Michael Strahan in sack su Mark Brunnell; la pressione dei Giants ha bloccato l'attacco dei Redskins.
Spiegare a qualche neofita che i Washington Redskins sono attualmente in possesso del coaching staff più pagato della lega e, molto probabilmente, anche il più esperto nell'insieme, sarebbe impresa davvero impossibile, soprattutto dopo aver assistito all'ennesima gara opaca degli 'Skins in questo inizio stagione. Eppure abbiamo Joe Gibbs, capo allenatore già membro della Hall of Fame, Al Saunders, grande mente offensiva e reduce da anni brillanti con l'attacco dei Kansas City Chiefs. Infine Gregg Williams, altro assistente di Gibbs e considerato da molti una delle menti più fini nel mondo del football professionistico per quanto riguarda la difesa. Il tutto ha finora prodotto una squadra confusa, lontana dalla continuità che ci si aspettava potesse trovare dopo un buon 2005 culminato con una vittoria ai playoffs in quel di Tampa e le solite critiche alla gestione poco costruttiva rispetto alle enormi spese corrisposte al mercato.
La stessa vittoria della settimana scorsa contro Jacksonville segnando ben 36 punti aveva dato l'impressione che nella capitale qualcosa avesse finalmente cominciato a girare per il verso giusto dopo una falsa partenza (0-2). I 36 punti segnati ai Jaguars davano l'idea di una squadra in grado di segnare in diversi modi, e soprattutto si aveva avuto l'impressione di trovarsi di fronte a un team solido, che magari concedesse qualcosina in più in difesa rispetto a un anno fa ma che fosse in grado al tempo stesso di gestire le partite al meglio. Un Brunell sopra le 300 yards, un Santana Moss finalmente cercato a dovere e pronto sia per big plays che per segnature e un Clinton Portis inarrestabile. Se la sconfitta contro Dallas alla week 2 aveva evidenziato una certa povertà di idee, i match disputati contro Houston e Jax avevano invece spinto tutti a credere che fosse solo questione di tempo per vedere Washington giocare con una certa regolarità offensiva.
La sconfitta contro i New York Giants non deve far cambiare rotta di 180° a chi crede ancora nei colori dei Pellerossa, ma certamente riduce al lumicino la fiducia nelle speranze di ripetere la qualificazione ai playoffs, soprattutto in una division dove Philadelphia sembra tornata quella di due anni fa e dove gli stessi Cowboys e i Giants hanno mostrato qualcosa in più di Washington catapultando la squadra di Gibbs in un pericoloso 0-2 interno alla NFC East. Un grosso passo indietro quindi, che mette in allarme più per i paurosi vuoti generati a tratti dalla squadra che non per il modo, comunque pessimo, in cui è giunta la sconfitta nella Big Apple.
I Giants sono in un brutto momento, la squadra fatica a trovarsi, la difesa è un colabrodo e, prima del bye week della terza giornata, era reduce da una figuraccia di dimensioni storiche contro Seattle, disfatta limitata nel punteggio da un quarto periodo giocato sopra ogni possibilità e contro dei Seahawks piuttosto rinunciatari e sbadati. Una squadra che attraversa un momento di crisi e con Jeremy Shockey in piena veste trash talker qual è, che non si lascia sfuggire l'occasione per denunciare una totale assenza di chiamate offensive decenti, rigettando ogni colpa nelle mani del povero Tom Coughlin il quale, effettivamente, non sembra in grado di leggere le partite nel modo giusto e di vincerle a gioco in corso. Le chiamate del coach, soprattutto contro Seattle, non portano a sfruttare i buoni momenti del team lasciando viceversa cadere la squadra nell'oblio quando la spinta emotiva è a favore degli avversari. Un capitano senza bussola, verrebbe da dire.
Con questi presupposti la gara del Giants Stadium rappresentava un'insidia immensa per i G-Men, ma al tempo stesso la possibilità di rilanciarsi in classifica e di non veder scappare troppo lontano la leadership nella East. Ritrovare un po' di morale e mettere il record sul livello del 50% era fondamentale, ma non da meno lo era per i Redskins portarsi sul 3-2 e spazzare via ogni venatura polemica. New York è stata però più brava, senza strafare, senza esaltarsi e senza far tremare lo stadio, ma con una gara attendista, intelligente e concreta.
Un primo tempo brutto, dove tolto qualche big play tentato da Eli Manning, si sono visti due attacchi piuttosto lenti, con poche idee, sempre costretti ai field goal che hanno permesso ai Giants di ribaltare lo 0-3 iniziale e chiudere 9-3 grazie ai centri perfetti di Jay Feely nel secondo quarto. Contro una difesa come quella di NY ci si aspettava di vedere, finalmente, un attacco concreto da parte di Washington e l'esaltazione per la gara contro i Jaguars non era ancora passata. Ma i Giants vincono la gara proprio sfruttando il reparto difensivo, con un blocco linebacker finalmente concreto e una linea che è riuscita a rialzare i giochi dello scorso anno quando Osi Umenyora e Michael Strahan furono la coppia più produttiva di tutta la lega.
