Adrian Peterson in azione contro Chicago, una nuova stella è esplosa nel firmamento della NFL
C'è una nuova stella nel firmamento della NFL, una stella che brilla di luce propria, una luce fresca, appena sbocciata, come un fiore primaverile che arriva fuori stagione, e in un autunno che sta raggiungendo molti dei protagonisti storici della lega, ci viene regalato un volto nuovo di un ragazzo pronto a dominarla per i prossimi anni: Adrian Peterson.
Conosciuto unanimemente con il nickname di A.D., "All Day", il rookie di Minnesota si sta imponendo come una delle note più positive di questa stagione, e non solo per i Vikings, ma per tutto il football professionistico, pronto ad investire sul volto pulito del ragazzo venuto da Palestine, Texas, per rilanciare un movimento rimasto orfano di uno dei suoi uomini di punta, Michael Vick. Peterson sembra infatti il classico giocatore capace di smuovere le folle, di ammagliare con le sue giocate i grandi appassionati di tutte le età , dai vecchi che ricordano le gesta dei grandi pionieri del football, ai bambini che cercano un nuovo supereroe in cui identificarsi, il biglietto da visita ideale per la NFL.
Ma il numero 28 dei Vikings è in primo luogo un ragazzo come tanti, dotato da madre natura di qualità atletiche eccezionali e con alle spalle una storia tutt'altro che facile, fatta di cadute, non sue, e di pronte risalite. Adrian Lewis Peterson, come risulta all'anagrafe, è venuto alla luce il 21 Marzo 1985 e nel suo futuro c'era scritto a chiare lettere che sarebbe stato uno sportivo di successo, visto che nelle sue vene scorreva il sangue di due atleti, un padre, Nelson, giocatore di basket con Idaho State University, ed una madre, Bonita, centometrista dell'University of Houston.
Con dei geni del genere nel DNA Adrian non poteva che diventare qualcuno nel mondo del professionismo, mondo che lo affascina fin da bambino per via di uno zio che gioca nei Phoenix Cardinals, Ivory Lee Brown, e che gli racconta alcune delle più grandi storie del football. Per arrivare in alto, si sa, bisogna sempre partire dal basso, ed avere enormi vette da scalare. Le vette che si pongono davanti alla strada di Peterson non sono basse, bensì altissime, e non affatto semplici da domare.
La prima tegola sulla vita del ragazzo prodigio di Palestine, avvicinatosi al football negli anni della high school, cade attorno ai tredici anni, quando il padre viene condannato a dieci anni di reclusione, dopo essere stato trovato in possesso di denaro proveniente da traffico illegale di droga; la seconda casca qualche tempo dopo, quando il fratellino minore Brian viene investito ed ucciso all'età di nove anni da un guidatore ubriaco. Dalle cadute Adrian però si rialza sempre, e prontamente, continuando ad impegnarsi nelle attività sportive, nonché mettendo in mostra le sue enormi qualità .
Impegnato nel basket, nell'atletica, e nel football alla Palestine High School, il giovane prodotto locale esplode in quest'ultimo sport nelle sue ultime due stagioni liceali, quando conquista notorietà a livello nazionale diventando di fatto il miglior prospetto dello stato del Texas; con 5,011 yards, 54 touchdown, corse nelle stagioni da junior e da senior, Adrian si presenta al college recruiting con enormi credenziali, dopo aver presenziato al U.S. Army All-American Bowl, dove viene nominato MVP dell'incontro, e dopo aver conquistato l'importantissimo Hall Trophy, il premio assegnato al miglior giocatore di HS a livello nazionale.
Corteggiato dalle migliori università degli Stati Uniti, tra cui spiccano Southern California, Miami, Texas, UCLA, e California, Peterson sceglie di accettare la borsa di studio offertagli da Oklahoma, legando a doppio filo il suo nome a quello dei Sooners, che di fatto diventano, per lui, una seconda famiglia. La prima stagione con OU è impressionante, di quelle che entrano nel libro dei record di botto, conclusa con 1,925 yards corse in 339 portate, risultato che lo porta ad essere il runningback leader della nazione e il miglior freshman nella storia della NCAA, nonché secondo, alle spalle di un certo Matt Leinart, nella corsa all'Heisman Trophy.
Intascata fine stagione la nomina nel All-American First Team, Adrian inizia il 2005 con la voglia di confermarsi nell'elite del college football, ma un infortunio alla caviglia rimediato nel primo scontro di conference contro Kansas State University lo costringe a saltare quattro partite; tornato in tempo per chiudere il suo secondo anno universitario il numero 28 di Oklahoma fa ancora in tempo a segnare il suo più lungo touchdown in carriera, 84 yards, contro i "cugini" Oklahoma State, prima di concludere con 1,108 yards e 14 TD in 220 portate.
Il 2006 si preannuncia come l'anno della definitiva consacrazione del talentuoso runningback texano, ma il destino sembra volerlo mettere di nuovo con le spalle al muro, e proprio nella sua partita più importante, il 14 Ottobre, la prima giocata con la maglia dei Sooners sotto lo sguardo attento del padre appena rilasciato, si frattura la clavicola, infortunio che lo costringe a saltare tutto il resto della regular season; Peterson è un lottatore nato però, e si presenta nuovamente in campo dopo quasi tre mesi, correndo per 77 yards nel Fiesta Bowl perso contro Boise State.
