Brett Favre si avvicina sempre di più agli storici record di Dan Marino, e non solo…
Parlare dei trenta e passa quarterback che popolano la Nfl tra titolari e riserve che passano rapidamente dalla fama alla panchina in un solo articolo sarebbe davvero impossibile, ma è innegabile che queste prime due giornate di football giocato ci abbiano regalato più di un motivo di discussione sul ruolo e sui protagonisti che, attualmente, lo ricoprono. Che sia da sempre il ruolo più importante e affascinate di una squadra di football sembra ormai dato per scontato ovunque, ma quest'anno sembra anche che, finalmente, gli argomenti non debbano essere limitati alla sola sfida tra Peyton Manning e Tom Brady. Certamente il quarterback dei Colts e quello dei Patriots rappresentano per più di un motivo ciò che di meglio la Lega possa oggi offrire, ma non per questo è giusto parlare sempre e solo di loro.
Tecnica, precisione, potenza, intelligenza, i due eterni rivali sembrano poter competere più o meno alla pari su ogni importante aspetto che riguardi il ruolo talvolta definito "signal caller" (colui che chiama i segnali - prima dello snap – ). La speranza è che tale diatriba possa essere definitivamente decisa da un bel Championship di Afc, anche se sappiamo che, soprattutto per i tifosi, le accuse per l'avversario e le giustificazioni per il proprio idolo non finiranno mai, ponendo sempre uno al di sopra dell'altro in base ai colori indossati. Certo è che la sfida è cominciata con dei fuochi d'artificio non indifferenti, con Manning già salito a 600 yards tonde tonde, con 4 TD (un intercetto) e solo due sack per un rating pari a 102.8, e Brady che risponde con 576, 6 TD e, anche qui, un solo intercetto e due sack per un totale di 134.2 di rating. E il guanto di sfida è appena stato lanciato.
E' però interessante provare a valutare anche la stagione di altri, in attesa che Donovan McNabb ritorni in campo per il Monday Night di stanotte per dirci se e come si sta riprendendo dall'infortunio di un anno fa. Brett Favre, intanto, mostra tutti i limiti che un'età ormai avanzata gli sta imponendo ma, ieri, con un magistrale quarto periodo, il vecchio #4 dei Green Bay Packers ha vinto la gara numero 149 della sua carriera da titolare a Green Bay (il più vincente di sempre nel ruolo) e, dopo un avvio confuso, ha avvicinato il record di lanci touchdown di quel monumento vivente che risponde al nome di Dan Marino, uno che non ha mai vinto un Super Bowl ma ha già strade e piazze dedicate.
A vuoto nella prima gara contro Philadelphia, Favre ha potuto sfruttare al Giants Stadium un ultimo quarto dove l'inerzia era totalmente a carico dei suoi mentre New York aveva perso ritmo e continuità lasciando che le proprie secondarie venissero travolte dai bersagli di Mr. Brett, nomignolo che userei molto volentieri se non fosse già impegnato dal chitarrista di una band che troverete sotto il nome di Bad Religion. Non mischiamo comunque la musica al football e concentriamoci su Favre, il quale dopo aver colpito il tight end Bubba Franks nel terzo periodo, mandava a punti anche Donald Lee e Donald Driver, creando il break decisivo sugli avversari e portandosi a meno tre dal record di Dan The Man. Ora siamo a 417 ma la prossima sfida, in casa con San Diego, non sembra agevolare la rincorsa del nostro che, anzi, dovrà guardarsi da un altro primato, stavolta negativo, ormai prossimo dall'essere battuto.
