Dopo la tempesta.

Steve Gleason esulta dopo aver bloccato il punt che ha dato il vantaggio ai Saints su Atlanta. Le sue braccia allargate sembrano pronte a volare, ma a New Orleans sono davvero pronti?

1927, Florida. Un potente uragano devasta le coste dello stato americano e Miami viene largamente spazzata via. I giocatori dell'università  di Miami, sconvolti, promettono la rivincita morale per la città  sul campo e avvisano i loro avversari che saranno trattati come l'uragano ha fatto con loro: spazzati dalla loro forza. Da quella stagione la squadra della Univesrity of Miami porta nelle case di ogni americano il nickname Hurricanes.

2005, Louisiana. Katrina è invece il nome che entra nelle case di mezzo mondo grazie ai notiziari che, con un susseguirsi di tremende notizie, raccontano uno dei peggiori fenomeni naturali che abbiano colpito di recente gli Stati Uniti. New Orleans esce a pezzi dall'incontro con l'uragano, migliaia di morti, milioni di sfollati, danni incalcolabili e polemiche socio-politiche puntuali come al solito. Tra i più grandi critici di George Bush e dei potenti dello stato del sud, l'immancabile Spike Lee, regista "contro" degli ultimi vent'anni di cinema nero (e non solo) americano. C'era anche lui, lunedì scorso, per la rinascita del Superdome, stadio che dopo il disastro di un anno fa accoglie di nuovo a braccia aperte le partite casalinghe dei Saints, un nome che anche questa volta appare azzeccatissimo. I Santi. Tocca a loro, per primi nel grande sport USA, ricordare le vittime, dare loro l'ultimo saluto dal campo, giocare e vincere per la loro memoria.

Ciò che è avvenuto nell'ultimo Monday Night è storia ormai nota, con un'impresa titanica che ha visto New Orleans spazzare via gli Atlanta Falcons di Michael Vick e volare imbattuta in testa alla division. Una vittoria costruita su una grandissima e sorprendente difesa che segue quelle contro Cleveland (19-14) e Green Bay (34-27). I Falcons tenuti a tre punti e 117 yards corse, touchdown segnati in ogni modo e una forza che sembra uscire dal nulla. Una "tripla W" infilata dalla prima giornata che non capitava dal 2002 e che solo per la quarta volta nella storia onora la squadra della città  del blues. Una serie inaspettata che ha trovato maggior forza dopo la vittoria su una squadra in salute come Atlanta, fermata grazie ai propri errori, certo, ma anche soprattutto grazie ad una difesa che non ti aspetteresti mai di incontrare da queste parti.

Sarà  stato forse il grande evento, il ritorno a casa ha caricato al top gli uomini di Sean Payton, probabilmente la chimica di quell'esaltazione che a volte conta più della propria forza reale ha spinto in modo intraducibile i Saints a trasformarsi in uno squadrone pronto a tutto. L'esordio di Payton è stato ottimo, la sua mentalità  offensiva si è subito amalgamata sui giocatori a disposizione, la sua esperienza nel guidare quarterbacks e giochi offensivi ha trovato un ottimo prato su cui coltivare progetti da non sottovalutare. La double-reverse su campo corto che ha portato in meta Devery Anderson dopo i due handoff tra Brian Griese, Reggie Bush e lo stesso Anderson che hanno spiazzato l'ottima difesa sui Falcons è stata una giocata perfetta, un assaggio di come i lavori in corso, almeno in attacco, siano a buonissimo punto.

Fino alla gara di lunedì, sottovalutare le imprese dei Saints era piuttosto semplice visto il livello non altissimo degli avversari incontrati, ed anche dopo gara tre sembra impossibile stabilire a che punto sia davvero New Orleans, ma un record di imbattibilità  in NFL ha sempre lo stesso valore per tutti. Certamente però, il dopo Katrina ha risollevato l'umore almeno degli sportivi della città , grazie ad una partenza che fa sognare un po' tutti, compreso il neutrale Spike Lee, armato di cappellino oro-gigliato e tanta voglia di tifare per loro. Parlare di postseason oggi è certamente prematuro, ma il lavoro svolto per arrivare sino qui è certamente quello giusto e per quanto si possa leggere il contrario in giro è un traguardo davvero buono e troppo facile da condividere a giochi fatti.