Contro tutti i pareri degli esperti, i consigli dei suoi allenatori, le parole del suo agente, Adrian rifiuta di rivedere i propri piani per via dell'infortunio che lo ha costretto a giocare nemmeno metà stagione, e nonostante il rischio concreto di non essere più considerato la prima scelta assoluta, decide di chiudere la sua carriera universitaria ed affrontare il draft NFL; in tre sole stagioni di college football Peterson ha corso per 4,045 yards, fermandosi ad appena 74 yards dal record all-time dei Sooners detenuto da Billy Sims.
Prima del draft il fato decide ancora di mettere alla prova l'ormai ex giocatore di Oklahoma, e un giorno esatto prima della NFL Scouting Combine scompare un altro suo famigliare, il fratello adottivo Chris Paris, morto suicida a Houston. Per Adrian è un altro duro colpo da incassare, ma come capita ai grandi campioni non resta che voltare pagina e guardare avanti, anche quando il dolore che ci portiamo dentro a volte è enorme.
Alle combine Peterson fa vedere quanto vale e comincia ad essere rivalutato tra le prime scelte del draft ormai alle porte, venendo accostato a diverse squadre, ma mai con la vera certezza di quale franchigia decida di puntare sul suo talento; i ma sono tanti, a cominciare dalla voce che gira nell'ambiente secondo la quale il runningback non ha mai pienamente recuperato dall'infortunio patito nell'ultima stagione. Il suo nome però inizia ad essere segnato su molti bloc-notes dei team chiamati a scegliere tra i primi dieci, si parla di Cleveland, di Houston, addirittura di trade per salire da parte di Green Bay o New York, sponda Giants, e per la prima volta, anche di Minnesota.
I Vikings, una delle squadre in cui c'è da rifondare più reparti, non aiutano mai gli esperti a capire quale sarà la loro prima scelta, potendo spaziare da un quarterback, Quinn, a un defensive end, Adams o Anderson, da un widereceiver, Ginn Jr. o Meachem, fino ad un runningback. Alla settima chiamata del draft però è proprio Minnesota a scegliere Adrian Peterson, in un sospiro di sollievo che accomuna tutto lo stato dei grandi laghi, dove i tifosi sono finalmente convinti di aver tra le mani la potenziale stella con cui tornare a brillare.
Appena scelto dai Vikings il runningback di Palestine dimostra subito di che pasta è fatto, dichiarando: "Io sono un giocatore che arriva in questa franchigia colmo di determinazione, di voglia di lavorare, voglia di impegnarmi con e per il team. Voglio portare questa squadra ai playoff, aiutarla a diventare vincente, e perchè no, voglio correre tanto; correre e costruire un ciclo; sentire la gente che acclama il mio nome e sentire che guarda con piacere le partite in cui gioco, perchè da un momento all'altro posso inventare qualcosa di nuovo, di spettacolare. Sono qui per dare il massimo con questo team. Sono qui per vincere."
Vincere, parola che non si sentiva da diverso tempo in Minnesota. La strada per arrivarci però è lunga, e i Vikings hanno iniziato solo in questa stagione a tentare di ricostruire un ciclo, posando con Adrian il primo mattone in ottica futura. Un futuro che il runningback sembra aver reso molto più roseo visto l'impatto con cui si è presentato nella NFL, diventando fin dalle prime partite il faro dell'attacco di Minnie.
L'esordio di Peterson nella lega è un altro di quei segni tangibili di come questo ragazzo sia probabilmente destinato a fare grandi cose, infatti il 9 Settembre 2007 contro Atlanta mette a segno il suo primo touchdown da professionista, su ricezione, concludendo la sua prima prestazione over 100 in carriera, correndo per 103 yards, e rivelandosi la spalla ideale per Chester Taylor. Complice l'infortunio patito da quest'ultimo Adrian diventa il runningback titolare dei Vikings già alla seconda apparizione nella NFL, correndo per 66 yards e ricevendo per 52 yards contro Detroit.
Alla terza settimana è tempo di festeggiare anche il primo touchdown su corsa della sua carriera professionistica, touchdown che il runningback numero 28 mette a segno dopo aver totalizzato 150 yards, 102 su corsa e 48 su ricezione. Una settimana più tardi contro Green Bay, Adrian sforna la sua terza prestazione oltre le 100 yards stagionale, il massimo di sempre per un rookie nelle prime tre partite, correndo per 112 yards e tenendo Minnesota in partita fino all'ultimo.
Al ritorno dopo il turno di bye Peterson fa ancora meglio, e dopo essersi assicurato il premio come Offensive Rookie of The Mounth per il mese di settembre, entra di diritto nel libro dei record dei Vikings settando il record di yards corse della franchigia con 224 yards; come se non bastasse nella stessa partita contro Chicago, Adrian segna 3 touchdown in serie conquistando un altro record di franchigia per il TD più lungo segnato partendo dalla linea di scrimmage, 73 yards.
Dalla sua prestazione migliore sono passate appena due settimane, e ancora una volta siamo qui a commentare una prova da leader dei Vikings, con 70 yards corse contro la difesa di Philadelphia, che si succedono, a distanza di sette giorni, alle 63 messe insieme contro Dallas, dove con un'irresistibile corsa da 28 yards ha segnato anche un touchdown. Io dopo la partita di due domeniche fa in casa dei Bears avevo detto che mi pareva un ritratto ringiovanito di Gale Sayers, probabilmente esagerando; ma quella facilità di corsa, quell'essere sempre e continuamente in movimento, quello stare mai fermo con le gambe, e quel cambio di direzione secco, repentino, mi ricorda un'immagine sbiadita del numero 40 dei Bears. Il tempo mi dirà se ho visto giusto, per ora mi godo l'esplosione di questa nuova stella.