Falsa partenza.

Neil Rackers esce mesto dal campo. Due suoi errori su field goal sono costati altrettante sconfitte per Arizona.

Erano considerate da molti le principesse del campionato NFL, due squadre molto cresciute en grado di dare finalmente una svolta alla propria storia recente. Due deluse di questo avvio di stagione NFL, una per conference, non tanto per il record perdente in sé, quanto per le ambizioni e le possibilità  che si erano create intorno a queste due realtà . Stiamo parlando degli Arizona Cardinals, in corsa con un 1-5 nella NFC West, e dei Miami Dolphins, fermi con lo stesso punteggio nella AFC East. Un (quasi) completo disastro, una partenza terribilmente sofferta e da ricercare in ambienti diversi anche se le prerogative sulle quali poggiava la fiducia nei confronti delle due franchigie erano più o meno simili. A partire dal ruolo di quarterback, dove in Arizona era piovuto dal draft un quasi insperato Matt Leinart (decima scelta), fenomeno da USC pronto a sostituire nel più breve tempo possibile il veterano Kurt Warner, mentre in Florida riuscivano ad assicurarsi, tramite free agency, Daunte Culpepper e un backup discreto come Joey Harrington.

Sulla costa est, inoltre, vi era piena fiducia in coach Nick Saban, allenatore dai metodi duri e grande vincente della NCAA; all'interno del torneo collegiale, Saban aveva ottenuto il titolo nazionale e il premio di miglior allenatore dell'anno nel 2003 quando stazionava sulla sideline di LSU. Per ora le cose non vanno come dovrebbero. La rimonta del 2005 che portò i Dolphins a chiudere 9-7 vincendo le ultime sei gare consecutive, illuse non poco analisti e (a maggior ragione) i tifosi, convinti di aver trovato nel proprio allenatore un vero mago del playbook. L'arrivo di Culpepper e la partenza del solito squalificato Ricky Williams, avrebbero dato alla squadra un maggiore impulso offensivo e una nuova grande leadership nell'huddle.

L'addio di Williams, partito per rompersi un braccio nella lega canadese, non risultò infatti per nulla traumatico visto che finalmente ci si liberava di un peso difficile da gestire e sempre troppo vicino a certi "usi e costumi", dando in particolar modo a Ronnie Brown (prima scelta dei 'Phins 2005) la chance di dimostrare tutta la propria capacità  di trainare la squadra con le proprie corse. L'impatto su questa squadra, ricostruita ulteriormente tra draft e free agency, è stato devastante. A Miami si palesano i peggiori problemi che una squadra possa avere, soprattutto una costruita per lottare fino in fondo per i playoffs. Attualmente il record è persino peggiore di quello di un anno fa nello stesso periodo (2-4), e la prima vittoria è giunta solo in gara tre con uno striminzito 13-10 rifilato al cantiere aperto dei Titans. Dopo tre weeks, nel 2005, la squadra di Saban si trovava addirittura 2-1, perdendosi poi per strada fino a metà  stagione dove finalmente ingranò definitivamente.

E' difficile trovare i problemi in questa squadra; la difesa è stata ricomposta grazie all'arrivo di Willie Allen dai Giants (non proprio una primissima scelta) e Renaldo Hill, rispettivamente cornerback e safety di una secondaria che accusa un po' troppi infortuni più o meno gravi in vari giocatori. Persi Sam Madison e Reggie Howard, la squadra non sembra averci guadagnato tanto tra i defensive backs, a fronte poi di una linea comunque discreta e di un reparto di linebacker ancora un po' in difficoltà  nell'amalgamarsi intorno a Zach Thomas. La difesa fatica un po' ad emergere, e se un anno fa risultò la diciottesima della lega ma sempre in grado di concedere medie di guadagno piuttosto basse su ogni tipo gioco, quest'anno sembra migliorata solo sul running game avversario, forse proprio grazie al solo Zach Thomas, veteranissimo mai domo e capace di mettere più di una pezza su ogni gioco avversario. I difensori comunque sembrano in crescita, la compattezza aumenta e il gioco diventa man mano più efficace, gettando le basi per una buona resistenza e soprattutto in grado di concessioni limitate, sia tra le yard e le mete subite. Il problema resta anche la disposizione (che si sta cercando di aggiustare) tra i defensive backs, inseriti in una cover 2 che più di una volta ha lasciato troppa "luce" tra il primo cornerback e il giocatore in raddoppio, creando smarcature imbarazzanti per i receiver.

