Gennaio 2003, John Gruden ai tempi dell'ultimo titolo vinto da una squadra della NFC: Tampa Bay.
Il valore reale della National Football Conference si è certamente alzato nelle ultime due stagioni, ma il gap da ricoprire per arrivare ad essere davvero vicini sembra essere ancora lontano. A metà campionato si può trarre una valutazione sull'andamento della storica conference che tra il 1984 e il 1996 dominò incontrastata la lega, quasi un campionato a sé che disponeva di grandissime squadre (Chicago, New York Giants, Washington, Green Bay) e vere e proprie dinastie (San Francisco e Dallas). Furono i Denver Broncos di John Elway e, in tempi più recenti, i New England Patriots di Tom Brady a dare uno scossone alla lega mettendo il bilancio di vittorie degli ultimi anni in netto favore della AFC e dettando un nuovo regime sportivo nella National Football League.
Dal primo trionfo di Denver solo Saint Louis è riuscita a dare dimostrazione di una certa forza, vincendo un Super Bowl e perdendone un altro la stagione seguente per soli tre punti, ma tutte le altre squadre sembrano non riuscire più a trovare quella compattezza e quella continuità tali che servirebbero per riequilibrare la bilancia. Di più, nessuna delle grandi contenders uscite dalla NFC sembra in grado di tenere testa realmente all'avversario e di seguire un linea duratura nel tempo. Se a cavallo tra gli anni 80 e 90 la conference più "debole" era riuscita a mandare avanti i Miami Dolphins del grande Dan Marino, gli spettacolari Buffalo Bills allenati da Marv Levy, i mitici Cincinnati Bengals e gli stessi Broncos di Elway (sconfitti tre volte prima del back to back finale), in questo momento la situazione nella National non sembra così chiara. E neppure competitiva.
Se pensiamo che la più dominante delle franchigie dell'ultimo decennio in NFC sono stati i Philadelphia Eagles che sono riusciti a conquistarsi un solo biglietto per il Gran Gala di fine anno (dopo quattro finali di conference) e che gli strepitosi campioni del mondo del 2002, i Tampa Bay Buccaneers, non hanno nemmeno più solo sfiorato tale intensità , qualche domanda comincia a sorgere. Se poi nel 2004 ci tocca di assistere a una Minnesota wild card con un record di 8-8 e, dall'altra parte, l'esclusione di franchigie ben più forti eliminate con più vittorie che sconfitte, allora il problema esiste. E lasciamo stare che Carolina avrebbe forse meritato qualcosa di più contro New England o che Seattle non dovesse perdere in quel modo con Pittsburgh, fatta eccezione per due o tre finalissime, chi è uscita negli ultimi anni dalla AFC non solo si è quasi sempre aggiudicata il titolo, ma è certamente uscita da un girone infernale.
La stagione 2006 sembra non cambiare di molto. I dominatori sino a domenica scorsa sono stati i Chicago Bears che, attesi come al solito al varco da buona parte dei media americani, vengono considerati oggi semplicemente come "overrated", sopravvalutati, senza che nessun studio venga applicato su come, oggettivamente, la squadra giochi un football decisamente migliore, per quanto ancora incompleto, di un anno fa. Tra miriadi di assenze importanti (Michael Strahan, Osi Umenyora, Bernard Berrian e probabilmente Brian Urlacher) domenica sera i Bears affronteranno l'altra grande della conference, i New York Giants che a loro volta, e in più di un'occasione, hanno balbettato in questo campionato pur trovandosi ora a 6-2.
Il resto del dominio è nelle mani di New Orleans Saints e Seattle Seahawks come capo-classifica delle altre due division, con i primi assolutamente sorprendenti sinora (6-2) e i secondi avanti grazie soprattutto alla "morbidezza" della NFC West. Il problema sembra sempre il solito, le squadre di questa division faticano a dare continuità ai propri numeri ed è facile intuire poi il perché di così tante sconfitte al Super Bowl. In AFC squadre come Denver, Indianapolis, New England raramente saltano i playoffs; Pittsburgh uscirà certamente con le ossa rotte ma è comunque campione in carica, San Diego avanza a fasi alterne ma riesce a essere spesso protagonista, così come i Jets. Chi non trova sempre posto in postseason rimane comunque protagonista di stagioni dignitose e, spesso, si presenta come avversario ostico un po' per tutti. Penso soprattutto ai Kansas City Chiefs, ai Jacksonville Jaguars e ai Cincinnati Bengals.
