Zero Assoluto.

Bruce Gradkowski ha dato nuova linfa all'attacco di Tampa; la prima vittoria dei Bucs è più vicina?

C'è una cosa che accomuna quasi sempre le squadre a punteggio pieno con quelle ancora bloccate a zero vittorie, ossia i punti che, all'interno dei rispettivi gruppi, queste squadre hanno a loro volta in comune tra loro. In una squadra che vince tanto si notano praticamente sempre una certa solidità  difensiva, un buon coaching staff, un attacco abile a far girare la palla, un grande occhio sul mercato e al draft eccetera. Dalle parti di chi invece insegue la vittoria come un'utopia inapplicabile al concetto di vita reale non funziona mai nulla. O quasi. Questo non è sempre un fattore costante che accompagna gli uomini delle suddette franchigie, non si è mai dei vincenti o dei perdenti a prescindere; la mentalità , certo, è fondamentale ma, alle volte, va acquisita, quando non addirittura costruita. O meglio, bisognerebbe dire implementata nella testa dei giocatori. Poi andrebbe mantenuta perché, nel professionismo, un obiettivo raggiunto spesso non è altro che l'inizio di una conquista e non il suo punto terminale.

Il modo migliore per costruire una mentalità  vincente è" vincere. Facile a dirsi. Un aspetto importante del saper vincere è però anche il saper perdere, imparare dagli scivoloni a rialzarsi nel migliore dei modi e capire come evitare di ripetere due volte lo stesso errore. Il perché alcune squadre non riescano ad implementare una mentalità  vincente, ad inanellare una serie di vittorie consecutive da far spellare le mani ai propri tifosi a suon di applausi resta un mistero. Nessuno può realmente spiegare il perché. Si può spiegare perché una squadra perde o vince tanto, ma non è facile dire come mai una stagione possa andare storta. Incapacità ? Infortuni? Episodi? Tutto può essere. Il primo passo è spesso quello di cercare l'alibi, cosa che fuori dall'Italia non è che funzioni tanto bene. Quindi che si fa? Si prova ad analizzare, un minimo, cosa può andar male e come poter rimediare. Facile? Assolutamente no. Ma in quella che tra poche settimane verrà  definita come la classica corsa al "First Round Pick 2007" c'è da considerare una cosa: prima di tutto l'onore. Terminare a zero punti una stagione è tanto raro quanto devastante; si perde in dignità  sportiva, stima, calore del pubblico e spesso si rischia pure il posto di lavoro. Dopo cinque weeks la lotta al Brady Quinn o Adrian Peterson di turno è ancora aperta a molte squadre ma solo quattro di esse (due in AFC e due in NFC) sono ancora ferme al palo con zero vittorie. Tre di queste hanno disputato un Super Bowl negli ultimi sette anni, una lo ha pure portato a casa. Si tratta di Detroit e Tennessee con cinque flop su altrettanti tentativi più Tampa Bay e Oakland che hanno già  ricevuto la grazia di un bye week e sono a "sole" quattro sconfitte. Cosa non va in queste squadre? Motivi a volte simili a volte agli antipodi tra loro, il punto è che l'onore va salvato, ma non per tutti è possibile farlo in tempi brevi.

I Tampa Bay Buccaneers sono in assoluto la più grossa delusione del momento. Non perché fossero più attese di altre squadre, ma perché dopo la stagione scorsa attendersi qualcosina in più era abbastanza lecito. La squadra di John Gruden ha esordito palesando una pochezza offensiva davvero desolante. Subito si è capito che Chris Simms era tutto fuorché un QB in grado di gestire una stagione dall'inizio e che la sua promozione a capitano assoluto era stata frettolosa tanto quanto il rilascio del veterano Brian Griese. Uno shutout immediato in casa contro Baltimora, squadra storicamente forte in difesa ma non certo dotata di un attacco spaventoso; invece Tampa concede ben 27 punti, si ritrova con una difesa lenta e incapace, mentre Simms vola per tre intercetti. L'allarme definitivo scoppia però in gara due: Atlanta passeggia sulla difesa dei Bucs, Michael Vick e Warrick Dunn fanno quello che vogliono palla in mano e, alla fine, le yards corse in faccia a Greg Spires e soci sono 306. Devastante. Simms, intanto, lancia altri tre intercetti senza minimamente sfiorare un touchdown. Matt Bryant salva la faccia con un field goal che produce il 14-3 prima dei due ultimi inutili quarti. Non funziona nulla.

