Offensive Game… Problem!

Chris Simms guida l'attacco peggiore della NFL, tre soli punti in due partite per i suoi Buccaneers.

La NFL si risveglia dopo due giornate con pochi punti sui tabellini e, qualcuno, comincia già  a storcere il naso contro regolamenti, giocatori e allenatori. Troppo presto? Come sempre, ma arrivare a leggere che le regole favoriscano troppo il gioco difensivo è piuttosto fuori luogo. A mio modo di vedere i receivers sono piuttosto tutelati e le possibilità  di "staccare" i cornerback avversari sono vive più che mai. Qualcuno, evidentemente, non è del tutto d'accordo, ma poco importa perché a occhio e croce è il modo in cui le società  investono sulle difese che complica la vita ai game plan offensivi della NFL da parecchi anni. Volersi accanire contro le regole suona un po' ridicolo ed è una provocazione lanciata da pochi e raccolta da (quasi) nessuno. Il limite, infatti, non sembra essere per nulla regolamentare, ed è evidente come ogni squadra abbia un suo personale problema, magari simile a quello di altre dieci franchigie ma sempre in sede al proprio spogliatoio. Chi il quarterback, chi il coaching staff, chi tutta la squadra" come letto tra queste pagine, i dati non sono incoraggianti, tre partite senza mete (nel 2005 non successe, nel 2004 si ricorda un singolo episodio), il ventotto percento dei punti realizzati sono arrivati da un field goal e sono già  quattro gli shutout realizzati.

Alcune partite fanno storia a sé, come l'ultimo Monday Night dominato da due immense difese (Pittsburgh e Jacksonville) che ha totalmente bloccato l'attacco dei campioni in carica con un Ben Roethlisberger troppo frettolosamente rilanciato sul campo di gioco, e i padroni di casa limitati alla sola "zona calcio". Per entrambe un episodio che non viaggia parallelo con i problemi di altre squadre davvero lontane dalla forma ottimale e che contribuiscono, non poco, a questi punteggi così bassi.

Se aggiungiamo che le difese storiche degli ultimi anni stanno confermando le aspettative mentre altre che venivano date per spacciate sono risorte, i problemi per molti attacchi sono dietro l'angolo ogni domenica. Il limite però, quando si segna così poco, sta sempre là  davanti, tra la linea offensiva ed il backfield, dove si gioca il tutto per tutto per arrivare al touchdown. Tampa Bay affonda miseramente e senza dubbio è la delusione più grande, almeno finora. Un field goal in due partite è un bottino davvero ridicolo a fronte di una squadra che pochi mesi fa si giocava una Wild Card nei playoffs NFL. I problemi, dei quali si è già  parlato su queste pagine, sono la forma dell'attacco, una linea che sembra scoppiata ed è lontanissima dalla competitività  del 2005, un quarterback troppo inesperto come Chris Simms incapace di gestire situazioni così impegnative.

A Oakland non stanno meglio e raccolgono più o meno dallo stesso orto dei Buccaneers; in partita si semina poco e i frutti non germogliano, ci si prepari alla carestia invernale. Sei punti in due gare, entrambi realizzati durante la seconda partita, con un attacco catastrofico dal quale Aaron Brooks non è stato in grado di pescare nulla, tanto da sembrare ancora più in difficoltà  di quanto non lo fosse a New Orleans. Anche qui una linea mediocre, incapace di creare e bloccare, quasi inesistente.

Scorrendo i dati statistici la situazione diventa quasi normale per Detroit e Carolina, squadre partite col piede sbagliato (0-2) e dalle quali non ci si possono quindi aspettare grandi numeri, anche se per i Panthers le prospettive d'inizio settembre erano differenti. Per Detroit, team che sta cercando di costruire qualcosa di simile a una squadra di football da anni, il discorso è stato complicato dalle avversarie, incontrando Seattle e Chicago, infatti, il compito per Jon Kitna e compagni non era dei più semplici. Sterile e limitato a due calci in gara uno, l'offensive team dei Lions si è tolto comunque la soddisfazione di segnare (proprio su corsa di Kitna) la seconda meta concessa dai Bears negli ultimi trenta quarti disputati al Soldier Field, evento festeggiato anche più del dovuto dai ragazzi di Marinelli. Un attacco che ha comunque mostrato un buon impianto e che confida di aver trovato nel genio offensivo di Mike Martz la medicina per il futuro prossimo. La squadra si muove bene, tiene il campo senza sbagliare troppo e ha visto alcuni elementi, come Kevin Jones, dare qualche segnale positivo come non avveniva da un po' di tempo a questa parte. Il futuro non è poi così oscuro a quanto pare. Come non lo è per i Panthers, che aspettando di riavere Steve Smith in campo si devono accontentare di una sola meta in due gare con tante difficoltà  sul gioco di corsa e un'immensa sofferenza contro la difesa di Atlanta (tornata a ottimi livelli dopo un anno di vacanza) e quella di Minnesota, tra le più grandi sorprese in questo avvio.

