Solita, misera Nfc

Jon Gruden, ultimo coach a vincere un anello con un team Nfc (Tampa Bay, 2002)

La vittoria di New England contro Dallas ha lanciato un messaggio piuttosto forte all'intera Nfl, la Afc, se possibile, ha aumentato ancora di più il divario con i rivali della conference avversaria. I 47 punti subiti dai Cowboys in casa non sono un valore su cui basare una discussione, la partita si è evoluta in modo particolare e, ad un certo punto e senza qualche penalità  di troppo, gli uomini di coach Wade Phillips sembravano poter tenere testa agli avversari se non, addirittura, stare davanti col punteggio fino alla fine. La verità , però, è che in un avvio piuttosto difficoltoso era stato un touchdown difensivo a ridare fiato a Tony Romo e soci, capaci poi di giocare una buona mezz'ora di football prima di crollare sotto i colpi dei Patriots.

Il tutto una settimana dopo la disfatta di un'altra candidata al titolo Nfc, quella Seattle che a Pittsburgh si è presentata sul 3-1 con una voglia matta di far decollare la propria stagione e di vendicare, anche se solo moralmente, il Super Bowl perso due anni fa. Un cappotto è stato servito da quella che oggi possiamo definire concretamente la terza forza di Afc, un 21-0 con cui gli Steelers hanno liquidato i rivali caduti poi, impietosamente, nell'ultimo Sunday Night contro una New Orleans, anch'essa favorita ai nastri di partenza, che ottiene il primo successo dopo un avvio disastroso.

La crisi della Nfc, fatta eccezione per le parentesi di St. Louis e Tampa, non conosce fine da quando John Elway riportò il titolo all'altra conference dopo 13 stagioni di agonia all'interno delle quali erano però passati più volte proprio i Broncos di Elway e i Bills di Marv Levy squadre capaci, nella sconfitta, di evidenziare grande continuità  di progetto e di evoluzione della squadra. Cosa che manca decisamente nella National Football Conference di oggi. Non sono, come detto, solo gli scontri diretti a fare la differenza, basti guardare all'ebbro andamento di quelle che dovrebbero rappresentare le corazzate in grado di arrestare, una volta giunte in fondo, la potenza dei Patriots, Colts, Steelers di turno. A ben pensare, fa quasi impressione rileggere che la squadra guidata da Bill Belichick rimase fuori dai playoffs nel 2002 (vincendo il titolo nel 2001, 2003 e 2004) con un record (9-7) che dall'altra parte, nella più antica delle conference, farebbe stappare una bottiglia del vino più prezioso al presidente di buona parte delle franchigie senza considerare che significherebbe, quasi certamente, qualificazione alla postseason.

Dove sono finiti i Chicago Bears che pochi mesi fa contendevano il titolo a Peyton Manning e soci? Crollati, con un 2-4 in classifica, una difesa finalmente "umana", troppo umana, e un attacco problematico. Dei Saints abbiamo detto, una vittoria dopo più di un mese di gioco, mentre gli Eagles, unica realtà  dominante nella National del nuovo millennio ma che solo una volta, dopo quattro championship consecutivi, conquistò l'accesso al Super Bowl, avanza a strappi, contendendo il titolo di squadra più misteriosa a rivali come i Cardinals o i Panthers, i quali vanno a ripescare il buon Vinny Testaverde (42 primavere) per tentare di vincere una division che legge uno 0-6 nella tabella del record della pompatissima St. Louis, attesa alla stagione della rinascita e ritrovata in appena un mesetto a leccarsi le ferite in infermeria (in tutti i sensi).

Non sono però nemmeno i soli infortuni, che non mancano mai, a fare la differenza, dietro il potere della Afc c'è il nome di due grandi progetti come quelli di Belichick e Tony Dungy che, da anni, monopolizzano l'attenzione e si lanciano, settimana dopo settimana, avvisi di appuntamento per il Super Bowl anticipato. E mentre queste due squadre avanzano con una regolarità  straordinaria (62-20 e un titolo i Colts di Dungy, 76-26 e tre titoli per BB) le altre costruiscono progetti importanti. Come i Chargers che hanno commesso il "peccato Turner" chiamando un head coach probabilmente inadatto per guidare una macchina del genere ma che hanno ottimo potenziale a roster; i Ravens, che a fasi alterne rimangono pur sempre una squadra dalla difesa solida e che può mettere in difficoltà  chiunque; Jacksonville, che dopo una stagione di disastri sembra ben ripartire con David Garrard alla guida dell'attacco.