In NFC invece si vive con il continuo ritardo di Arizona e San Francisco, con una Detroit che non riesce ad esplodere, con una Dallas enigmatica che non spicca il volo, con St. Louis che non sai mai se è carne o pesce. Vedi gli Eagles partire come corazzata dopo aver ritrovato il "vecchio" splendore e poi rischiare di cadere giù, Tampa tornare quella di due anni fa invece di ricominciare dal 2005, Carolina balbettante e quelle due grandi squadre, Chicago e Atlanta, sprofondare con le ultime della classe.
Il caos. Un caos che non ha ovviamente spiegazioni nel senso che, pare fisiologico, se per un decennio da una parte buttano giù grandi basi è ovvio che la continuità sia più semplice da pescare che altrove, ma è davvero incredibile come le squadre di medio valore, nella National, siano veramente pochissime. Buone squadre o intere franchigie da rottamare figlie di un progetto scaduto e mal programmato. Certamente qualcuno obietterà che anche in AFC non tutti gongolano, gli Oakland Raiders (ultima squadra a concedere l'onore ai vincitori di NFC) non si riprendono dal Super Bowl perso nel gennaio del 2003, Houston è franchigia nuova e sembra sempre nella stagione d'esordio, Tennessee attraversa momenti davvero bui da un paio di stagioni.
Non esistono calcoli o rimedi, il problema va gestito squadra per squadra e non può essere la Lega a metterci le mani, ci mancherebbe. Del resto il sistema degli sport americani garantisce a chiunque una possibilità , quindi una squadra mediocre in una division semplice ha tutto il diritto di puntare ai playoffs e, perché no, ha un titolo quasi impossibile. Se poi si avanza con un 8-8 a chi importa realmente? Forse ai tifosi di chi sta fuori in AFC, ma questa è la regola. Certo, vedere Chicago, NY; Seattle, New Orleans, Atlanta, le loro belle giocate, le loro imprese i loro schemi al confronto delle certezze e della compattezza di Patriots, New England e a Tratti anche di Denver o San Diego fa un po' sorridere. Pensare che i Giants, primi nella NFC East (che dovrebbe essere tra le più dure in assoluto) e secondi nella conference fossero sotto 42-3 all'inizio del quarto periodo contro Seattle dà da pensare. In particolare vedere come poi i Seahawks sono stati battuti da Chicago sette giorni dopo, senza opporre resistenza.
Per questo ci si augura che Chicago@NY Giants sia anzitutto una gara di spessore, nonostante gli assenti e nonostante i problemi vari delle squadre; ci si aspetta un buon football tra due squadre che quasi certamente saranno protagoniste nei prossimi anni in una conference che ha disperato bisogno di ritrovare la forza di un tempo. Per vincere e per riequilibrare le sorti della Lega. Forse basterebbero due o tre Super Bowl di fila per spingere tutti a dare il massimo, forse giocare in una conference debole spinge a lavorare "meno bene" (non mi si fraintenda, si lavora ovunque, per carità ) squadre che con il minimo sforzo conquistano posti per gennaio. Poi, da lì in avanti, è tutto un giocarsela all'ultimo "inche". Di certo rivedere la NFL riequilibrata non sarebbe male; alcune squadre si stanno muovendo nel verso giusto, altre hanno solo bisogno di carburare, dal prossimo anno vedremo cosa davvero è stato costruito in queste ultime due o tre stagioni.
Per ora il Super Bowl sembra di nuovo un affare riservato alla AFC, ma la sorpresa è sempre lì dietro l'angolo ad attendere. Certo che rimpiange di più le occasioni sprecate resta sempre Philadelphia, la quale dopo essere riuscita a costruire una squadra di valore ottimo su tutte le trentadue partecipanti, ha perso per tre volte la chance di giocarsi il tutto per tutto. Questa stagione è ormai giunta a metà strada e ora è il momento di mostrare chi davvero può essere meglio dei tanti predestinati che affollano l'American Football Conference.