Bears, si va a Miami!

Un raro sorriso di Brian Urlacher: evidentemente li tiene per le occasioni come questa…

Proprio nel momento in cui i Chicago Bears potevano contare un manipolo abbastanza folto di detrattori in vista del proseguio della loro stagione la squadra ha deciso di tornare a giocare come faceva ad inizio campionato, spaventando tutti con la sua feroce difesa e gestendo oculatamente il possesso offensivo tramite un gioco di corsa ben piantato, in assenza di un gioco aereo troppo spesso limitato dalle giornate alterne di Rex Grossman. A farne le spese, in quello che era lo scontro che decretava la partecipante della Nfc al prossimo Super Bowl, i New Orleans Saints, bravissimi ed encomiabili per il solo fatto di essere arrivati fino a qui, ma troppo propensi (almeno ieri) a fare errori che alla fine sono risultati determinanti, una serie di turnovers buoni per 13 punti avversari, fattore che normalmente determina più degli altri una partita di football americano.

Ebbene i Bears si sono aggiudicati un biglietto per Miami e diventano una delle storie dell'anno, dopo che i cosiddetti "doubters", ovvero quelli che trovano il difetto anche dove non c'è, avevano sostenuto che con l'alto numero di assenti per infortunio (Tommie Harris e Mike Brown su tutti) la difesa che mangiava vivi gli avversari non era più la stessa, era debole sulle corse e maggiormente vulnerabile nelle secondarie. Qualcosa di vero c'era sicuramente, i difetti persistono ovunque per natura, ma nella partita vista ieri perlomeno sono rimasti nascosti molto bene, permettendo alla sopracitata difesa di colpire duro recuperando palloni a volontà , permettendo ancora una volta all'attacco di sfumare la propria inconsistenza iniziale con posizioni di campo privilegiate, con punti sul tabellone arrivati ben presto.

Il risultato finale, un sontuoso 39-14 in favore dei Bears, è forse punizione troppo dura per una squadra meritevole come i Saints, riuscita a rimanere in partita riacciuffando il risultato per i capelli dopo la difficoltosa partenza, arrivando ad un amen dall'inaspettato vantaggio, prima di fare harakiri sotto i colpi di una pressione spaventosa, che ha costretto Drew Brees (27/49, 354 yards, 2 TD, INT) a commettere l'errore forse decisivo, quello che di fatto ha cambiato il volto della contesa e ridato energie alla squadra di casa.

Le cose apparivano chiare fin dalle prime battute, quando Israel Idonje registrava la prima vera giocata a favore mettendo a sedere Brees nel primo drive offensivo dei Saints, e con lo specialista Mark Anderson a terminare il lavoro con un fumble forzato ed un quarto down quindi scaturito; una buonissima partenza di Brees (6/8 per cominciare) veniva dunque offuscata dalla apparente mancanza di concentrazione iniziale da parte dei suoi bersagli preferiti, su tutti quel Marques Colston (5 rec, 63 yards, TD) sempre sorprendente ma colpevole di un fumble buono per tre punti avversari, nonchè di almeno due ricezioni da primo down mancate per sua responsabilità , riscattate sul finire del primo tempo con il primo vero drive convincente di New Orleans, terminato con una sua ricezione vincente dopo una sua spettacolare conversione di un terzo e dieci in mezzo al campo, nonostante la vicina presenza del pericoloso Brian Urlacher.

Prima della reazione degli ospiti i Bears avevano convinto poco dal lato offensivo, conquistando yards costanti solamente grazie al duo Jones/Benson e trovandosi agevolati dalle ottime ripartenze provocate dai turnovers degli avversari; tuttavia le occasioni non erano state sfruttate a dovere, ed i primi viaggi in territorio nemico avevano trovato risultati soddisfacenti a metà , grazie alla precisione del piede di un Robbie Gould (3/3) autore dei primi 9 punti dei suoi.
In tale frangente, una delle maggiori preoccupazioni dei Bears si era avverata, in quanto la versione di Rex Grossman (11/26, 144 yards, TD) vista nei primi 30 minuti non corrispondeva a quella desiderata da Lovie Smith, con il quarterback a sprecare tre lanci all'interno delle dieci yards sbagliando non di poco le misure, concludendo il primo tempo con un deprimente 3/12 per 37 yards, 30 delle quali erano state ottenute in un solo gioco.

