Channing Crowder placca Brandon Jacobs durante l'esibizione londinese di Dolphins e Giants.
Plaxico Burress prova le tracce che il suo infortunio non gli permette di replicare in allenamento. Eli Manning gli lancia dei palloni rilasciati a velocità impressionante, quindi lo avvicina e gli dà il cinque, i due scherzano e quindi si posizionano per un altro schema. Jay Feely scalda la sua gamba, mette field goals da distanze siderali. Tony Siragusa scherza con il pubblico delle prime file tenendo il suo pollicione ben alto, prima a significare "all right, baby!", quindi lo porta verso la bocca fingendo di trangugiarsi un birrone virtuale. Strahan e Umenyora sciolgono i muscoli ridendo e scherzando assieme, finchè il generale Coughlin non richiama tutti all'ordine e l'intera squadra si dispone in diverse file per il riscaldamento di gruppo. Poco dopo entrano i Miami Dolphins, e scattano i fuochi artificiali.
Non è un sogno, questa volta è tutto vero. Siamo all'interno del Wembley Stadium, abbiamo la fortuna ed il privilegio di essere lì fisicamente. I particolari di quello che vi succede all'interno sono a nostra completa disposizione, e per una volta possiamo permetterci di riportarli senza l'ausilio del sentito dire.
Miami Dolphins e New York Giants sono lì, davanti ai nostri occhi, sono sbarcati in Europa per giocare una storica partita di campionato al di fuori dei confini statunitensi.
E' un evento senza precedenti per il Vecchio Continente, di conseguenza l'emozione di chi ha sognato per tanto tempo di vedere i propri idoli in carne ed ossa non può essere che alle stelle nonostante le ore di attesa passate davanti ai cancelli sotto il peggiore cielo che la Gran Bretagna ha regalato nei tre giorni della nostra permanenza. Quello che conta è esserci, la stanchezza ed i disagi si dimenticano in fretta.
Il colpo d'occhio è notevole, una volta che lo sguardo scorge il verde del campo di gioco: la struttura dello stadio è così ben ingegnata che la nostra visione è incredibilmente pulita e vicina nonostante l'apparente distanza dei nostri posti, le due endzone che recano logo e scritta dei Dolphins sembrano enormi, l'atmosfera è surreale perché sono tante le cose che tutte assieme arrivano ad accelerare i battiti del cuore. Il fatto che in campo non ci sia la tua squadra del cuore non conta assolutamente nulla. E' tutto bellissimo.
Wembely si riempie un poco alla volta, al momento del kickoff ci saranno comunque dei seggiolini vuoti, ma l'effetto visivo toglie ugualmente il fiato. E si comincia.
La partita è prevedibilmente scarsa di giocate spettacolari, piove molto e la strategia delle due squadre è incentrata per l'80% su giochi di corsa, possesso del pallone e difesa puntuale sui placcaggi sono le uniche vie d'uscita per tornare a casa vincenti dalla lotta.
Miami combatte, costruisce un ottimo primo drive con l'ausilio delle corse di Jesse Chatman, uno dei tanti backups presenti per la squadra della Florida a causa dei molteplici infortuni, su tutti Zach Thomas e Ronnie Brown, che hanno falcidiato i Delfini; Jay Feely sbaglia però un field goal apparentemente facile, e diversi minuti del primo quarto vengono quindi assorbiti da una serie che non porta a nessuna svolta positiva per i "padroni di casa".
Anche i Giants usufruiscono della stessa modalità , la loro linea offensiva gioca in modo molto fisico ed i varchi per il potente Brandon Jacobs (131 yards), davvero difficile da buttare a terra, non tardano ad arrivare e producono guadagni continui; la difesa risponde molto bene, si intuisce che una sua prestazione positiva è fondamentale per far rimanere i Dolphins in partita, Channing Crowder è una macchina da tackles (terminerà con 8, di cui la maggior parte nel primo tempo) e le secondarie difendono molto bene su Burress, negandogli almeno due ricezioni pericolose grazie ai tempismi di Will Allen e Michael Lehan. Amani Toomer, la cui giornata non è delle migliori, non è utile alla causa e si fa sfuggire quasi ogni pallone che Manning tenta di recapitargli.
Cleo Lemon, privato pure del prezioso aiuto che gli avrebbe dato Chris Chambers (ora a San Diego) ha una giornata a dir poco dura, ed i limiti del gioco aereo di Miami vengono a galla presto: sono poche le opzioni diverse da una corsa del bravo Chatman (79 yards) che muovono le catene con altrettanta efficacia, solo passaggi corti per l'encomiabile tight end Justin Pelle, screen per il running back di turno o corsa improvvisata dello stesso Lemon, troppo poco per impensierire la grintosa difesa dei Big Blue.
