Brett Favre sembra disgustato, il primo shutout di una immensa carriera gli è stato servito domenica dai Bears.
La prima giornata di football americano NFL ha riservato, oltre alle solite sorprese e a risultati più o meno imprevedibili, ben tre shutouts, tre "cappotti" davvero pesanti che si sono abbattuti su Green Bay Packers, Oakland Raiders e Tampa Bay Buccaneers. Uno “0” nella casella dei punti segnati, in NFL è sempre un evento piuttosto raro, ma non così improbabile quanto un sei al SuperEnalotto. Fa effetto, in questa prima uscita stagionale, che ben tre squadre siano cadute sul campo senza nemmeno il punto della "bandiera", e fa ancora più effetto leggere tra questi nomi i Buccaneers di Jon Gruden, quei Buccaneers che un anno fa raggiunsero i playoffs dopo una buona stagione e che per il 2006 parevano prontissimi a confermare la propria capacità sul campo. Fanno certamente una certa impressione due squadre come Green Bay e Oakland, storiche franchigie cadute in disgrazia e che, a differenza dei Bucs, non sembrano vedere così vicina la luce in fondo al tunnel. Per le ultime due citate, inoltre, è fastidiosissimo l'accostamento che riceve questo shutout, con i Packers sconfitti dagli eterni rivali di Chicago e i Raiders battuti, nel derby californiano con San Diego, in diretta nazionale per il Monday Night. Giusto un anno fa capitò agli Eagles da detentori della corona NFC subire una batosta così pesante in diretta coast-to-coast, ma non sarà un appunto del genere a risollevare l'umore dei fans del Black Hole.
Uno shutout, per intenderci, è un insieme di cose che va oltre la presunta superiorità dell'avversario, è un evento che riunisce un insieme di coincidenze sfortunate da far invidia al peggiore dei Fantozzi, una serie di errori, rimpalli sfortunati, calci sparati alle stelle, placcaggi sbagliati, blocchi malriusciti, insomma, tutto il peggio che una squadra di football può riuscire a racimolare tra incapacità e malasorte. La preoccupazione di alcuni analisti verte sulle poche segnature in questa prima giornata, ossia il sospetto che le regole imposte sul campo garantiscano troppo "buon gioco" a difese sempre più programmate per colpire, bloccare, ridurre gli spazi; a chiunque piace vedere una difesa ben messa in campo e in grado di agire alla perfezione in ogni situazione, ma se a questi tre shutout si aggiungono i risultati di tutto il fine settimana la conclusione è che solo nell'opening week-end del 1977 si segnò meno di oggi, e questo non è un buon segnale per lo spettacolo da intendersi come show a 360 gradi. Certo, la condizione delle squadre è ben lontana dall'essere ideale, una componente da tenere in forte considerazione e, aldilà delle striminzite vittorie di misura viste in questa prima "quattro giorni" di football, le batoste interne di Packers e Buccaneers, più che quella nel MNF dei Raiders, hanno già dato ampio risalto ad alcune considerazioni. Premature, certamente, ma come potrete ben immaginare i primi segnali non sono stati incoraggianti.
Fermo restando che una sconfitta di misura pesi sulla classifica quanto un desolante 40-0, è anche vero che l'umore del pubblico e della squadra, dopo la prima attesissima uscita stagionale, rischi di finire sotto le scarpe dopo soli sessanta minuti di football giocato. Tampa Bay può essere un discorso a parte, il tempo per riprendersi e riportare sul campo lo spirito di un anno fa c'è tutto, ma visto come i Carolina Panthers sono stati trattati dai comuni rivali di Division, gli Atlanta Falcons, la risalita verso un posto al sole potrebbe davvero essere più complicata del previsto. Ciò che accomuna invece le sconfitte di Oakland e Green Bay è il fatto che si tratti di due squadre che da un paio di anni si avviano ad una (lenta) ricostruzione, e che entrambe, in cabina di regia, vivano il mistero di due quarterback che sono visti oggi più come scommessa azzardata che come cavallo vincente.