Tampa vola al bye dopo aver perso anche contro Carolina nei secondi finali riscoprendosi però più combattiva e un minimo produttiva. La sconfitta è frutto di un episodio, un field goal che ha tolto ogni speranza a una manciata di secondi dal termine. Anche Carolina però si trovava a lottare con lo "0" tra le big W e non sarà  stato del tutto casuale che proprio loro abbiano avuto la palla giusta in mano e non Tampa. Successivamente a quella gara Chris Simms perderà  la milza, asportatagli dopo che un violento colpo in campo gliel'aveva spappolata. Dopo la pausa è quindi Bruce Gradkowski a guidare la squadra contro i New Orleans Saints, squadra assolutamente in forma strabiliante. Finalmente però la squadra gira. Il quarterback rookie lancia il record stagionale di yards (225) segna due TD passes e non si fa intercettare nemmeno una volta; il merito va anche al ritorno alle corse di Williams, finalmente incisivo e un Joey Galloway risorto. La difesa non sembra più compatta come un anno fa, ma forse è solo questione di tempo. L'idea è che i Bucs abbiano sofferto tantissimo l'avvio di stagione per via di una condizione fisica a livelli pietosi e che, ora, tutto stia tornando a posto. Difficile la rincorsa ai playoffs da uno 0-4, difficile inseguire Carolina, che sta uscendo dal tunnel, Atlanta, finalmente rinata, e New Orleans, completamente risorta. Difficilissimo, tanto quanto è probabile che, i Bucs, siano a fine anno al cinquanta percento di vittorie almeno; Gruden non è uno da corsa alla prima scelta, combatte per vincere sempre e, ne siamo convinti, i playoffs sono ancora nella sua testa. Se Gradkowski è quello visto domenica scorsa la strada è quella buona, con un gruppo apparso rigenerato in ogni ruolo e zona del campo, una Cadillac finalmente a pieni giri e una difesa che, se pure a stento, ricomincia a trovarsi. Le zero vittorie sono frutto anche di sfortunati episodi, dopo le due orribili partite d'esordio sono stati gli ultimi minuti a decidere, con il field goal di Carolina di cui sopra, e un punt return riportato in meta dal rookie Reggie Bush" certo, se avesse aspettato una settimana in più.

Ma Tampa è un caso abbastanza isolato tra le quattro perdenti della lega. Un caso isolato e con buone possibilità  di recupero in classifica e tra la fiducia dei tifosi. Lo stesso non vale per le altre tre sorelle. Tennessee e Detroit, ad esempio, sono squadre in via di ricostruzione che non trovano il bandolo della matassa. Nuovi coaching staff da una parte, tanti giovani qua e là  e una fatica grande come il mondo a trovare le giuste combinazioni. Detroit parte a sorpresa: perde a Seattle ma non concede TD, finisce 9-6 e la squadra sembra piuttosto solida. Perde a Chicago, pesantemente, ma paga caro due fumble a inizio partita che spianano la strada ai Bears. Riescono però a far girare bene la palla, Jon Kitna sembra sicuro di sé, Mike Furrey è una buona scoperta come receiver, Kevin Jones, piano piano, sembra uscire dalla crisi. I Lions segnano persino una meta, al Soldier Field addirittura: merce rara.