George Blanda, con 277 intercetti, è solo davanti a Favre nella disgraziata classifica di quarterback a cui sono stati catturati più lanci dai difensori avversari nella storia della lega e questo primato, tanto quanto il primo, è destinato appunto a cadere visto che il giocatore dei Packers è ormai giunto a 275. Un numero accumulato dal vizio di giocare spesso profondo, di forzare lanci tesi e in verticale per conquistare yards, mete, giocate storiche. Ma un numero che si alza anche grazie alla longevità mostrata da questo atleta, sempre in campo dalla seconda di campionato del 1992. La cosa più sorprendente è comunque che la sua squadra possa guardare tutti dall'alto nella classifica, dopo due vittorie in altrettante gare, sfruttando prima i tanti errori degli Eagles e poi un ottimo secondo tempo contro i Giants come detto in precedenza.
In queste due partite i Packers non sono sembrati fluidi e sempre in grado di giocare un buon football, la difesa ha stregato Philadelphia ma accusato qualche colpo di troppo contro i Giants, salvo poi riprendersi nella seconda metà e appoggiarsi per l'ennesima volta sulle spalle del proprio leader capace finalmente di affondare i colpi giusti dopo sei quarti di attesa dal primo kick off. Verso i record Favre, dopo averne già stabiliti tanti, dopo due Super Bowl giocati e uno vinto, dopo tante soddisfazioni; ma anche verso il sogno più grande, la chimera più difficile da prendere, quella di un'ultima stagione ai playoffs che, insieme ad altre 3369 yards lanciate, darebbe un'altra spinta a Marino e alla sua leggenda, scriverebbe un ennesimo primato e coronerebbe l'ultimo grande sogno. Quanto sia però probabile che i Packers arrivino fino a gennaio non è facile prevederlo, di certo la Nfc North aiuta in questo senso, e le difficoltà mostrate finora da Rex Grossman, regista offensivo della più forte squadra di division, non sono a questo punto da sottovalutare.
Uscito con le ossa rotte dall'ultimo Super Bowl, Grossman è incappato in una bordata di fischi domenica dopo il secondo intercetto, lanciato di nuovo grazie a una scarsa capacità di lettura del gioco, delle coperture difensive ed una inesistente freddezza che sembra accompagnare il carattere del secondo QB dei Bears ad essere giunto ad una finale. Grossman, che ha totalizzato 305 yards, un TD e tre intercetti nelle prime due gare, non esce male solo per via dei numeri da questo avvio di campionato ma, anche e soprattutto, per limiti tecnici e tattici che si palesano sempre di più ad ogni partita. Non fosse che nessuno pretende di paragonarlo a quello che fu suo rivale in quel di Miami il 4 febbraio scorso, il paragone con Peyton Manning non sarebbe solo impietoso, ma una vera e propria certificazione in carta bollata di totale inferiorità sotto ogni aspetto. Fattore che, nella realtà , può essere constatato da chiunque, ma che non scoraggia l'ex quarterback di Florida.
Grossman è in netta difficoltà e a poco vale ormai appellarsi alle scadenti chiamate che l'offensive coordinator Ron Turner (per altro nell'ultima gara equilibrato come mai tra i giochi di terra e quelli via aria) prepara per lui ogni volta, il dubbio è che, oramai, a Grossman non si possa chiamare nulla di diverso da un lancio dritto, forte e teso senza vederlo combinare guai. A fargli compagnia in tutti i lati del campo è certamente Eli Manning, anch'egli vittima di una gestione quasi paradossale da parte del coaching staff, ma non ancora in grado di dimostrare di avere numeri che vadano oltre la capacità di attivare gente come Plaxico Burress e Jeremy Shockey, in definitiva due atleti che farebbero bene con chiunque. Non bastassero le due sconfitte di NY, Manning è stato accusato dall'ex compagno Tiki Barber, all'esordio come telecronista in preseason, di non aver nessun carisma e di essere lontano anni luce dal possedere le qualità di un leader. Detto da Tiki fa certamente male ma, anche qui come per Grossman, il figlio e fratello d'arte non ha intenzione di arrendersi (e ci mancherebbe, aggiungiamo noi), soprattutto considerando che, qualitativamente, non stiamo parlando certo di un pessimo giocatore.