A Tampa qualcuno si sarà chiesto se il lasciar scappare via così in fretta il quarterback Brian Griese sia stata o meno una mossa sensata; contro una difesa storicamente solida come quella di Baltimora, il problema per Gruden pare essere stato soprattutto il gioco a due tra il giovane quarterback Chris Sims ed il centro Jon Wade, incapaci di leggere i movimenti del front avversario e di dare il giusto timing nelle azioni di snap. Il gioco rapido e aggressivo, condito da una serie costante di blitz, hanno mandato in confusione il front five della O-line dei Bucs, con un Simms semplicemente incapace di ragionare e colto assolutamente impreparato ad una situazione come questa. Qualche avvisaglia la si era avuta contro il poderoso gioco difensivo dei Washington Redskins durante le ultime Wild Cards NFL, ma probabilmente nessuno si sarebbe aspettato un'uscita del genere all'esordio stagionale. Con una linea difensiva opposta incontrollabile e la tasca spesso invasa dagli avversari, Simms non ha saputo fare di meglio che provare a lanciare palle fuori tempo nella speranza di un miracolo tra i wide receivers, incappando però in tre intercetti e in altrettanti sacks. La sostituzione, inutile ai fini della partita, con Bruce Gradkowski, è servita più che altro a non oscurare definitivamente il già nerissimo umore del QB. Ma Gruden non dovrebbe guardare solo ai punti mancati; anche se sono questi a scatenare lo shutout, infatti, il risultato finale di 27-0 ha evidenziato soprattutto come la miglior difesa del 2005 abbia concesso ventisette punti a un attacco che, fino a poco tempo fa, impiegava due partite per segnare così tanto. Steve McNair è stato capace di allontanare critiche e cattivi pensieri giocando una partita pulita, senza sbavature e senza forzature, dimostrando che, con una difesa in grado di tenere lontani gli attacchi avversari, è ancora adatto a far girare un attacco in modo dignitoso. Nessun grande numero, certo, e parecchi three and out, un po' come ai tempi della Baltimore di Trent Dilfer, con poco guadagno offensivo ma nessuna palla gettata via, nessuna forzatura eccessiva, pochi turnover e un Super Bowl in bacheca. Un primo drive da 80 yards in 14 giochi chiuso in touchdown, contro una difesa che si doveva ancora ritrovare e che si è riscoperta a pezzi dall'eccessiva presenza sul campo mentre il proprio attacco non concludeva assolutamente nulla. Ci saranno altre difese così a mettere in difficoltà i giocatori di Gruden, ma arriverà anche la forma migliore tra due o tre settimane; certo è che passare la metà campo in sole due occasioni (in una terza il primo gioco era già in campo avversario e si è concluso con un intercetto), andare al punt tre volte con un "guadagno" passivo e tenere palla undici minuti in meno di Baltimora è un segnale piuttosto preoccupante. La squadra ha evidenziato grossi limiti contro una difesa capace di chiudersi e bloccare le strade per Cadillac Williams, aggredendo la tasca senza mai dare punti di riferimento e obbligando così un QB troppo inesperto a ragionare rapidamente. La difesa potrà certo riprendersi, ma Gruden, che pare non abbia chiuso occhio la notte dopo la gara, avrà un bel da fare a raddrizzare un attacco che incontrerà prossimamente difese potenzialmente devastanti come quella vista nella week 1 dei Falcons, ma anche Seattle, Chicago, Dallas, Pittsburgh e Washington. Per ora si è limitato ad assumersi le responsabilità di rito e a rilevare i problemi di comunicazione e lettura per un paio di uomini, ma il futuro sembra piuttosto insidioso.
A Green Bay e Oakland, invece, si parla di nuovi head coaches, di uomini e schemi da rivedere, ed anche in questo caso di quarterbacks in discussione, anche se in modi e per motivi diversi dal precedente caso di Chris Sims. In definitiva, quando un attacco va eccessivamente a "strappi", spesso si parte proprio dalla cabina di regia per cercare di comprendere i problemi. Difficile pronosticare un posto ai playoffs per queste due squadre già da prima dell'inizio delle partite di domenica, l'esordio ha comunque lasciato davvero tutti senza fiato: in senso giustamente negativo, s'intende. Da una parte, Green Bay, che non ha mai avuto modo di segnare e ha trovato in un calcio da 53 yards l'occasione più insidiosa; dall'altra nemmeno quel "misero" tentativo. Contro, due difese forti, autorevoli, ma non ancora a pieno regime. I Chicago Bears sono riusciti a limitare Green Bay senza giocare la loro miglior prestazione e concedendo 110 yards ad Ahman Green, ma allo stesso tempo non hanno mai lasciato spazi da aggredire nella propria zona di campo. Brett Favre è pian piano calato, arrivando a forzare all'inverosimile per cercare una giocata che consentisse ai suoi di avvicinarsi il più possibile alla redzone avversaria. Con i Bears nettamente avanti nel punteggio e consci delle proprie forze sulle secondarie, gli intercetti sono stati inevitabili.
