Non più solo “record man”

Peyton Manning leva il pugno al cielo, il migliore del Super Bowl di Miami è proprio lui

25/38 per 247 yard e un TD: ecco le cifre con cui Peyton Manning ha conquistato il titolo di Most Valuable Player di Super Bowl XLI, mettendo così a tacere definitivamente tutti i suoi detrattori.

Manning, finora, era stato da sempre identificato come l'"uomo dalle grandi statistiche" (nel 2004, record NFL di 49 TD pass e rating di 121.1, tanto per fare due esempi), uno dei più grandi quarterback della storia del gioco. Già  da qualche anno, però, il prodotto della University of Tennesse era automaticamente associato a quello di Dan Marino, Hall of Famer, ma senza ombra di gioielleria NFL alle dita. Perché? Un bilancio di sei vittorie e sei sconfitte in post-season accompagnato da zero apparizioni al Super Bowl, dati che i critici non mancavano mai di paragonare a quelli di Tom Brady, detentore di tre Super Bowl con i suoi Patriots, pur non avendo gli stessi numeri di Peyton.

"Beh, forse ora la gente dirà , 'Se non ne vince due di fila, non è abbastanza bravo'". Ironia di Tony Dungy a parte, Manning, le cui prime parole dal palco posto al centro del Dolphin Stadium sono state dirette a definire "una vittoria di squadra" la conquista del Super Bowl, si merita indubbiamente il titolo di miglior giocatore della partita., non tanto per i suoi numeri, non stellari, considerando come ci ha abituati, ma per l'efficacia con cui ha orchestrato l'attacco di Indianapolis, capace di conquistare ben 430 yard di total offense contro la difesa dei Bears, che sperava di limitare le grandi giocate del figlio di Archie con la propria Cover 2 e con la mano della pioggia, che per la prima volta nella storia è diventata uno dei protagonisti del Super Bowl. I Bears, posizionando le safety Danieal Manning e Chris Harris per almeno tre quarti della partita circa 15 yard lontano dalla linea di scrimmage, hanno sì limitato il gioco in profondità  dei Colts, ma non sono riusciti a neutralizzare comunque Peyton Manning, che è stato letale nell'alternare alla perfezione passaggi corti e veloci verso sette ricevitori differenti con le corse del tandem Rhodes-Addai per guadagni modesti ma sufficienti a "moving the chains". Questo tipo di gioco ha permesso così a Manning di demolire la difesa dei Bears facendola restare in campo per 38 minuti in cui Indianapolis ha effettuato ben 81 snap, in confronto ai soli 48 dei Bears.

Peraltro la partita di Manning non era iniziata nel migliore dei modi, visto che nel primo drive dei Colts ha lanciato il settimo intercetto della postseason. Il punto di svolta, per Peyton e per i Colts, è arrivato quando, sempre nel primo quarto, ha lanciato un TD da 53 yard verso Reggie Wayne, sfruttando un gravissimo errore delle safety dei Bears. "Penso che abbiano completamente sbagliato la copertura", ha detto Manning, "Doveva essere una Cover 2, mentre Chris Harris ha giocato a uomo".

Alla domanda su come si fosse sentito a scendere in campo al Dolphin Stadium, Manning ha detto che due ore prima della partita aveva fatto un warmup con Wayne e Harrison, quella sessione di allenamento che chiama "il pre prepartita, quando andiamo in campo e ci esercitiamo con tutte le nostre tracce". "È divertente, mi sono sempre detto, 'Non sarà  facile farlo al Super Bowl. Là  fuori ci sarà  gente di ogni tipo. Tom Cruise sarà  in campo e bisognerà  dirgli di farci spazio. E Prince sarà  là  fuori a riscaldarsi'". Sfortunatamente per i Bears, il campo, forse causa pioggia, era tutto per Manning e compagni.

Inizia ora quella che, probabilmente, sarà  la settimana più bella della vita di Manning. Possiamo dire che è iniziata almeno insolitamente. Lunedì mattina Peyton stava parlando al telefono con un amico quando Tony Dungy lo ha interrotto per passargli un cellulare. "Ho attaccato con il mio amico per parlare con il presidente". Eh già , era George Bush che voleva fargli complimenti e dirgli che non vedeva l'ora di dare il benvenuto ai Colts alla Casa Bianca.

Una cosa è certa: a Manning non dispiacerebbe affatto se la gita a Washington, nei prossimi anni, diventasse un'abitudine.

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