Tom Brady corre superando Urlacher per un primo down che vale la partita.
A Chicago, si sa, tira spesso un gran vento, altrimenti non la chiamerebbero la Città del Vento, ma l'aria che comincia a tirare per Rex Grossman non appare delle migliori. Cominciamo dalla fine, da quel fumble recuperato dai Bears che apre la via di un ultimo drive di speranza per Chicago e che il quarterback sciupa, miseramente, lanciando l'ultimo di nove turnover totali in partita, palloni persi che sono stati quasi gli unici protagonisti della gara. Grossman si gioca la possibilità di chiudere vincendo in rimonta, magari guidando un ottimo drive, ed ora in Illinois qualcuno mormora. Perché in fin dei conti, una vittoria così, e in rimonta, sarebbe stata più che prestigiosa per Chicago.
Non sussurrano brutte parole i giornalisti comunque, loro no, loro non possono infierire su un giovane che sta tentando di diventare qualcosa di simile ad un vero atleta NFL; i giornalisti guardano i numeri e spiegano alla gente che i Bears sono 9-2 anche grazie al loro QB, anche grazie ad una buona crescita collettiva di un attacco spesso (ma sempre meno di frequente a dire il vero) ben guidato proprio da Grossman. Eppure, tra le righe, qualcuno lo sottolinea; quattro palloni persi da Grossman, non dai Bears, ma da lui, solo da lui. E i tifosi, non tutti, chiedono già la sua testa. Il Super Bowl, che a Chicago talvolta chiamano "Terra Promessa", manca da troppo tempo, persino una squadra competitiva manca da troppo tempo. E ora che tutto sembra a posto il problema potrebbe proprio essere quel che ragazzo che per anni è stato aspettato a braccia aperte da tutti mentre lottava contro una sfortuna incredibile. Dopo anni sembrava ce l'uomo giusto potesse arrivare per portare finalmente la squadra in quella Terra Promessa, ma dopo appena tre mesi l'amore potrebbe finire.
Non è tutto negativo per Chicago, che riesce comunque a chiudere 1-2 questa trasferta nell'est del paese grazie alla doppia vittoria di New York, e non è nemmeno tutto da buttare per quel che riguarda la gara ieri. Certo, quell'ultimo pallone infilato tra le mani di Asante Samuel (3 INT) ha chiuso la partita in modo indecoroso, lanciando parecchi fan nella frustrazione che nel dopo Kyle Orton speravano di non dover rivivere. Ma a Chicago hanno fretta, i tifosi, vogliono vincere; rookie o veterano che importa, loro vogliono una squadra che giochi. Fino al momento in cui Tom Brady non ha guidato il drive vincente, la partita dei due rivali era più o meno in fotocopia, con la scusante che Brady non si è fatto intercettare, ma è stato Charles Tillman a sfruttare, su entrambi i palloni recuperati, lanci deflettati. Grossman invece era stato "letto" e colpito senza pietà . A Chicago chi gioca sempre è la difesa, e ci hanno pensato Lance Briggs (due fumble forzati), Brian Urlacher che ha menato a destra e a manca e Chris Harris, sempre presente in ogni angolo del campo dopo l'infortunio di Todd Johnson, a tenere in piedi la baracca.
Ma non è bastato. Come non è bastato correre 153 yards in faccia alla seconda difesa su corse della lega con un Thomas Jones ormai a pieno ritmo (23/99) ed un Cedric Benson (10/46) capace di sfondare blocchi come un veterano e di far tremare in casa propria i New England Patriots. La sfida si è decisa proprio in cabina di regia, oltre che al susseguirsi di cambi possesso che hanno dato vivacità ad una partita davvero incredibile nonostante il risultato striminzito (17-13). Quando alla fine serviva la mossa in più è uscita, oltre alla classe, l'esperienza, la disperazione di chi deve vincere a tutti i costi, la rabbia agonistica di tutti quegli uomini che hanno tre anelli da onorare.