Dal lato delle corse, fortunatamente, le cose andavano meglio: Benson continuava a guadagnare preziose yards extra grazie al suo stile possente, Jones, dopo un inizio reso difficoltoso dalle continue scivolate sul terreno umido, era esploso sul drive del 16-0 momentaneo, correndo per 8 volte consecutive per più di 60 yards, togliendo la pressione da Grossman e dando la netta sensazione che i Bears stavano cominciando a dominare la partita in lungo ed in largo.

La sensazione sopra descritta sembrava però svanire ad inizio ripresa, con i Saints sotto di soli 8 punti dopo il TD sopra menzionato da parte di Colston: dopo aver fatto una semplice comparsata nei primi due quarti, Reggie Bush (7 rec, 132 yards, TD) scovava, grazie ad una chiamata davvero intelligente di Sean Payton, una lunga via di fuga verso la meta incrociando la traiettoria con il ricevitore di fianco a sé, tagliando fuori il disorientato Chris Harris e mettendo fuori gioco con una finta l'accorrente Danieal Manning, andato troppo leggero sul misero tentativo di placcaggio permettendo a El Presidiente di percorrere 88 yards in accelerazione, con tanto di capriola finale in area di meta.

Ma proprio nel loro momento di maggiore difficoltà  i Bears ritrovavano la strada intrapresa all'inizio, inducendo Brees a commettere lo sbaglio decisivo, costringendolo a liberarsi di uno scottante pallone all'interno della endzone, ma senza avere un ricevitore nei paraggi provocando quindi una penalità  per intentional grounding, penalità  che se commessa all'interno della propria area di meta provoca gli stessi effetti di una safety come da regolamento, ovvero due punti per gli avversari e palla da restituire con un free kick.
All'improvviso, dopo avere sprecato l'opportunità  del vantaggio con un field goal sbagliato da Billy Cundiff, i Saints prendevano un ulteriore piccolo distacco passivo, appesantito poco dopo dal primo drive decente costruito da Grossman, bravo a pizzicare ogni singolo errore di marcatura di Fred Thomas su Bernard Berrian, (5 rec, 85 yards, TD) e dal fumble (il terzo) provocato e ricoperto da Adenwale Ogunleye, trasformato in altri 7 punti dal primo TD in carriera nei playoffs di Cedric Benson.

Una volta completata la frittata con un intercetto di Nathan Vasher ed un altro touchdown di Thomas Jones, a Drew Brees ed i suoi Saints non è rimasto che ripensare alla bellissima stagione passata, terminata in un modo un po' brusco ma comunque appagante, una stagione partita con diversi presupposti, quelli di giocare un football decente per migliorare il 3-13 di un anno fa e trasformatasi in una corsa pazza ed entusiasmante sostenuta dall'appoggio di una città  che sta cominciando a rinascere un po' alla volta, un'avventura che ha in ogni caso portato la squadra di New Orleans là  dove non era mai stata, a guardare le cose da un'altezza mai sfiorata prima.
Per un momento il sogno pareva diventare realtà , per un momento era parso possibile venire a Chicago e vincere sconfiggendo anche quella forte difesa con i big plays, per un momento sembrava che le giocate difensive di Willie Smith e soci potessero mettere in crisi Grossman.

Ma così non è andata.

Dunque Cenerentola si ferma qui, la sua storia di belle speranze e sogni da accarezzare va in frantumi sotto i colpi spietati di una difesa compatta, unita come qualche mese fa, che ha concesso qualche episodio per poi chiudere definitivamente la saracinesca, che ha ritrovato se stessa proprio nel momento in cui c'era maggior bisogno.

Si concretizza così il lungo lavoro di coach Lovie Smith, un lavoro fatto di sudore, di dolore, di delusioni per le recenti sconfitte nei playoffs nonostante i favori dei pronostici: al Super Bowl di Miami troverà  il suo collega Tony Dungy, sarà  il primo scontro in finale di ogni epoca tra due allenatori di colore, sarà  lo scontro tra due squadre dalla storia simile, spesso vincenti a mani basse in regular season, spesso deludenti nel mese di gennaio.

Ora finalmente ce l'hanno fatta entrambe, il più grande spettacolo sportivo del mondo le aspetta tra due settimane, da una parte Brian Urlacher, dall'altra Peyton Manning. Uno di questi due campioni vincerà  l'anello. E dopo anni di lavoro duro e sacrifici uno dei due verrà  premiato.
E sarà  la degna conclusione di un'altra delle meravigliose storie che solo questo sport riesce a mettere assieme.

Che lo spettacolo cominci.

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