Ma c'è anche chi naviga in acque migliori senza bisogno di scomodare il duo Manning-Brady che sembrano ormai pronti a presentarsi al penultimo atto di postseason uno contro l'altro, cosa che, si ha l'impressione, deluderebbe praticamente tutti gli analisti americani se non avvenisse. Tolti anche i purtroppo noti problemi di Michael Vick, viene spontaneo buttare un occhio su quanto sta facendo Matt Schaub a Houston, squadra che per la prima volta da quando è nata esordisce con un 2-0 e trova un QB capace di 452 yards e 3 TD: meglio di Vick e, soprattutto, del suo predecessore ai Texans, quel David Carr che fu prima scelta al draft e oggi sta a guardare sulla panchina dei Panthers un Jake Delhomme che, se proprio non è resuscitato, sicuramente sembra vivere una seconda giovinezza (508 yards, 6 TD, INT).
Tra i giocatori giunti al secondo anno e scelti al primo giro nel 2006, continua a colpire la capacità di Vince Young di guidare la baracca Titans in completa sicurezza, abile a sfruttare il proprio corpo, la propria rapidità e, essendo ovviamente un quarterback, anche il proprio braccio se necessario. Meno sicuri ma certamente non deludenti anche le altre due prime scelte del 2006, Jay Cutler dei Broncos e Matt Leinart dei Cardinals, lontani dall'essere già campioni affermati ma capaci di evidenziare spesso buone giocate. Cosa che non succede a Drew Brees, che a New Orleans pare aver terminato i punti magia del Voodoo della Louisiana e quelli di Sean Peyton, coach dei miracoli un anno fa e oggi arenato tra gli scogli di un Deuce McCallister e un Reggie Bush praticamente nulli su ogni tipo di gioco.
Una nota a parte la merita certamente Jeff Garcia, veterano già dato da molti per bollito e che, invece, proprio contro Brees ha mostrato di saper far girare la palla ancora piuttosto bene; il suo 10 su 16 per 243 yards con 2 TD di contorno e la casella intercetti splendidamente candida, è valso la vittoria di Tampa Bay, la prima nel 2007, grazie a un gioco attento, preciso e praticamente privo di sbavature o forzature.
Ultimo passaggio in un oceano di nomi e numeri, va dedicato a due coppie di quarterback che ieri si sono trovati gli uni contro gli altri. Non ci siamo dimenticati di Jason Campbell, pallido nella prima uscita dei Redskins ma grande speranza dei capitolini e impegnato stanotte proprio contro Donovan McNabb, né di altri nomi che ai più, probabilmente, non sono sfuggiti. E' però il caso di parlare di Tarvaris Jackson e Jon Kitna, più il vice di quest'ultimo, J.T O'Sullivan, che ieri hanno dato vita a quel Detroit-Minnesota che ha permesso ai Lions di appaiare i Packers in testa alla Nfc North grazie a un sofferto 20-17. Per Tarvaris Jackson, il grande atteso di Minneapolis, è un avvio tremendo, fatto di 329 yards e 5 intercetti (4 solo ieri) e un solo TD; una partenza che tradisce le speranze che ben erano state riposte un anno fa, un avvio che comincia, inevitabilmente, ad alzare dubbi sulla consistenza generale del ragazzo uscito da Alabama State. Meglio decisamente Jon Kitna, ancora vittima troppo spesso di intercetti (3) ma capace comunque di lanciare 4 volte un compagno in TD e colpire per 534 yards.