E' uscito Tom Brady, anzitutto, che si è caricato la squadra in spalla, ha migliorato i propri numeri nel finale (22/33, 269 yds, TD, 2 INT), lanciato la palla della vittoria nelle mani di Benjamin Watson e chiuso, sulle proprie gambe, un down fondamentale, buttandosi proprio verso un Urlacher troppo frettoloso che è andato a mancare il placcaggio concedendo a Brady un down pesante come il mondo. E in tutti questi turnover che riaprivano costantemente i discorsi della gara, l'ultimo lo ha estratto dal cilindro proprio Grossman (15/34, 176 yds, 3 INT) che solo grazie alle penalità dei defensive backs di New England era riuscito a guidare un drive vincente chiuso con la meta di Benson.
Certo, per Chicago non ci sono solo le palle perse, ma anche il primo field goal sbagliato da Robbie Gould grazie al blocco di Richard Seymour dopo che una penalità del kicking team aveva annullato il calcio valido; c'è un punt smorzato, sempre da Seymour, che ha dato grande posizione di campo ai Pats; e c'è una pressione costante che la difesa dei padroni di casa è riuscita a mettere sulle spalle di Grossman prendendosi gioco di una linea totalmente assente in fatto di pass protection. E' vero che da questo gran lavoro ne è uscito un solo sack (ancora lui, mister Seymour), ma è anche vero che a Grossman è stata levata tutta la pace del mondo in una situazione che è ormai evidente non essergli congeniale: la partita in trasferta. Fuori dal Soldier Field Grossman subisce il fastidio del pubblico, non riesce a comunicare con i compagni quando serve la voce grossa da soprano (inteso come cantante, non mafioso della tivù), si innervosisce e va completamente nel pallone. Grossman però subisce anche un coaching staff che ha deciso in toto di non salvaguardarlo, di non giocare mai e poi mai in modo conservativo; per Ron Turner e Lovie Smith, il buon Rex deve prendere ritmo e per farlo serve che lanci, lanci e lanci. Deve entrare in sintonia coi compagni, deve trovare le giuste coordinate in ogni situazione, a costo di pessime figure come contro Arizona, Miami, Foxboro, a costo di buttare un tentativo di vittoria che in un minuto e cinquantadue secondi poteva essere costruito anche grazie alle corse fino a quel momento ottime. Soprattutto non era necessaria una forzatura del genere, in particolare proprio nel tratto di strada solcato da Samuel, un vero incubo.
Ci sta che poi esca un secondo tempo come quello contro i Giants, ma New England, quando muove il motore, riesce ad essere tutt'altra cosa rispetto ai newyorkesi. Bill Belichick se ne sta sulla sideline a sudare freddo, ma sa che quando mette palla in mano a Brady qualcosa prima o poi viene fuori. Dopo due sconfitte consecutive i Pats hanno rialzato la testa in modo definitivo tenendo a debita distanza quei Jets andati miseramente KO una settimana fa proprio contro Chicago, liberandosi di due rivali della NFC North e mantenendo un "+2" sui Jets grazie al record di 9-3. Il problema sulle secondarie è evidente, giocare su Bernard Berrian (5/104) è un'impresa che non riesce a nessuno dei giocatori in campo i quali spesso, troppo spesso, tentano il contatto prima dell'arrivo del pallone per limitare la velocità del receiver. Nel primo tempo gira bene, la crew arbitrale sorvola su un paio di episodi dubbi colpendo però nel secondo tempo in modo altrettanto sospetto, soprattutto in una prima pass interference chiamata proprio su Berrian.
La difesa dei Patriots non è però solo quella problematica e di nuovo incapace di lottare con gli infortuni, ma anche quella di una linea che bilancia lo splendido gioco dei compagni d'attacco. Se la linea difensiva, infatti, riesce a lottare insieme al gran lavoro di Mike Vrabel e Tedy Bruschi, quella offensiva si concede il lusso di tenere lontani dal proprio quarterback i grandissimi pass rusher di Chicago, costruendo proprio in questo punto buona parte della vittoria. La corse della franchigia del Massachusset non sortiscono molti effetti, Corey Dillon si ferma a 40 yards mentre Laurence Maroney arriva a 33 (su 13 portate), ma è proprio Brady a trovare le due giocate giuste sulle gambe, due scramble che si trasformano in primi down.
