Drew Brees esce sconsolato dal Soldier Field di Chicago, e tutti già si chiedono se nel 2007 sarà in grado di ripetersi, tanto lui quanto i suoi Saints.
All'indomani del Championship NFC in America campeggiava già la fatidica domanda: "Riusciranno i Saints a ripetersi?" Certo non è facile rispondere, soprattutto pensando ad una squadra che, a conti fatti, ha sbagliato una sola partita nell'arco della stagione e per di più al cospetto della migliore difesa della NFL, cosa, quest'ultima, assolutamente da non sottovalutare.
Additare qualcuno per la sconfitta subita all'atto decisivo di questa 2006 season non sarebbe ne facile, ne tantomeno giusto, per un milione di perché e di percome, o più semplicemente per il motivo che la cultura sportiva americana, a differenza di quella nostrana, non ha bisogno di individuare un colpevole per poter giustificare una sconfitta.
Si può disquisire quindi su tanti fattori, su cosa non ha funzionato, su chi magari si è presentato all'evento al culmine della tensione e distante, magari, dalla forma migliore, sugli errori, sugli episodi, ma la verità è un'altra: New Orleans non è mai stata così in alto, ma soprattutto non è mai stata così bella da vedersi. Ponendo il discorso in questi termini allora riusciamo a parlare di meriti, più che di colpe, perché d'altronde se i Saints sono riusciti a diventare il miglior attacco della National Football League è giusto analizzarne i lati positivi, anche alla luce delle ultime stagioni, pessime, "vissute" dalla franchigia della Louisiana.
Il principale artefice di questa "rivoluzione" è stato senza dubbio Sean Payton, head coach alle prime armi, capace di trasformare una delle cenerentole della NFL in una tra le principesse più ambite e corteggiate, tanto da essere presenza quasi fissa nei match "by night". L'esplosione del fenomeno New Orleans però non si poggia solo sull'ottimo playbook sviluppato dal nuovo coach, bensì, con molta probabilità , su tre fattori, o momenti chiave, che hanno cambiato il volto alla squadra; il primo è coinciso con la firma di Drew Brees nelle prime settimane di freeagency, il secondo con la chiamata numero 3 al draft con cui è stato scelto Reggie Bush e l'ultimo, ma forse il più importante, con la bravura di Payton nel riuscire a sfruttare al meglio le potenzialità della squadra facendo coesistere quest'ultimo con il RB veterano Deuce McAllister.
L'ingaggio di Drew Brees, quarterback esploso nelle ultime due stagioni con i San Diego Chargers, è stato il primo tassello con cui si è deciso di dare una veste nuova , e vincente, a questi Saints; ottimo passatore, bravo a distribuire i palloni in ogni direzione e in possesso di una buona visione di gioco, l'ex numero 15 di Purdue ha dimostrato di saper guidare con la giusta concretezza e destrezza un attacco NFL, facendosi pure un po' rimpiangere da chi, in California, aveva deciso di accantonarlo troppo presto.
Al suo fianco Deuce McAllister ha saputo ritrovare il giusto passo sfruttando l'inerzia positiva della squadra, confermando, anche se non ce ne sarebbe stato alcun bisogno, di essere uno dei runningback più caldi di tutta la lega. La sua stagione 2006 è stata una delle migliori in assoluto con 1,057 yards corse e 198 ricevute per un totale di 10 touchdown, culminata con le 163 yards (143 corse e 20 ricevute) e i due touchdown realizzati nel Divisonal Plauyoff contro Philadelphia, in una partita giocata da assoluto protagonista.
Con un compagno di reparto in gran spolvero davanti, inutile dire che per Reggie Bush è stato difficile trovare spazio nel backfield, anche se l'ex gioiellino dei Trojans ha saputo divincolarsi al meglio sfruttando tutta la sua eccezionale ecletticità per ritagliarsi uno spazio come wide receiver o returner piuttosto che runningback di scorta. Diciamo che le qualità di questo ragazzo non si scoprono certo ora, anche se in pochi avrebbero giurato su un impatto così positivo tra i professionisti, impatto che per molti Heisman winner è stato fatale; "The President" ha invece conquistato tutti, anche gli scettici, dimostrando a tutto il mondo chi era con la ricezione da 88 yards al Championship, che aveva messo momentaneamente in carreggiata New Orleans e con cui ha suggellato alla grande la propria stagione.
Ad un trio delle meraviglie del genere, da cui sono dipese molte delle fortune dei Saints, nel corso della stagione, grazie all'ottimo lavoro svolto da Payton e dal suo staff, si è aggiunto un pacchetto di ricevitori emergenti altamente indiziato a diventare uno dei più qualitativi dell'intero panorama professionistico del football USA; Marques Colston, Davery Henderson e Terrance Copper sembrano ormai avviati ad un radioso futuro, pronti a raccogliere la pesante eredità che Joe Horn prima o poi sarà costretto a lasciargli.
