La crisi di Saints e Rams

Reggie Bush sembra non aver ancora imparato come si corre nella NFL

Uno dei motti classici della NFL è "gli attacchi vendono i biglietti, le difese vincono le partite", e guardando l'andamento degli ultimi campionati, spesso, sono state proprio le difese ad essere decisive per la vittoria finale.

Due squadre che, però, nel passato recente o addirittura recentissimo, hanno dimostrato che si può vincere facendo dello spettacolo offensivo il loro marchio di fabbrica, senza avere reparti difensivi di assoluto valore, sono i St Louis Rams e i New Orleans Saints.

I Rams, vincitori di un Super Bowl e finalisti in quello successivo, creatori del "The Greatest Show on Turf", di cui Kurt Warner, Marshall Faulk, Torry Holt e Isaac Bruce erano i protagonisti, hanno sempre cercato di impostare la propria filosofia di gioco sulla efficacia e completezza dell'attacco, e così, finiti i tempi di Warner, Faulk e di Mike Martz come coach, e iniziati quelli di Mark Bulger, Steven Jackson e Scott Linehan, il comun denominatore è sempre stato un attacco frizzante, che può macinare yards sia con le corse che con i lanci, in grado di segnare punti in qualsiasi momento.

La dirigenza di StLouis, però, dopo due anni di vacche magre, nei quali la squadra era rimasta fuori dai playoff, pur essendo in una delle division più soft di tutta la NFL, sperava che la stagione 2007/2008, la seconda della gestione Linehan, coincidesse con il rilancio definitivo del team verso i livelli raggiunti un lustro fa.

I presupposti ci sono tutti. Un allenatore giovane e su cui tutti scommettono dopo gli eccellenti trascorsi come offensive coordinator di Minnesota e Miami (l'unico che in questi anni abbia saputo far funzionare l'attacco dei Dolphins), un quarterback reduce dalla sua migliore annata, un running back giovane, pronto a raccogliere in modo definitivo l'eredità  di Marshall Faulk, dando la caccia a Tomlinson per il titolo di MVP e la stessa coppia di fuoriclasse di sempre, come ricevitori.

Invece la partenza dei Rams è tutt'altro che positiva. Due partite giocate, due sconfitte casalinghe, la più sanguinosa quella di domenica scorsa contro San Francisco, rivali divisionali e ormai nemici, in una rivalità  nata negli ultimi anni di permanenza nella NFC West.

Ma soprattutto quello che più preoccupa è l'incapacità  di StLouis di costruire il solito attacco spumeggiante a cui ha abituato.
Nella prima partita in casa contro Carolina, Bulger sembrava aver iniziato bene, con un touchdown sul primo drive stagionale, 78 yards costruite in modo magistrale, ma da quel momento tutto si è inceppato, e la partita è scivolata via senza che nessuno potesse raddrizzarla.

L'attacco ha chiuso con 162 yards lanciate e 76 corse, e se si pensa che in quel primo drive, Steven Jackson ha guadagnato 31 yards, si può capire quanto sia stata difficile la sua giornata. Nessun touchdown, solo field goals di Wilkins, solamente 13 punti segnati, un punteggio infimo per una partita casalinga di StLouis.

Nella seconda partita si pensava ad un rilancio immediato, visto che la difesa di San Francisco, sulla carta, è meno forte di quella di Carolina, eppure la trama della partita è stata la medesima. Touchdown quasi immediato, sul secondo drive dell'incontro, sfruttando un fumble su ritorno di punt dei Niners, ancora con Torry Holt, e ancora con un Jackson molto attivo.
Da lì in avanti, più nulla, solamente field goals, e un'altra sconfitta, questa volta sul filo di lana, che fa ancora più rabbia, visto che l'attacco dei 49ers non ha prodotto nulla di trascendentale.
Stavolta le yards totali sono state molte di più rispetto alla week1, sugli standard delle solite partite dei Rams, ma quello che è mancato è stato il touchdown, il completamento dei drive costruiti sull'asse Bulger-Bruce.
Se vogliamo trovare un colpevole in questa situazione critica, non si può non menzionare Steven Jackson. Doveva essere il suo anno, quello in cui avrebbe attacco il record delle yards guadagnate dalla linea di scrimmage, ed invece sia nella prima partita che nella seconda non ha prodotto nulla. Solo 118 yards corse in totale, 39 ricevute, due fumbles sanguinosi nella partita contro i Panthers e una prestazione quasi dannosa nella week 2, quando, nei drives successivi al touchdown di Holt, le sue corse con guadagno nulla o addirittura con perdita di terreno hanno bloccato i drives costruiti dal passing game, facendo perdere opportunità  decisive per entrare in area di meta.

Oltre all'incapacità  momentanea di correre, che da prevedibilità  all'attacco, soprattutto nella red zone, St Louis ha pagato dazio su fumbles provocati a turno da tutto l'attacco (in particolare contro S.Francisco in due drives della ripresa, con la palla all'interno delle venti avversarie), non riuscendo a concretizzare il lavoro svolto in precedenza.