Partito l'indisciplinato Aaron Brooks per la baia californiana, i Saints hanno fatto di tutto per assicurarsi Drew Brees, rilasciato da San Diego per far spazio al talento di Philip Rivers. Brees ha sempre problemi di statura, chiaramente non può essere cresciuto, e quei centimetri mancanti continuano a metterlo in difficoltà  a lanciare nel mezzo dove è spesso vittima di palloni sporcati o respinti dai difensori avversari. Brees è comunque abbastanza preciso da aver sempre evitato vagonate piene di intercetti e da essersi guadagnato ottime giocate sui lati del campo e nel medio raggio spostando la mira sulle flat. L'arrivo di un playmaker come Reggie Bush potrà  garantirgli col tempo un'ottima valvola di sfogo per le situazioni più difficili e un utilizzo maggiore degli screen ai quali si è abituato giocando nei Chargers con LaDainian Tomlinson. Per ora fa buon gioco per Joe Horn, receiver che sta alzando medie di ricezione molto interessanti e si è reso protagonista di qualche importante big play; buona parte delle corse restano il lavoro di Deuce McAllister, il quale dopo i problemi di un anno fa ha riacceso i motori in modo discreto correndo abbastanza bene a Cleveland e in casa don Atlanta. Recuperare un runningback come lui e riportarlo ai numeri di inizio carriera sarebbe quasi uno scacco matto per Payton, che dal canto suo potrebbe contare in futuro su un ottimo gioco di corse e su un backfield da sfruttare al cento percento grazie a McAllister e al jolly Reggie Bush.

La linea offensiva non sembra delle migliori, ma per ora ha limitato i danni soffrendo davvero solo contro i Packers dando però sempre l'idea di essere il primo reparto da riordinare in un prossimo futuro. Mentre gli Special Team sembrano esser stati creati per ogni tipo di situazione sviluppando grandi giocate e segnando la prima meta del nuovo Superdome, la difesa lascia al tempo stesso molti punti interrogativi e grandi speranze di crescita. La D-line può non essere il fronte più compatto della lega, ma il trio di linebacker sta dando molte più garanzie di quanto non fosse stato preventivato. Per molti di questi commenti ci si rifà  ovviamente alla partita con i Falcons, ma vedere certe giocate e pensare che possa trattarsi solo di uno sporadico caso dà  oggi l'immagine dell'assurdo. Scott Fujita è uscito dal campo da vero eroe lunedì sera, e la speranza di ritrovare il gioco concreto che aveva mostrato a Kansas si è improvvisamente riaccesa. Mark Simoneau nel mezzo ha esperienza da vendere e se anche Scott Shanle riuscisse a supportarlo dando qualcosa in più di quanto non si sia intravisto a Dallas, questo trio potrebbe sorprendere ancora a lungo per il proseguo di questa stagione.

Il pezzo forte sono state le secondarie, completamente francobollate ai receivers avversari ai quali hanno forzato molti errori. Atlanta paga lo scotto di qualche stupido drop di troppo, ma anche la prestazione sopra le righe del reparto più arretrato della difesa dei Saints. Le più grosse speranze sono ovviamente le safety, Josh Bullocks e Roman Harper, con il primo che entra nell'anno della piena maturità  ed il secondo che potrebbe rivelarsi un regalo del destino nella sua stagione da rookie. Il bagaglio personale è discreto e i due sembrano trovarsi alla perfezione in campo. In un cantiere come quello di New Orleans, dunque, dopo la città  e lo stadio si cerca di ricostruire una squadra e trovare più conferme possibili per questa situazione è sempre un eccellente vantaggio.

Il primo posto in division nasce certamente dalla disastrosa partenza di Carolina e Tampa Bay, ma viene confermato sul campo contro Atlanta. Battere le altre due rivali nella South nelle prossime settimane non sembra impresa proibitiva visto come stanno le cose in questo momento e questo manderebbe i Saints ad affrontare Philadelphia con una certa tranquillità  prima del bye. Il resto potrebbe farlo il morale che, in stagioni come questa, ha un peso specifico incalcolabile. La voglia di emergere, di rifarsi, di dare con il proprio "inutile" lavoro una speranza a chi sembra non averne avute più.

Un attacco rinato e una difesa veloce e capace di leggere bene le offensive avversarie dimostrano che si può fare qualcosa anche con eroi inattesi e con gente lasciata andar via da altre sedi spesso senza nemmeno una pacca sulla spalla. Il coaching staff, nuovo di zecca, lavora con la tranquillità  di chi deve solamente fare meglio del 2005 e questo è un primato che sembra impossibile lasciarsi sfuggire. Il resto, per ora ,sarebbe solo un guadagno in più, com'è giusto che sia per chi riparte da zero o lì vicino.

Domenica Sean Payotn affronterà  un amico di sempre, quel John Fox che a Carolina vive momenti totalmente opposti e di inattesa difficoltà . La vittoria nel finale su Tampa ha alzato il morale alla truppa, ma quello di New Orleans sembra oggi poter far fare ogni cosa. La convinzione nei propri mezzi è sempre necessaria in uno sport di "collisione" (per dirla alla Lombardi) come questo.

Dopo la tempesta, e dopo le rovine, New Orleans sta tentando di rinascere e sfida l'impossibilità  di dimenticare eventi catastrofici come Katrina. Dopo la tempesta, un primo, e minuscolo, raggio di sole comincia ad intravedersi per la gente della Louisiana. Sono i New Orleans Saints, una squadra che verrebbe da definire come "allegra brigata" che sta cercando di sorprendere tutta la NFL. L'inizio è stato ottimo e loro non sembrano intenzionati a fermarsi così presto.

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