Nelle zone di maggior siccità  e di minor confidenza con la endzone fa un certo effetto trovare i nomi di Denver e Kansas City. Dopo essere entrambe crollate alla prima di campionato, le due squadre si sono affrontate sul campo domenica scorsa in quella che potenzialmente sarebbe potuta essere una gara piena di punti e colpi di scena. Risultato finale uno striminzito 9-6 per i Broncos, score che replica in pieno quello tra Seahawks e Lions della week 1. A Denver un colpevole lo hanno già  trovato in Jake Plummer, quarterback da sempre sul filo del rasoio e assolutamente in pessima condizione psicologica e atletica. Le sue 311 yards lanciate sono state condite con quattro intercetti e nessun touchdown, situazione aggravata dal fatto di giocare dietro una grande linea, ottimamente disposta in campo e capace di garantire un ottimo supporto sulle corse che a sua volta stenta però a decollare. Nell'attesa di decidere se mandarlo in tribuna a vendere pop-corn e bruciarsi già  alla vigilia del lungo inverno NFL il rookie Jay Cutler, i Broncos si godono quanto meno il bicchiere mezzo pieno visto che una grande W sono riusciti comunque a portarla a casa. Discorso che non vale per i Chiefs, i quali hanno perso Trent Green dopo un tremendo scontro di gioco, dovendosi affidare così a Damon Huard, trentatreenne di professione "comparsa della lega". Mentre Larry Johnson non decolla neanche a montargli propulsori sulla schiena, anche qui ci si chiede quanto tutto ciò sia dovuto alla mancanza di forma fisica e quanto alla mancanza di uomini giusti da inserire in qualche spot. Per entrambe il futuro non sembra così drammatico come il presente, ma con i San Diego Chargers visti di recente il titolo di division e il conseguente biglietto per i playoffs sembrano lontani.

Tutte le altre squadre della lega sono riuscite ad arrivare alla media di almeno 11.5 punti dopo le prime due uscite stagionali, ma per molte il problema offensivo è piuttosto lontano dall'essere risolto. A Green Bay hanno perso due gare segnando zero-punti-zero all'esordio contro i Bears, ma confidano in una pronta ripresa di Brett Favre, oggi piuttosto dura da prevedere ma da non escludere a priori. A Washington riescono a festeggiare almeno una meta a partita, ma durante il Sunday Night di Dallas è stato Rock Cartwright su kick off return a portare i sei punti a casa, mentre l'attacco è stato forzato ad un solo field goal. La situazione nella capitale non è delle migliori; a dispetto di un'ottima linea c'è un nuovo sistema da inserire appieno e che Al Saunders implementerà  a tappe, lasciando oggi come oggi degli schemi ridotti all'osso che troppo spesso lasciano isolato ed irraggiungibile Santana Moss, mentre Mark Brunell continua a sembrare un giocatore con evidenti limiti di leadership e gioco, nonostante qualche buona dote di repertorio sia comunque presente. Le difficoltà  fisiche di Clinton Portis, inoltre, non fanno altro che aumentare la sfiducia tra i tifosi per una stagione che sembra sempre più di transizione che di conferma, nonostante le grandi spese effettuate in primavera.

Pittsburgh è vittima della difesa dei Jaguars ed attende il pieno recupero di Big Ben per riemergere, mentre Miami, anch'essa in fondo alla classifica, ha mostrato un andamento piuttosto discontinuo ed un Daunte Culpepper che lascia per ora supporre dove sia stato fatto l'affare nel suo movimento di mercato e, seppiatelo, questo posto è decisamente più a nord della calda Florida. In Tennessee è arrivato Vince Young, fenomeno campione nazionale in NCAA che lascia intravedere un futuro sereno e trionfante, ma nell'attualità  regna semplicemente il caos. Un continuo alternarsi tra l'inesperto rookie ed il mediocre Kerry Collins non aiutano la squadra a trovare continuità  e ad emergere, un team che già  vacilla enormemente anche, e soprattutto, sulla linea e ha trovato parecchie difficoltà  tra i propri ricevitori. Un assestamento della O-line potrebbe garantire comunque al trio Young, David Givens e LenDale White la possibilità  di alzare numeri incredibili già  dal 2007. Di certo il futuro di Collins, ormai incapace di ragionare e giocare dai tempi in cui abbandonò New York, è in bilico tra il ruolo di backup e una ricca disoccupazione. Ma in Tennessee aspettano con calma immaginando un 2006 piuttosto duro dal quale trarre le sole conclusioni che realmente interessano, ossia le condizioni e le capacità  di impatto sulla lega del vero fenomeno nel ruolo di QB, Vince Young.

Il problema del segnare punti, e soprattutto mete, va certamente ricondotto a tre elementi come il calendario (affrontare da subito forti difese e già  in forma non aiuta, soprattutto chi è alle prese con nuove situazioni in squadra), condizioni fisiche (il ritardo di alcuni elementi nella preparazione è un punto fondamentale nelle prime tre, quattro weeks) e il valore di alcuni uomini. Spesso, al patibolo, viene mandato il quarterback, non tanto perché le responsabilità  siano solo sue, ma per la posizione da leader che occupa, posizione che lo spinge ad essere più attento nella scelta degli schemi e nel rapporto con i coaches, nella condivisione con la dirigenza del mercato per la selezione di nuovi compagni (discorso relativo soprattutto ai veterani), nella capacità  di guidare fermamente l'huddle e perché, in fin dei conti, buona parte degli occhi sono puntati su di lui. Alcuni di questi sono appesi a un filo da anni e, dopo questo avvio, difficilmente potranno sentirsi al sicuro nei prossimi mesi. In questo caso la differenza la fanno gli eventuali infortuni da recuperare o i veri target stagionali che ci si era preposti all'inizio, evitando la retorica che vuole tutte le squadre in corsa per la postseason. Non che questo sia falso, anzi, ma è certamente slegato dall'oggettiva realtà  dei fatti e suddividere in due gironi le squadre che puntano realmente in alto e quelle che invece mirano a ricostruire o a valutare la crescita di certi aspetti diventa, alla lunga, obbligatorio.

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