Marty Booker, ex di Chicago, manda baci al Soldier Field dopo la prima segnatura.
L'ultimo tabù per la stagione 2006 della National Football Conference è caduto, i Chicago Bears sono stati sconfitti e lasciano ai soli Indianapolis Colts il primato di 8-0 nella Lega. La sconfitta che prima o poi ti aspetti che possa arrivare, giunge nel modo più inatteso e contro una squadra dal record di 1-6 ormai rassegnata da stampa e tifosi al ruolo di vittima sacrificale. Ed invece il crollo più imprevisto (insieme a quello di Atlanta a Detroit), si materializza proprio sul suolo amico dei Bears, quel Soldier Field tra le mura del quale Chicago non perdeva dal settembre 2005. E la batosta è di quelle che fanno male, di quelle che giungono nel peggiore dei modi e fanno sembrare, paradossalmente, quel 7-1 in classifica un po' meno tranquillo del previsto.
Chicago non sarà in crisi di risultato, assurdo affermarlo oggi, ma di certo lo è per il gioco offensivo e il futuro della stagione è in mano soprattutto a certi accorgimenti tattici che il coaching staff dovrà assolutamente valutare e che vedremo poi. Ora però parliamo di chi ha vinto, della squadra di Nick Saban che, finalmente, ha messo in campo tutto il proprio potenziale giocando una partita perfetta, aggressiva e tenace, forzando sempre l'errore avversario e trasformando ogni occasione ricevuta in punti da aggiungere sullo scoreboard.
L'idolo della giornata è senza dubbio Jason Taylor, apripista del trionfo di Miami che in un paio di drive ha spinto i suoi compagni fuori da una situazione dalla quale l'attacco non riusciva a districarsi senza supporto esterno. La prima meta nata su un muff di Devin Hester che aveva permesso a Joey Harrington (16/32, 137 yds, 3 TD, 2 INT) di pescare al terzo tentativo l'ex di turno Marty Booker in endzone era infatti sembrata più una fortunosa coincidenza che altro. Proprio Taylor riusciva invece a generare altri due turnover andando a strappare dal cielo un brutto lancio di Rex Grossman (18/42, 210 yds, TD, 3 INT) e riportandolo in meta. Un attimo dopo lo stesso defensive end entrava sul lato cieco del malcapitato quarterback di Chicago provocando un fumble di nuovo recuperato dai Dolphins.
Harrington non era inizialmente riuscito a gestire al meglio questa situazione e proprio un pallone restituito ai Bears grazie alla "ricezione" sul QB avversario di Adewale Ogunleye aveva permesso a Grossman di imbastire un ottimo drive chiusosi con l'ottima ricezione di Muhsin Muhammad (2/42) in endzone. Un field goal sbagliato da Olindo Mare grazie alla deviazione di un avversario impediva alla squadra allenata da Nick Saban di andare al riposo con un vantaggio più ampio, ma nella ripresa la musica non cambiava e, anzi, le stecche prese dai Bears sarebbero addirittura aumentate.
Toccava a Justin Gage (2/51) lasciarsi sfuggire un ovale mal protetto al primo gioco del terzo periodo grazie a un intervento di Yeremiah Bell e, da qui in avanti, la partita non sarebbe più stata la stessa. Pur mantenendo brevi possessi Miami ha costruito il gioco a proprio piacimento, sfruttando un Ronnie Brown con indosso il vestito della festa (29 corse per 157 yards e 2 ricezione per 33) capace di correre in faccia agli avversari il più possibile e di tenere meglio il controllo dell'orologio. Brown riesce nell'impresa di correre cento yards al Soldier Field circa due anni dopo che l'ultimo giocatore aveva osato tanto, ossia quando, sempre in novembre, Edgerrin James da queste stesse parti registrò un 204 sotto la voce "rushing yards".
Così la meta di Wes Welker su ricezione nel drive nato dal fumble di Gage dà la spallata definitiva a una Chicago in grado di mandare tre soli punti a registro grazie a Robbie Gould (record assoluto di field goal consecutivi segnati a Chicago eguagliato) prima di sprofondare con un gioco forzato verso il profondo dove la quinta difesa della lega fa incetta di palloni intercettando altre due volte Grossman e ponendo fine alle ostilità .
Nonostante il 31-13 parli chiaro e sia uscito da un'imbarazzante partita dei Bears, sarebbe giusto ammettere che gli uomini di Lovie Smith per due quarti hanno sempre dato l'idea di poter ribaltare la situazione. I tre give-away subiti nella prima mezz'ora di football erano sì figli di un paio di distrazioni eccessive e di ottime giocate avversarie, ma Chicago era comunque riuscita a portarsi a meno quattro, deflettando un calcio di Mare e tenendosi il primo possesso della ripresa pronto per effettuare il sorpasso.