La difesa barcolla, vero, ma l'attacco almeno sembra esserci e Ron Marinelli sta lavorando bene. I Lions vengono da anni di ricostruzioni fallite con la dirigenza ormai sotto perenne contestazione. La famiglia Ford ha soldi a palate, ma fin quando ad amministrarli nello sport sarà  Matt Millen sembra impossibile, anche al più ottimista dei tifosi, che i leoni possano tornare a far paura. L'ultima stagione positiva (9-7) rimane quella del 2000 e quest'anno sembra già  impossibile ripetere almeno le cinque vittorie di un anno fa. Detroit continua a fare la propria figura in attacco; quando le avversarie scendono un minimo di livello, i punti arrivano quasi a valanga. I Lions segnano 24 punti contro Green Bay, 34 contro St. Louis e si fermano a 17 contro Minnesota rimanendo però in vantaggio fino all'ultimo quarto. La squadra fa acqua dietro, tanta acqua. I punti subiti finora sono 141, la squadra non riesce a limitare le offensive avversarie e, quando la gara è aperta, puntualmente arriva la beffa. Il lato positivo dipende molto dalla mentalità  di Mike Martz, meno spregiudicato del solito ma abilissimo a trovare il posto giusto ai giocatori nel proprio game plan; la rinascita difensiva passa proprio dallo stesso Marinelli, grande preparatore di reparti arretrati. Il draft sarà  fondamentale, oltre al mercato di offseason, per cercare i nomi giusti per registrare l'attacco e migliorare la difesa. Questione di tempo, a Detroit l'orologio sembra però essersi fermato da un po'.

A Tennessee c'è aria di rinnovamento anche se, a differenza della Mo-Town, il coach è sempre Jeff Fisher, mai partito così male da queste parti. Il draft ha portato Vince Young, talentuosissimo quarterback campione NCAA, che ha già  rubato il posto a Kerry Collins. Una scellerata campagna di movimenti, spesso contestata da più parti, sembra la chiave di lettura per un team che dopo le due splendide stagioni tra il 1999 e il 2000, quando riuscì a giocare anche un Super Bowl, non è mai più riuscita a trovare continuità  e ultimamente tende a sprofondare sempre più in basso. Forse è proprio Fisher il nodo della questione, rilasciarlo per puntare su qualche giovane coach in grado di prendere in mano la squadra e crescere sui giovani arrivati negli ultimi anni gestendo un po' meglio il mercato e ridando un certo entusiasmo che sembra ormai perso potrebbe essere una soluzione. Il game plan sembra piuttosto povero, le scelte al draft pagano quando pagano e se pagano, e vecchie glorie cacciate a pesci in faccia e spacciati come derelitti giocatori di ramino risorgono in altri lidi. Questo può essere il segnale di come il coaching staff non abbia più in mano le redini del controllo, di come un vuoto di comando stia influenzando l'andamento di una squadra ormai al collasso. Non costruire nulla intorno a uno come Young sarebbe un delitto, lasciarselo scappare perché frustrato da risultati indecenti una follia. Ecco allora che il problema potrebbe essere risolto cercando proprio qualcuno stimolato al top per tentare una ricostruzione vera, partendo realmente dalle fondamenta. Spesso, nel football, è stata proprio questa la medicina giusta.

A Oakland invece non si sa più che dire. Al Davis è ormai visto da molti come una sorta di "squilibrato" e la squadra di vecchietti che riuscì a ottenere il Super Bowl perso con Tampa quattro anni fa non esiste più. Arrivare ultimi per i Raiders lascerebbe nell'incubo i tifosi ormai convinti di vedere la società  passare su Quinn alla prima chiamata magari per prendere un defensive back. La O-line è leggera, Aaron Brooks fuori posto e già  in aria di sideline, Randy Moss un agente estraneo, la difesa un oggetto misterioso che fatica a contenere le squadre dalla seconda fascia in su. Contro Cleveland e San Francisco, due squadre di basso livello, i Raiders sono riusciti a rimanere in partita, ma contro difese come si deve (Baltimora e San Diego) sono arrivati appena sei punti. E domenica arriva Denver, un TD concesso in quattro gare. Nella baia è tutto da rifare, tutto da rivedere, tutto da ricostruire. Art Shell è un mito da queste parti, ma è stato fermo per troppo tempo e il posto da GM sarebbe forse più adatto di quello ricoperto attualmente da head coah. Davis dovrebbe continuare a dirigere in "ombra" lasciando a Shell la gestione della squadra sul piano del mercato cercando un coaching staff completamente nuovo insieme al quale costruire qualcosa di buono insieme. Di questo passo il peggior record di sempre (2-12, 1961, seconda stagione della AFL) sarà  cosa fatta. Se non peggio. Ma qui non questione di tempo, è questione di scelte. Coraggiose ma indispensabili; a volte rifondare non significa cambiare un quarterback o un coach, a volte serve cambiare cominciando dalle sedie più importanti degli uffici. Ma chi lo caccia il capo supremo se questi non ha voglia di farsi da parte?

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