Tutte situazioni probabilmente dettate anche da una offensive line che ha perso Orlando Pace, uomo guida nelle corse di Jackson, ma la situazione è comunque complicata, e non c'è molto tempo per analizzare a fondo i problemi, perché un'altra sconfitta vorrebbe dire possibile addio ai playoff per la terza stagione consecutiva, e il calendario non è amico con i Rams, con le sfide a due squadre in gran forma come Tampa Bay e Dallas, entrambe fuori casa, ed entrambe con attacchi in grado di superare la difesa non eccelsa di StLouis, che avrà  bisogno di un attacco finalmente produttivo per reggere la pressione ed evitare un'altra sconfitta.

I New Orleans Saints, a differenza dei Rams, sono stati per anni un team perdente, ma la cavalcata trionfale dello scorso anno, vissuta dopo i tragici fatti dell'uragano Kathrina, con una città  e una nazione intera che tifava per loro, la vittoria della division, la finale di Conference persa contro Chicago, avevano esaltato l'ambiente e alimentato preview che mettevano i Saints tra le possibili candidate al titolo della NFC.

Aver chiuso la stagione con il miglior attacco della lega e, soprattutto, aver mantenuto in offseason tutti i pezzi da novanta del reparto offensivo, aggiundendoci un ottimo tigthend per Drew Brees, come Eric Johnson, aveva tolto molti dei dubbi che gli analisti esprimevano su questi Saints.

I più ottimisti immaginavano la definitiva consacrazione di Reggie Bush come macchina offensiva a 360°, Marques Colston ancora sui livelli eccezionali dimostrati nella sorprendente stagione, iniziata da semisconosciuto e chiusa come stella indiscussa della NFL, Drew Brees sempre più convincente nel ruolo di leader e ancora capace di superare le 4000 yards lanciate, Sean Payton perfetto alchimista in grado di mixare tutte le pozioni a sua disposizione e di lanciare i Saints verso l'olimpo delle grandi squadre NFL.

L'inizio di questa stagione però sta facendo crollare il castello di sogni creatisi attorno a New Orleans.
Due sconfitte nelle prime due partite e subito partenza in salita, ma se la prima, contro i campioni del mondo dei Colts, in casa loro, poteva essere digerita, anche se arrivata dopo aver subito un dominio assoluto sia in attacco che in difesa, è quella di domenica contro Tampa Bay che ha fatto suonare più di qualche campanello d'allarme.

Perché non è tanto la difesa ad avere problemi, pur denunciando delle carenze nella secondaria che hanno determinato molti dei (tanti) punti subiti in queste due settimane, ma è proprio l'attacco che ha deluso sotto ogni aspettativa, diventando il vero tallone d'achille per Sean Payton.

Drew Brees non ha mai superato le 300 yards lanciate, ha collezionato solo un td pass, a fronte di ben tre intercetti, trovato tra l'altro nel garbage time della partita contro i Bucs a pochi minuti dalla fine. Marques Colston ha ricevuto abbastanza bene, ha segnato l'unico touchdown della squadra, ma è stato finora meno convincente dello scorso anno, ma quelli che hanno più deluso sono i due running back, il fiore all'occhiello della passata stagione.

Che Bush fosse un running back atipico lo si era capito subito, ma che non riuscisse minimamente a progredire nella comprensione del gioco di corsa, che non sia solamente corsa in off off tackle alla ricerca dell'angolo per sfruttare la velocità , in pochi lo credevano.
Invece l'ex stella di USC in queste due partite ha dimostrato che il suo valore come running back puro è dubbio. 65 yards totali corse contro due difese non proprio insormontabili, che potevano essere surrogate dalla solita efficacia sugli schemi di screen pass, trovando invece notevoli difficoltà , soprattutto nella partita contro Indianapolis.
Fino all'anno scorso però le lacune di Bush nel gioco di corsa, erano mascherate dal lavoro eccellente di Deuce McAllister come apripista, cosa che in questo scorcio di stagione non si è ancora vista. Poche yards guadagnate anche per Deuce, non ancora 100 in totale nelle due gare disputate e una sensazione di impotenza nei classici buchi centrali con cui apriva le difese avversarie, garantendo a Bush gli spazi per sfruttare la sua incredibile velocità  in campo aperto.

Questa carenza nel gioco di corse e nella completezza dei propri running back ha lasciato a Payton poche carte da giocare e tutte scoperte, dato che i Saints non possono sfruttare il fattore sorpresa come nello scorso anno, trovando molti porte chiuse negli spazi che una volta erano terreno di conquista per il suo attacco.

Inoltre, il fatto di non avere più un'alternativa come Stallworth nel gioco aereo, e la mancanza attuale di un secondo ricevitore opposto a Colston, che completi il reparto, soprattutto nelle tracce centrali tanto amate da Brees, toglie altre carte dal mazzo in mano al coach dell'anno in carica.

Ora sta a Payton trovare delle alternative valide, cercare di recuperare il proprio gioco di corsa e la completezza dei propri running back, variare gli schemi di passaggio che riescano a garantire un utilizzo alternato dei ricevitore ed evitare che Brees abbia troppa pressione nel gioco aereo e diminuisca radicalmente i turnovers.

Il Monday Night in casa con Tennesse potrebbe essere un ottimo banco di prova per recuperare le certezze di un tempo, che sembrano scomparse dopo solo due settimane di gioco.

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