Dietro il solo Asante Samuel, dal quale misteriosamente Chicago non riesce a stare lontano, gioca una partita divina. E' giusto dire che gli intercetti non sono sempre colpa del quarterback, e vedere i primi due di Samuel ne è in parte una dimostrazione. Sul primo gioca d'anticipo chiudendo la traccia corta a Berrian e resistendo allo scontro mentre arriva sull'ovale; sulla seconda anticipa Muhsin Muhammad capendo prima dove arriverà il pallone mentre Moose sembra aggredire il post e anticipandolo in salto. Gioca benissimo a chiudere ogni route offensiva, defletta un pallone già nelle mani di Muhammad e, in tuffo, copre la distanza tra il campo e quel pallone troppo lungo scagliato da Grossman nel finale. Il fumble in posizione di campo da almeno tre punti e l'ultimo intercetto sono comunque tutta farina di Grossman. Il fumble, a dire il vero, nasce da uno snap piuttosto brutto di Olin Kreutz, che intrappola la palla troppo sui glutei per permettere un buon scivolamento nelle mani del quarterback il quale però, a sua volta, è davvero poco reattivo a recuperare quel pallone che Richard Seymour (guarda un po' chi si rivede") riesce a far proprio. L'ultimo intercetto è colpa anche di chiama in questo modo sul primo gioco del drive decisivo.
A NY Tom Coughlin sta buttando via Eli Manning e playoffs a forza di chiamate di questo tipo, e a Chicago qualcuno starà cominciando a pensare che il metodo migliore per bruciarsi sia proprio questo. Quando Lovie Smith dice che "se perdi quattro palloni non puoi vincere, è molto semplice" si scorda di aggiungere che se ne recuperi cinque invece ce la puoi fare; e quando aggiunge che "Grossman ha sbagliato un paio di giocate, io un paio di chiamate, sono cose che succedono" non ci è dato sapere quali siano le prime e le seconde anche se il dubbio che almeno in un caso le due cose coincidano con quell'ultimo lancio ci rimane ben impresso in testa.
A New England si festeggia per una vittoria che arriva e che sarebbe stato criminale gettare via in quel modo; si ringraziano Samuel, Seymour, ma soprattutto la linea che ha permesso a Brady di giocarsela fino in fondo, dopo tre quarti di pura difficoltà , dopo che è stato evidente, per l'ennesima volta, che il ritmo con i nuovi receivers è ben lontano dall'essere trovato e che, ma era forse prevedibile, un po' di talento offensivo si è perso. Alla fine però ha avuto ragione lui, vincendo quasi da solo una gara che può valere i playoffs visto il resto di un calendario non impossibile.
A Chicago ci si interroga; la squadra è completa, un po' carente sulla linea e con un passer troppo discontinuo e che sembra, per questa stagione, giunto già al capolinea come forse fisiche e psicologiche. Per Smith non c'è nessuna controversia interna, il posto è di Rex e non si tocca, il vantaggio ottenuto in classifica permette ai Bears di non dannarsi l'anima per questa sconfitta e di poter puntare, con una certa sicurezza, al primo posto del seed di gennaio. Certo, Grossman va tutelato, ed è incredibile come a rischiarlo così psicologicamente sia proprio quel team di allenatori che un anno fa permise a Kyle Orton di guidare la squadra nel suo anno da rookie, senza esagerazioni e con buoni risultati. La testa di Grossman non può cadere ora, e il filmato che dovrà guardarsi in settimana è forse quello di Brady, sfortunato negli intercetti, freddo e meticoloso fino alla fine per suonare la carica. Un Brady che corre incontro a Urlacher senza paura e che rialza la testa dopo ogni drop dei compagni. Se Grossman abbasserà la percentuale di errori, soprattutto fuori casa, allora ai playoffs potrà dire la propria, altrimenti sarà durissima per lui uscire vivo da gennaio e, forse, dalla off season. Magari è fanta-football, ma chi può dirlo? Il talento, in depth chart, non manca del tutto. Intanto domenica si torna a casa, dove già una volta (era agosto) ha dovuto sconfiggere i fischi del pubblico; vedremo se ci riuscirà di nuovo e se la casa sarà accogliente come si aspettano tutti.