Sfruttando l'attacco basilare progettato per questo avvio da Saunders, è bastato proprio mettere pressione sulla tasca avversaria, infliggere pressione costante su Mark Brunell, creare qualche sack (tre) e, soprattutto, chiudere i varchi a Clinton Portis, fermato a un totale di 76 yards. Riuscita in pieno nell'intento, alla squadra newyorkese è poi bastato avere sangue freddo e giocare costruendo i drive offensivi con la dovuta pazienza, con calma chirurgica e cercando di tanto in tanto il colpo del KO. Tiki Barber è stato al solito inarrestabile, le sue 123 yards corse hanno aperto in due la difesa degli 'Skins e fatto correre il tempo, dando l'opportunità a Manning di trovarsi il lavoro alleggerito con la possibilità di giocare su Amani Toomer e Plaxico Burress senza troppe pressioni addosso. La D-line dei Big Blue ha retto perfettamente il colpo sul front seven avversario, mentre le secondarie della squadra capitolina riuscivano a limitare il gioco dei rivali solo quando il campo si restringeva. L'insistenza dei Giants ha però pagato, alla fine. A inizio terzo quarto dopo uno splendido drive, Manning ha pescato in endzone Burress mettendo la gara definitivamente sul binario giusto.
Per il giovane quarterback dei Giants una partita ben giocata, un game plan affrontato in modo maturo e paziente, con numeri ottimi come il 23/33 ai lanci servito per completare 256 yards e un TD, senza l'ombra di un intercetto. Il suo diretto concorrente, Brunell, è stato invece costretto a degli straordinari che non hanno assolutamente pagato, è stato fermato a 109 yards ed ha portato i propri compagni a due soli calci di cui uno (il secondo) sbagliato. La partita è stata vinta dalla maggior convinzione di NY, squadra che ha colto i punti deboli di Washington amplificandoli all'inverosimile. Un buonissimo gioco sulla linea di copertura, quest'anno troppo spesso in difficoltà quando dovrebbe essere il punto forte di un attacco che punta tutto sulla tranquillità del QB per avere successo nel gioco aereo. Delle secondarie in grado di coprire bene le tracce a receivers mal serviti e spesso cercati in modo frettoloso. I linebacker finalmente in palla e ottimi a fermare le velleità del running game avversario.
Infine l'attacco, meno devastante di altre volte ma assolutamente più intelligente, ragionato. Visto le difficoltà incontrate per superare una difesa comunque solida, va segnalata la grande prova della linea, abilissima nell'aprire le porte per Barber e nel dare a Manning la possibilità di cercare il target giusto con calma e secondi a disposizione. Fin quando a Barber verrà permesso di correre in questo modo, comunque, l'attacco avrà tutte le chance del mondo di giocarsi le proprie carte, con un big play sempre nell'aria e la capacità di Manning di pescare qualunque delle terribili armi schierate in avanti. Washington rimane un mistero dalla difficile risoluzione. Saunders non ha ancora voluto implementare tutto il gioco offensivo a disposizione, sa di aver bisogno di un quarterback più sicuro di Brunell e di creare, sulla linea, la stessa compattezza dei Chiefs per permettere a Portis di dar sfogo a tutto il proprio potenziale. L'idea è che, come un anno fa, si stia cercando di arrivare ai playoffs solo grazie al gioco difensivo e, per questo, avrebbero una certa logica le spese estive effettuate in un periodo ben lontano dai saldi di fine primavera. La difesa però rimane in campo quasi dieci minuti in più dei Giants e se l'attacco non riesce a trovare continuità diventa dura giocare, soprattutto con un offensiva dalle mille soluzioni come quella di New York.
Il programma è quello di spingere Saunders a dare maggiore profondità al proprio gioco, di trovare al più presto la soluzione per far sì che la linea riprenda a funzionare un po' meglio dando quantomeno a Brunell la possibilità di ragionare con più frequenza. Da una partita deludente come questa si esce con poche convinzioni e pensando che Philadelphia-Dallas, iniziata subito dopo la sfida di New York, sia il vero spareggio per vincere la division. Il potenziale dei Giants, però, sembra poter trovare un buon gioco, soprattutto se tra linea e box si riesce a tenere sotto pressione la tasca avversaria dando meno lavoro a secondarie non troppo affidabili e facili da sorprendere sul profondo. Washington invece pretende un lavoro mostruoso per Saunders, il quale, essendo sprovvisto di bacchetta magica, non può che sperare in un miglioramento della rendita sul campo dei propri uomini e, in un prossimo futuro (il più prossimo possibile) nell'arrivo di nuovi uomini. Intanto però New York vince 19-3, esalta più del dovuto una difesa finora presa a schiaffi più o meno da tutti e rende ancor più pesante la miracolosa rimonta di Philadelphia. Due a zero in division e 2-2 in totale. Superati i barcollanti Redskins e pronti a lanciare la sfida definitiva agli Eagles e ai Cowboys.