Ma non è la difesa l'evidente problema di una squadra che in primavera si era mossa anzitutto per colpire l'avversario più che per contenerlo. Culpepper sembra lo stesso dei Vikings pre-infortunio 2005, un mezzo disastro, poco convinto, timoroso e già  acciaccato. Le sue prestazioni lasciano a desiderare, ma sembra che sia la fiducia la cosa che gli manca di più. La linea offensiva è la stessa di un anno fa eccezion fatta per l'aggiunta di L.J. Shelton sul tackle di sinistra, ed offre una copertura mediocre, senza essere di grande aiuto al giovane Ronnie Brown, fermo a una media peggiore della stagione scorsa (3.8) e capace solo contro i Jets di tirare fuori una partita stratosferica. Sopra i cento contro New York, l'ex di Auburn non riesce ad esplodere, raramente trova il big play e soltanto tre volte ha tenuto medie soddisfacenti.

Va detto che Brown non è ancora pronto per una stagione da unico runner e che Saban preferisce sviluppare meglio il gioco aereo, anche ora che Culpepper è fuori e Harrington ne ha preso il posto. I numeri dei due QB, ad esclusione di qualche intercetto di troppo (7 in due), non sarebbero da buttare via del tutto, ma resta il fatto che difficilmente esce la giocata vincente. Tre soli TD su lancio sono una miseria e se da una parte la media di yards concesse dalla difesa è la quarta in NFL (265.0), dall'altra l'attacco è 21° nonostante l'elevato numero di tentativi via lancio (quarti in NFL) e un buon numero di completi. Il problema è una linea che concede troppi ingressi, il numero di sack è salito a 22 e se fatica a uscire da una situazione del genere Culpepper figuriamoci Harrington. Questo toglie sicurezza, lucidità , concentrazione. Una situazione pessima.

Anche Saban, però, comincia a salire piano piano sul banco degli imputati. Dopo la pessima esibizione del challenge non chiamato nell'Opening Kick Off contro Pittsburgh quasi ad ostentare una poco invidiabile timidezza, il coach si è rifatto sbranandosi in diretta nazionale, e più di una volta, i propri giocatori, soprattutto membri della difesa rei di qualche penalità  di troppo. A Saban si contesta il fatto di non aver investito bene sulla O-line e sui ricevitori, i quali, oltre a non essere dei top receiver e vivendo più che altro sull'esperienza accumulata, sembrano non essere sufficienti a dare profondità  allo spot in questione e, a tratti, non sembrano adatti al braccio di Culpepper. Solo Chris Chambers offre potenzialmente (sottolineiamo potenzialmente) la possibilità  di alzare concretamente numeri interessanti, Marty Booker è quello che è e non sta bene, gli altri sono tutti da valutare.

Tracce discutibili, errori a ripetizione, e il buon Daunte che appena può sparacchia il pallone a terra per impedire almeno un facile intercetto ai cornerbacks, lasciando al solo compagno una benché minima possibilità  di prendere il pallone. Un feeling tra QB e target spesso inesistente, una complicità  che fatica (e faticherà ) a crearsi. Miami paga alcune scelte errate, questo è ovvio, e salvare la stagione con una buona seconda metà  non sarebbe del tutto sufficiente visto come finì un anno fa. Saban deve ancora lavorare molto, ma qualche innesto futuro potrebbe risolvere i problemi di un team che, nonostante le difficoltà , riesce spesso a restare in partita. Tre gare sono state perse con tre o meno punti, una con sette e il massimo scarto è stato di undici. La difesa riesce a fare il proprio dovere quando è fresca, l'attacco necessità  di più soluzioni, anche nei giochi chiamati e non solo negli uomini in campo, e di non spegnersi sempre tropo presto, soprattutto cominciando a trovare più mete via aerea. Domenica arriva Green Bay e potrebbe ridare un'iniezione di fiducia ai ragazzi di Saban, ma il trittico che seguirà  il bye (a Chicago, poi Kansas e Minnesota in casa) è di quelli che non faranno dormire sonni troppo tranquilli. Eppure proprio lì si deciderà  la stagione dei Dolphins.

