Peyton Manning colpisce i Patriots con uno dei suoi lanci; domenica il QB dei Colts ha finalmente vinto i propri incubi.
Peyton Manning c'è riuscito. Se c'è una notizia davvero da prima pagina dopo le due finali di conference della NFL è questa, Peyton Manning ha vinto le proprie paure, battuto gli avversari storici delle ultime stagioni, rimandato a casa New England e si è guadagnato il tanto agognato accesso al Super Bowl, il numero 41 per l'esattezza. Impossibile non pensare che dopo mezz'ora di football, domenica notte, fossero in tanti a credere di essere di nuovo di fronte al solito Manning in abito da "situazione che conta", ovvero la partita senza domani, il match che decide la stagione. Il più grande (e forte) dei figli di Archie ha fatto quel passo che tutti aspettavano da anni, e non contro un avversario qualunque, ma contro Tom Brady e quei Patriots che in due occasioni avevano disintegrato le ambizioni di postseason dei Colts e fatto uscire dal campo con le ossa rotte, e la testa vuota, il povero Peyton. Quei Patriots che chiedevano il lasciapassare per ridisegnare il libro dei record e dare continuità alla propria dinastia.
La musica non era cambiata un anno fa, contro quegli Steelers poi divenuti campioni del mondo e capaci di dominare per tre quarti le offensive dei Colts ritrovandosi di fronte il "solito" Manning, quello che si scioglie quando è il momento di dimostrare che non si vince solo in regular season. I playoffs 2006 non sono cominciati bene, sommando ogni singolo evento potremmo parlare di dieci quarti piuttosto mediocri, uno dopo l'altro. Intercetti a valanga, imprecisione, addirittura nessun TD pass contro Baltimore. La solita musica insomma, e sempre lo stesso maestro a dirigere l'opera.
Cosa sia successo nello spogliatoio del RCA Dome domenica scorsa non ci è dato saperlo, l'unica cosa che tutti avevano ben chiara in testa era la situazione, piuttosto drammatica, che Indianapolis stava vivendo nei confronti della loro bestia nera per eccellenza. Sei punti a tabella, tutti grazie al piede di Adam Vinatieri, un attacco non proprio dominante, un intercetto del brillante Asante Samuel riportato in meta, un gap da recuperare di 18 punti riportato prima del gong a 15. Per inciso, l'impresa di recuperare così tanti punti non è mai riuscita a nessuno in post season da trentasette anni a oggi, giusto per sottolineare ulteriormente il peso di tale evento da consegnare ai posteri come la Partita, una di quelle gare che devi scrivere con la "P" maiuscola. Una di quelle partite che toglie di dosso da Manning gli abiti del "solito" in senso negativo quando si parla delle partite di gennaio.
Il secondo tempo spinge Manning ai vertici della propria carriera, il #18 prende finalmente per mano i propri compagni e li guida a rimonta con sorpasso, conclude dopo aver lanciato 349 yards ed un TD per Dan Klecko (DT sfruttato in avanti ed ex patriota), aver segnato un rushing TD ed aver completato, insieme a Marvin Harrison, una conversione da due punti. La spinta finale, nell'ultimo quarto, la danno i suoi compagni ormai esaltati da tale prestazione, con Jeff Saturday che ricopre un fumble in endzone, Vinatieri che mette un'altra tripla su field goal e il rookie Jospeh Addai che segna la meta decisiva ad un minuto dal termine dopo un drive da 80 yards guidato magistralmente proprio da Manning con tre lanci iniziali che hanno rovesciato buona parte del campo insieme ad un roughin the passer subito. A Brady non resta poi che la beffa dell'intercetto di Marlin Jackson nel tentativo di rimontare e la beffa è servita, i ruoli completamente invertiti, i Patriots a testa bassa con il loro leader sconfitto, Tony Dungy, finalmente, al Super Bowl.
Manning finalmente decisivo, freddo, determinante e determinato; un drive, l'ultimo, che ha del pazzesco, giocato in sette plays per 80 yards, una parte di football da mostrare ai ragazzini dicendo "hey, questo è il numero uno, e questo drive vi spiega perché".
Il titolo di predestinato cominciava a pesare davvero tanto per Manning, ed anche se ora ci sarà da fare un altro sforzo per aggiudicarsi l'anello, il peggio sembra essere passato, il passo più difficile è compiuto, la storia riscritta. Ora c'è Chicago, ma nel frattempo i Colts sono campioni della AFC. "Suona bene" ha detto Manning prima ancora di lasciare il campo domenica sera, "ed è reale".
"E' fantastico per Peyton raggiungere il Super Bowl dopo un drive simile" ha rincarato la dose coach Dungy, che si coccola il proprio leader e capitano, l'uomo che può finalmente portare al titolo la franchigia. La svolta è stata soprattutto mentale, un lavoro che probabilmente ha interessato proprio lo stesso Dungy ed il suo staff, capaci di recuperare mentalmente il proprio quarterback, di rigenerarlo, di fargli sentire tutta la loro ammirazione e la loro fiducia, mentre i compagni mai una volta hanno realmente dubitato delle doti del proprio leader. E Manning ha ripagato tutti sul campo, giocando drive eccellenti, sbagliando pochissimo, colpendo spesso dalla shotgun con il suo braccio, il migliore della Lega. Senza contare il modo più disinvolto in cui ha gestito la propria linea, accelerando i tempi meglio del solito, controllando con più polso il ritmo, come mai in una gara di playoff di questa difficoltà gli avevamo visto fare.
Giù il cappello per l'uomo dei record, pronto a togliersi di dosso un'odiosa etichetta e a giocarsi al top il Super Bowl contro i Bears; del resto, dopo aver travolto il peggiore dei propri incubi, cosa potrebbe davvero intimorire Peyton Manning?