E le promesse di crescita di alcune squadre come Tennessee, o anche la sfortunata Buffalo, o ancora team capaci di riprendersi, sulla carta, in tempi relativamente brevi come Denver. Certo non mancano nemmeno da queste parti le eterne incompiute, prima su tutte la Miami del post Dan Marino, del post Ricky Williams e del post Nick Saban, ma la preoccupazione reale, tutto sommato, è quella di ritrovarsi due campionati totalmente divisi e un Super Bowl sempre più scontato.

Ogni anno ci si ritrova a discutere di questo e pur non dimenticando come il dominio anni ottanta e novanta della Nfc sia stato forse più netto e certamente più colmo di pretendenti di quanto non lo sia oggi quello della sorella minore, tra queste pagine si finisce sempre col chiedersi il perché di tale disavanzo e come sia possibile non ricucire tale distacco. Purtroppo, però, la risposta non c'è. La Dallas vista domenica può e deve ancora crescere e non perderebbe altre dieci partite in quel modo contro New England, ma la forza espressa dai Patriots ha di nuovo lasciato allibiti. Così Indianapolis si porta 5-0 per la quarte volta di fila e New England infila un record dopo l'altro mentre il suo quarterback, Tom Brady, chiude in Texas a 388 yards e 5 TD pass, divenendo il primo (sì, il primo, meglio di Montana, Marino, Young, Elway, Favre…) a lanciare per almeno tre volte un passaggio touchdown nelle prime sei gare di campionato.

Così, se in Afc le squadre forti lo diventano ancora di più e, in Nfc, le più quotate crollano e le altre provano ad organizzare qualcosa che assomigli il più possibile a una seria pretendente, l'unica speranza rimane sempre quell'adagio che ci ricorda che"in Super Bowl, alla fine, tutto è possibile". Già , ora però sappiamo che se a trionfare fosse una squadra della Nfc ci troveremmo di fronte al ribaltamento del pronostico, il risultato a sorpresa, la bravura nel colpire le debolezze (e le certezze) dell'avversario in una gara senza domani; ma non saremmo certo davanti a una vincitrice da poter consegnare agli annali come (realmente) squadra più forte della stagione. Dove si annidi il male che colpisce la Nfc è difficile dirlo; i magnifici St. Louis Rams del "Greatest Show on Turf" sono spariti troppo rapidamente, i Panthers invecchiano senza ripetersi, gli Eagles sembrano aver giocato tutte le loro carte, i Bears si risvegliano con una squadra mediocre dopo essersi addormentati col sogno di un anello.

General manager e allenatori in gamba non mancano in nessuna delle due conference, ma oggi solo i Cowboys e dei redivivi Giants sembrano poter condurre una stagione tutto sommato tranquilla sino ai playoffs, poi sarà  un tirare a campare, uno scontro fratricida, una guerra tra poveri. Non dare continuità  a un progetto potenzialmente vincente è un peccato capitale, ma è davvero impossibile stilare una lista dei "perché" che ci aiuti a capire questi limiti. Passano i draft, le free agency, le stagioni e mentre da una parte non si perde un colpo e si gioca un torneo duro, feroce e vero, dall'altra si punta a vincere division mediocri dove per arrivare ai playoffs è bastato, più volte negli ultimi anni, fermarsi a 8-8. Forse è anche questo a fare la differenza, la mancanza di gare di livello, di scontri contro corazzate che possano misurare il reale valore del team e dettare gli indici su cui lavorare l'anno dopo per tappare i buschi nel roster; l'astinenza da partite vere (se pensiamo a un Rex Grossman che guida i Bears sino al Super Bowl alternando prestazioni eroiche a uscite penose, capiamo la semplicità . per chi ha numeri in squadra, di arrivare molto avanti anche con alcuni gap piuttosto vistosi da colmare), una mancanza di confronto che prepari psicologicamente e fisicamente al meglio le squadre della National per innalzarle a un livello di tensione e scontro più importante, un livello che le avversarie pesano 12 volte (contro 4) nel loro annuale cammino.

Forse. Ma coi forse non si risolve nulla, e la paura dei tifosi e degli appassionati è di assistere a un dominio sterile e fine a sé stesso di una sola squadra (per ora Dallas), per poi assistere a playoffs miseri da un alto mentre sull'altro fronte si fanno vittime illustri e si giunge a un capitolo finale che lascia l'amaro in bocca. La speranza è di vedere ripartire alcune di quelle franchigie che, negli ultimi due o tre anni, erano riuscite a costruire qualcosa di serio, vedere loro completare il progetto e dargli continuità  in modo da avere, il più presto possibile, un campionato più equilibrato e di valore su ambo i lati. Da queste parti, però non ci sono general manager che possano farsi assumere per tentare di risolvere il problema, solo tifosi che, ahimé, prendono atto di una situazione ormai giunta a un punto di non ritorno. Anche se nel Super Bowl può succedere di tutto.

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