In Arizona il problema sembra invece un errore di troppo, sempre e comunque in ogni partita. Dopo l'esordio vincente contro San Francisco, i Cardinals sono crollati lentamente infilati da una serie di sconfitte implacabili sfruttando, nelle ultime due, il rookie Matt Leinart, capace di portare il team a un passo dalla vittoria in entrambe le situazioni. Se a Miami Saban può vivere sulla fiducia di dimostrare alla sua terza stagione, la prossima, i veri frutti del proprio lavoro, nei Cardinals qualcuno comincia a credere che la gestione di Dennis Greensia del tutto inefficace. Nel 2004 le vittorie della gestione Green furono sei, lo scorso anno cinque; quest'anno ci si attendeva il grande salto o, almeno, un record vincente. Fallire questo proposito potrebbe pesare parecchio.

Il primo a farne le spese dopo la rocambolesca rimonta subita da Chicago nell'ultimo Monday Night è stato Keith Rowen, offensive coordinator che ha pagato sì la colpa di un game plan del tutto discutibile ma anche il fatto di essersi ritrovato tra le mani una linea offensiva di livello ultramodesto.

Il centro Alex Stepanovich è stato finora un brutto esempio di qualità  al centro del reparto, ma contro i Bears è stato il suo sostituto Nick Leckey a far più venire i brividi ai propri tifosi in più di una occasione, senza una sola idea di copertura da chiamare e con snap che molto spesso costringevano Leinart a piegarsi fino a terra dalla posizione di shotgun per ricevere l'ovale. Un piccolo segmento all'interno di un front five che fatica a contenere a dovere ma che soprattutto non garantisce ad Edgerrin James, acquisto botto della scorsa primavera, la produzione di yards che l'ex Colts è in grado di dare.

Anquan Boldin continua a essere il solito fenomeno ed in Leinart, subentrato a Kurt Warner ormai in pianta staile da due gare, ha trovato il giusto giocatore per poter essere ancora più devastante. I due hanno affettato l'imbarazzante difesa dei Bears del primo quarto di lunedì sera, ma quando questa è cresciuta era proprio dal running game che attendevano l'appoggio. Il rookie ex USC ha dimostrato una presenza incredibile, qualità  previste dall'inizio e soprattutto un impatto sulla lega efficace sin dal primo snap. Leinart è diventato il quarto QB a lanciare, come esordiente in NFL, più di 250 yards con il 60% dei completi nella prima gara da starter e le sue qualità  non sono ovviamente in discussione. In attesa della piena crescita di Leonard Pope l'unico problema offensivo sembra risiedere proprio nella linea.

Ma il record dei cardinals è stato condizionato anche da Neil Rackers, affidabile kicker che si è divorato il field goal del pareggio contro i Chiefs da 51 yards e quello della vittoria da 40 contro i Bears. Due errori gravi che penalizzano non poco un record che potrebbe oggi essere da piena corsa per i playoffs per una franchigia che, tolte le sconfitte contro Seattle e Atlanta, ha perso di soli due punti anche contro St. Louis grazie al suicidio di Kurt Warner. La difesa sembra essersi ripresa nella gara contro Chicago, partita dove deve però ringraziare lo scellerato game plan studiato dai Bears e la serata da incubo di Rex Grossman; diversamente è un reparto che fa troppa fatica a garantire forza a ciò che l'attacco costruisce, concede una marea di TD ed è vulnerabile sia su corsa che su palla in aria.

Se però il problema difensivo dovesse essere davvero risolto allora la stagione dei Cardinals potrebbe finalmente girare, a patto che la gestione del coaching staff faccia un passo avanti. Per rinnovare la linea servirà  aspettare il prossimo campionato, ma qualche chiamata migliore e un aggiustamento sulle coperture nel backfield per agevolare Leinart sono ancora possibili (e potrebbero essere un'assicurazione sul contratto di Green). Faticherà  invece sino al termine James, talento sprecato dietro a un muretto fragile come questo; mai sopra le 100 yards e incisivo solo nella sconfitta contro St. Louis, James comincia a capire quanto conti, spesso, avere chi sa lavorare per te spaccandosi le ossa per aprirti un buco. I Cardinals si rendono però conto che, pur senza grandi speranze di postseason, il loro record sarebbe migliore se solo il game plan e il gioco di copertura avessero più filo logico; la gente vede che il talento c'è, il gioco offensivo è potenzialmente devastante e, se qualche dettaglio girerà  diversamente (field goal compresi) allora qualche soddisfazione in più può ancora a arrivare. Quanto meno sembra certo che il prossimo futuro sia un po' meno carico di nubi, al contrario di Miami, l'altra grande delusa di questo inizio stagione. In casa Dolphins le domande sembrano troppe e, di conseguenza, lo sono anche le risposte. Resta da trovare quali sono quelle giuste, compito terribilmente difficile.

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