La tranquillità di Kitna nasce probabilmente dal fatto di avere alle spalle una riserva piuttosto sicura che, tolto qualche infortunio, dimostra di riuscire a tenere il campo: J.T O'Sullivan, ex Chicago Bears e titolare all'ultimo World Bowl della stagione conclusiva dell'era Nfl Europa, e che nella sua prima apparizione ufficiale tra i pro a stelle e strisce, ha sì lanciato due intercetti e perso un fumble costato sette punti ai suoi, ma è anche riuscito a reggere la pressione di tanto in tanto ed ha mandato in meta il fenomenale rookie Calvin Johnson. Non un avvio positivo, ma per un esordiente che due mesi fa era rimasto senza squadra si è visto qualcosa di buono e una discreta reazione prima che Kitna riprendesse in mano il timone dopo che l'infortunio che lo aveva colto in partita gli aveva concesso un po' di respiro.
Abbiamo però parlato di due coppie di QB che si sono trovate una di fronte all'altra nella seconda domenica di football Nfl. Ecco quindi che non può quindi passare inosservata la prestazione di Carson Palmer e Derek Anderson nella super sfida tra Cincinnati e Cleveland vinta dai Browns con l'incredibile risultato di 51-45 (ottavo punteggio totale più alto della storia). Se di Palmer sappiamo tutto o quasi tutto, ed il suo 33/50, 401 yards, 6 TD (e 2 INT) pur essendo una rarità non sembra una novità assoluta (ricordiamo le 440 yards con tre TD pass lo scorso anno con San Diego, coinciso con un'altra clamorosa sconfitta) e serve solo a confermare le qualità dell'ex di Southern California e della sua batteria di ricevitori, ecco che invece sorprende, e non poco, quanto raccolto da Derek Anderson.
Diventato titolare in settimana dopo che Charlie Frye era stato spedito a Seattle in cambio di una scelta al draft, e preferito al figliol prodigo dell'Ohio Brady Quinn, catturato al draft dopo una trade dell'ultimo minuto, ecco che Anderson, terzo anno con esordio lo scorso campionato in 5 gare di cui 3 da titolare, ha colpito il bersaglio giusto nel 60,6% dei lanci, si è fatto intercettare una volta, ma ha tagliato il campo per 328 yards e messo a referto 5 TD, attivando forse come mai prima d'ora in Nfl il talento dell'attesissimo Braylon Edwards.
Ecco quindi che il quadro è più o meno completo, con numeri importanti ed altri che fanno tremare le tifoserie per le sorti della propria squadra e del proprio gioco offensivo, con quarterback inespressi, immaturi, involuti o incapaci. Può succedere tutto ad un atleta, anche di peggiorare nel tempo perché non tutto è come il buon vino, anzi, spesso ti vedi rifilare una vomitevole brodaglia in brick che qualcuno tenta di spacciare per "primissima qualità ". La stagione è però cominciata con molti punti su cui poter discutere dei quarterback, da quelli come Marc Bulger che si trovano 0-2 senza troppe responsabilità (535 yards e 2 TD in due partite, senza l'ombra di un intercetto) a quelli come David Garrard, che a Jacksonville è costato il posto a Byron Leftwich ma che sta avanzando tra alti e bassi. Ed è una buona cosa che i quarterback ci diano così tanti motivi per cui discutere, che alzino numeri da favola e avvicinino un primato dopo l'altro rendendo il campionato avvincente e ancora più spettacolare. Certo, ce ne saranno ancora e ancora di più di nomi da fare da qui a dicembre, con crisi, fallimenti e tagli o imprese, record e vittorie. Di fatto, in questa lista un po' monca, avremmo voluto parlare anche di JaMarcus Russell, prima scelta assoluta in aprile che, mentre Josh McCown alza "l'impressionante" cifra di 73 yards contro Denver, se ne sta da qualche parte a riflettere sulla propria avidità , forse, o sulle proprie capacità che, nessuno, può vedere in azione. E chissà come finirà ; di certo oggi non è un quarterback e oltre a privarci probabilmente di argomenti, giocate e numeri sta sicuramente privando sé stesso di uno dei mestieri più affascinanti del mondo, il tutto per un pugno di dollari. O poco più, s'intende.