, forse una stagione perfetta ci farebbe applaudire i più forti, magari i più forti di sempre, senza stare a scontrarsi troppo su dibattiti storici e statistici. Ogni vittoria, ogni singola partita, ha episodi contestabili, vive di soggettività , di occhi e cuori diversi. Forse abbiamo esagerato perché parliamo di "imbattibili" quando ancora non si è entrati nel vivo dei playoff. Forse esageriamo perché le grandi squadre fanno sempre bene allo sport, e i nuovi record sono tante altre magnifiche storie da raccontare. Forse esageriamo perché, perfetta o meno, questa è soltanto un'altra stagione di football. E a noi piace così.

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