Qualcosa non ha funzionato, ovviamente, ed il suicido soltanto tentato a Phoenix e scongiurato da una immensa prestazione difensiva ieri è riuscito a tutti gli effetti. Di nuovo Chicago pare aver sottovalutato un avversario che, aldilà del record, ha comunque un roster formato da un discreto talento e una difesa abbastanza solida. Il 7-0 di partenza di Chicago mette ora molti più dubbi del previsto e la crisi offensiva è evidente. Solo contro i 49ers, nelle ultime tre gare, la partita era filata via liscia come l'olio e solo a Minneapolis (week 3) l'attacco dei Bears è stato in grado di rimontare un risultando passivo segnando un sufficiente numero di punti. Ad oggi sappiamo che Chicago è brava a dilagare quando passa in vantaggio, ma se messa sotto può soffrire con chiunque e questo non è buon segnale quando mancano ancora otto lunghe partite da giocare e la schedule si fa un tantino più complessa.
Cosa non funziona? Prima di tutto bisognerebbe porre qualche domanda a coach Smith, cercando di capire perché se Bernard Berrian (infortunatosi al primo gioco) esce dalla gara il ricevitore numero due debba essere Justin Gage (quarto nella depth chart), perché si insista col gioco profondo se manca il miglior target per questo genere di big play e perché il tight end Desmond Clark, spesso fondamentale, venga quasi del tutto dimenticato. E inoltre, perché in una gara così difficile si decide di dividere quasi perfettamente a metà il numero di portate tra Thomas Jones (20/69) e Cedric Benson (8/34) per tutto il primo tempo, togliendo così ritmo al running game. Un tipo di gioco inutilizzato persino sul 41-0 contro San Francisco.
Una cosa sembra ormai certa, i coach avversari hanno imbrigliato il gioco di Grossman, puntano a forzarlo perché ne conoscono i limiti e sanno di non doverlo far ragionare. Ieri Saban è riuscito nell'idea di far implodere il gioco aereo dell'ex Florida Gators proprio nello stadio dove quest'anno manteneva un record immacolato in fatto di intercetti. I Bears sono rimasti a lungo in partita a livello di risultato, l'intercetto di Ogunleye prima e quello di Nathan Vasher poi hanno portato a 13 punti sui drive successivi, ma il resto della giornata è stato un completo disastro e Grossman non è stato in grado di prendere decisioni sensate contro lo strapotere della difesa avversaria.
A Chicago dovrebbero trattare però il proprio quarterback per quello che - concretamente – è, ossia un secondo anno con pochissima esperienza sul campo e incapace di gestire la partita quando è il momento di inseguire. Se un anno fa con la West Coast Offense impostata su Kyle Orton e le corse si riusciva a gestire il risultato grazie alla difesa quest'anno si dovrebbe ricorrere a quello stesso sistema sfruttando il braccio del proprio #8 solo quando la difesa si chiude in avanti e lascia aperti i tagli per un big play in down field. Così facendo conserveremmo un quarterback che dovrebbe correre meno rischi, potrebbe controllare meglio la partita mentre contemporaneamente riporteremmo la offensiva line a giocare solo per dare ritmo alle corse invece di doversi occupare di un doppio (e duro) lavoro che ancora non ha assemblato al meglio.
Ieri la difesa dei Bears non è stata in grado di fare la differenza ma per larghi tratti ha retto il colpo avversario capitolando quasi sempre su possessi davvero troppo ravvicinati. Il solito contributo della D-line non c'è stato e Saban proprio su quello è riuscito a costruire la vittoria. Una volta raggiunto un buon vantaggio i Dolphins hanno proseguito nel marcare stresso Grossman (tre sacks) e nell'incollarsi a receivers ben più lenti (e imprecisi) di Berrian. Miami ha dimostrato di valere almeno una parte delle belle parole spese in precampionato, mentre i Bears avranno a che fare con una rivoluzione del gioco offensivo dove qualcuno deve capire che mettere nel braccio di Grossman 42 lanci in una partita è pura follia ed è un sistema che porta a forzare un gioco che ormai tutti hanno capito. Ristabilire l'equilibrio a cui i Bears sono abituati è fondamentale ed è un processo che deve avvenire in fretta perché ora i Bears lasceranno l'Illinois per tre settimane e le trasferte contro Giants, Jets e Patriots potrebbero tracciare un solco molto profondo sull'autostima di Urlacher e soci. Di più, nel peggiore dei casi potrebbero rovinare la stagione a Chicago che, se tutto andasse a rotoli, si troverebbe nello scontro diretto contro i Vikings a parità di record.
Certo, Minnesota è una squadra un po' pazza e, per ora, crediamo che almeno una lettera di ringraziamento a San Francisco Lovie Smith l'abbia mandata.