La gara è pesantemente condizionata dai costosi turnovers dei Dolphins, il primo in occasione di una pessima chiamata offensiva su un terzo e corto (ricevitore che passa sotto il centro per ricevere lo snap e perde il pallone nel processo), il secondo per una palla sfuggita direttamente dalle mani del quarterback. Gli errori si trasformano in 10 punti a favore di New York, Manning non completa molti passaggi ma si toglie la soddisfazione di segnare su corsa e si rientra negli spogliatoi con un eloquente vantaggio di 13-0.
I Dolphins hanno tentano di regalare una fiammata finale alla partita, riuscendo nell'intento solamente in parte: diverse serie offensive sono condizionate da costanti errori di una linea offensiva inesperta e poco coesa, nonché dalle talvolta incomprensibili chiamate di Cam Cameron. La difesa tiene duro recuperando un pallone importante (sack di Matt Roth e fumble ricoperto da Jason Taylor), ed un field goal fallito da Lawrence Tynes tengono acceso un lumicino di speranza, così il notevole touchdown di Ted Ginn Jr. (prima meta da professionista), si trasforma in una clamorosa riapertura della discussione arrivando in coincidenza della maggiore lucidità offensiva espressa dai Dolphins, bravi a percorrere ben 80 yards limitando al minimo lo spreco di tempo. Non fosse stato per il tentativo di onside kick miseramente fallito da Feely, il finale sarebbe potuto essere rocambolescamente avvincente.
Le somme che la Nfl può tirare dall'esperienza londinese sono miste.
Al di là dell'enorme successo nella vendita dei tagliandi, quasi inimmaginabile per una disciplina che non fa parte della cultura europea, non possiamo nascondere il pizzico di delusione riguardante l'atmosfera vissuta fuori dallo stadio, dove l'organizzazione della lega non si è dimostrata all'altezza della situazione e l'aria del grande evento si respirava poco: tiepido l'interesse creato dal tailgate party che ha preceduto il kickoff, addirittura da bocciare in toto il settore merchandising, che ha offerto solamente materiale delle squadre coinvolte attraverso i pochi punti vendita attorno allo stadio senza mantenere le promesse scritte sul sito ufficiale dell'evento.
Con ogni probabilità siamo caduti anche noi nella pretesa, rivelatasi eccessiva, di veder trasportata non solo una partita di football americano, ma anche di una serie di usanze e costumi che in questa sede non hanno avuto luogo, perché legate a doppio filo ad una cultura che è e rimane al di là dell'oceano, fatto sottolineato dagli inutili fischi del pubblico durante gli inginocchiamenti finali di Eli Manning.
Da sottolineare pure una certa mancanza di coinvolgimento dei tifosi in attività di contorno extra-partita, nonché della presenza di un'atmosfera molto fredda prima dell'apertura dei cancelli, ravvivata solamente dai disparati colori delle jerseys indossate dai vari appassionati per l'occasione, un'atmosfera sì alterata dalle condizioni del meteo ma troppo diversa dalle rosee aspettative che era lecito attendersi.
La conferma che il lavoro di ampliamento della conoscenza del football americano ha mosso solamente i primi timidi passi è la copertura giornalistica dei media londinesi, molto più interessati a schiaffare le pur piacevoli cheerleaders di Miami su qualsiasi inserto fotografico che riguardasse l'evento piuttosto che calcare la mano su un'importanza storica che con ogni probabilità non è stata assorbita nella sua interezza.
In attesa di doverosi aggiustamenti da parte della Nfl, chiamata a trarre le giuste conclusioni dall'esperienza fatta, vedremo se l'Europa potrà essere una fermata costante per il campionato anche in futuro (si parla già di Kansas City in Germania), sperando che questa possa essere l'unica divagazione sul tema dell'era Goodell, il quale vorrebbe portare da queste parti molto più di una semplice partita, anche se il senso di tutto questo, per il momento, ci sfugge.
Nel frattempo ci godiamo appieno tutto ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, senza mai dimenticare che per una serata abbiamo toccato il cielo con un dito e che i nostri sogni, rimasti nel cassetto per lunghi anni, si sono finalmente avverati lasciandoci il ricordo indelebile di un'esperienza davvero emozionante, sia per l'evento fine a se stesso e sia per le persone con cui l'abbiamo condiviso.
Un sincero grazie a chi ha reso tutto questo possibile.