Proprio l'assenza del WR veterano di New Orleans è stata individuata da tanti come uno dei fattori che hanno condizionato la partita, e forse a conti fatti non si può nemmeno dargli torto visto che la sua esperienza ultradecennale avrebbe fatto sicuramente comodo. Stessa cosa la si può dire di LeCharles Bentley e Wayne Gandy, offensive lineman accasatisi altrove in estate che hanno lasciato indubbiamente sguarnita la linea, tartassata senza pietà al Soldier Field da una difensive line dei Bears in cerca di scalpi e gloria.
L'idea infatti è che ai Saints siano mancate davvero pochissime cose per riuscire a centrare "l'impresa" Super Bowl, una serie di mancanze che hanno deciso di verificarsi tutte nella stessa sera, proprio quando sembrava esserci il classico appuntamento con la storia. A mente lucida è palese che le condizioni per scrivere l'ennesima "favola americana" c'erano tutte, dalla rinascita della città dopo l'uragano Katrina alla voglia di riscatto dei tifosi e della squadra (costretta a giocare in trasferta per l'intero 2005), dal desiderio di Payton di stupire alla voglia di tanti giocatori a roster di rilanciare le proprie carriere e ambizioni.
Atleti come Scott Fuijta e Scott Shanle, accantonati in fretta da Parcells e i Cowboys, hanno giocato con grinta e concentrazione come mai prima, mostrando una precisione chirurgica nei placcaggi e nell'esecuzione dei giochi che li ha portati ad essere tra i migliori nel ruolo in questa stagione. Will Smith e Charles Grant hanno dimostrato di essere una delle più forti coppie di defensive end del football Pro; Mike McKenzie, Josh Bullocks e Omar Stoutmire, quest'ultimo assente al Championship, hanno vissuto una stagione ad altissimi livelli, come Fred Thomas che fino all'epilogo è stato pressoché perfetto, anche se indubbiamente considerato il lato debole di queste secondarie. Se a tutto ci aggiungiamo che John Carney, kicker con 18 stagioni di NFL alle spalle, non è stato mai così preciso come quest'anno, il quadro è, od era, completo.
La sensazione di primo acchito è che questa sembrava essere una di quelle occasioni da "ora o mai più", perché la maggior parte delle cose giravano per il verso giusto e anche la dea bendata pareva aver deciso di prendere casa a New Orleans, eppure qualcosa è mancato, ma cosa? In primis come detto una linea più forte e pronta ad attutire i colpi delle difese avversarie anche quando vestono divise blu con bande arancioni, poi forse anche un tight end dominante. Se tutti ricordiamo il Brees di San Diego è infatti innegabile che il 90 % del suo passing game si poggiasse sul giocatore che ricopriva quel ruolo, nel caso dei Chargers un "certo" Antonio Gates, mica uno qualunque; al Brees versione Saints invece questa cosa è mancata, nonostante l'arrivo di Campbell in estate da Buffalo, e nonostante che Colston fosse stato draftato proprio come TE.
Eppure il gioco di Drew è cambiato parecchio nel viaggio da San Diego a New Orleans; in California giocava per linee centrali o al massimo andava a cercare McCardell sulla sideline, in Louisiana invece cercava di muoversi prevalentemente sull'esterno delle hashmarks, colpendo anche sul profondo quando si trovava a poter sfruttare la velocità dei propri ricevitori. Il dato riguardante il passing game dei Saints è dimostrato anche a livello statistico, dove c'è sostanziale differenza tra le yards ricevute dai WR, 3,589, e quelle ricevute dai TE, 337, stessa cosa dicasi dei touchdown dove il computo è ancora più gravoso e nettamente a favore dei ricevitori, con un 20-0 disarmante che mostra una chiara mancanza nell'attacco; il tutto poi stona con i numeri a cui ci aveva abituato il quarterback numero 9 con i Chargers, dove negli ultimi due anni il miglior "ricevitore" era stato lo stesso Gates con 964 yards e 13 touchdown nel 2004, e con 1101 yards e 10 realizzazioni nel 2005.
Inutile dire che se New Orleans vorrà cercare di attaccare il Super Bowl dovrà coprire assolutamente questo ruolo e rinforzarsi in altri in maniera oculata, e soprattutto logica, cosa che tra l'altro coach Payton sembra in grado di fare. Poi chiaro che ci sta tutto dentro, le previsioni fatte sulla carta non sempre sono azzeccate, anzi, c'è sempre l'infortunio che attende sornione dietro l'angolo uno dei giocatori di punta, oppure il giocatore che si rivela un investimento sbagliato; ci sta anche che una safety, un fumble, e un drive offensivo "da urlo" giocato dagli avversari, posti in rapida successione, ti portino fuori dai giochi, ma diciamola tutta, ora come ora, ai Saints basterebbe ripresentarsi ai playoffs l'anno venturo, bissando la stagione vincente.
Tornando quindi all'inizio dell'articolo e alla domanda che l'America si pone, "Riusciranno i Saints a ripetersi?", la mia risposta, per una serie di motivi che spero di esservi riuscito a spiegare, è: "Si, assolutamente si!"