La prima mossa per correre ai ripari per Green Bay è stata quella di firmare Koren Robinson, WR tagliato in estate dai Vikings per il "solito" problema col bicchiere, anche se come controparte suona male la cessione a Houston di Sam Gado, rivelazione tra i runningbacks 2005. Robinson, a patto che se ne stia buono buono nelle sue uscite al bar, è certamente giocatore in grado di alzare il livello degli special team sui ritorni e in particolare di dare un buon appoggio a Donald Driver, attualmente circondato da ben poche certezze. La linea non è delle migliori, certo, ma ha mostrato di poter fare buon gioco e non è contro il pass rush dei Bears che le cose risultino più semplici; il nodo principale pare essere Brett Favre, il quale per la prima volta in carriera non è riuscito a guidare l'attacco a punti almeno una volta in tutta la gara. Pur dotato ancora di buoni numeri, il veterano dei Packers ha perso quelle abilità che servono oggi contro difese dotate di giocatori spesso più giovani e veloci. La capacità di reagire rapidamente, di improvvisare con una certa concretezza, di muoversi con un po' più di rapidità . L'ingresso di Aaron Rodgers non darebbe maggiori chances a questo attacco nell'immediato, ma certamente funzionerebbe come ottimo test per tastare il valore reale di questo giovane scelto al primo giro del draft 2005. La difesa ha fatto un discreto lavoro limitando spesso in redzone Chicago e spedendo quattro volte al field goal gli avversari, ma ha concesso un TD di troppo già al primo drive, con una pessima figura per tutte le secondarie e le safeties confusamente a spasso. Il valore dei Packers non è giudicabile del tutto, con Rodgers e Favre difficilmente ricadranno in uno shutout in tempi brevi, ma la stagione sarà tutta in salita e continuare a osare con il numero 4 serve più ai numeri del quarterback che a quelli della squadra. Inutile imputare troppe colpe a una squadra che avrà il tempo, e il modo, di crescere più in vista del 2007 che non nella la stagione in corso, sia per i giocatori che per il coaching staff. E se nel 2007, come probabile, Favre non ci sarà , quanto davvero sarà servito continuare a puntare su di lui? Per ora la preoccupazione non sembra toccare Mike McCarthy, concentrato sui lavori di "rinnovo" e lieto di avere l'appoggio e i consigli del "console" Favre. Il primo capitolo della sua avventura non è stato per nulla buono, una bastonata dai Bears senza segnare punti è peggio di una bestemmia in chiesa per parecchi abitanti del Wisconsin, ma la società conosce il "problema Favre" e sa (o spera) che il ripetersi di una caduta simile non è imminente. La fiducia sono per l'uomo e allenatore McCarthy, le scelte più gravi verranno fatte, eventualmente, da tutto lo staff, dirigenza inclusa.
Discorso in parte simile per i Raiders, che oltre ad affrontare una difesa organizzata si sono visti mettere a nudo anche i difetti difensivi da un attacco pilotato dal solito, inarrestabile, LaDainian Tomlinson. Delle tre squadre uscite con zero punti dal campo Oakland pare quella con meno probabilità di risalita in tempi brevi. Tralasciando di nuovo il discorso difensivo, che non è certo il maggior responsabile in un "cappotto" sul campo, l'attacco è davvero sembrato lontanissimo dall'essere qualcosa di simile a una squadra che gioca a football. Il talento di Randy Moss, in un'accozzaglia del tutto impreparata a giocare, sembra uno dei più grossi sprechi degli ultimi anni. La difesa di San Diego ha blitzato molto senza quasi mai trovare opposizione concreta dalla linea avversaria e pescando un Aaron Brooks spesso poco reattivo e impreparato sulle aggressioni dei rivali. Il risultato è stato quello di portare a casa sette sacks riuscendo a lanciare pochissimo ed in modo approssimativo. Il nuovo offensive coordinator, Tom Walsh, viene da anni di pura inattività e, questa ruggine, pare averlo portato a giocare con uomini sbagliati, ma soprattutto a non aver ancora disegnato un playbook logico con cui sfruttare le proprie risorse. Brooks è certamente una scommessa immensa, quarterback mai realmente esploso e del tutto imprevedibile; lunedì notte però sembrava piuttosto un giocatore di baseball catapultato su un campo da football senza nemmeno il libretto delle istruzioni. Quantomeno, per cortesia, sarebbe bastata una mappa con indicate le vie di fuga, invece è stato il solo ricambio di Andrew Walter a salvarlo per un po' dalle attenzioni di Shawne Merriman e soci. Due dei nove sacks totali, infatti, i Chargers li hanno dedicati proprio a Walter, forse per non sembrare troppo antipatici nei confronti dell'ex giocatore dei Saints.
Riassumendo il tutto potremmo dire comunque che la linea fa acqua, il quarterback non sembra l'ideale in una situazione di totale improvvisazione e non c'è grande profondità nello spot dopo Brooks, un RB massiccio come LaMont Jordan corre solo dieci volte, non fa nemmeno in tempo a ingranare, che Justin Fargas gli è subito preferito, con risultati migliori ma altrettanto inutili. La situazione, tra organizzazione e valore effettivo, è disperata: i Raiders hanno conquistato 129 yards offensive, calciando nove punt consecutivi durante le prime nove uscite sul campo e hanno tenuto la palla poco più di ventiquattro minuti, pallone che è sembrato un oggetto misterioso tra le mani di una squadra senza capacità di riuscita in qualsivoglia gioco offensivo. Solo un fumble nel finale ha macchiato l'inutile candore degli zero turnover subiti, una verginità che andava via via a concretizzarsi quanto quello della casella alla voce "points scored". Nel senso, lanci poco e non segni, ma non posso nemmeno intercettarti così facilmente. Più o meno"
Il problema principale per Art Shell, secondo alcuni maligni giunto ad Oakland più per disperazione che per desiderio, sarà quello di poter gestire nel tempo non solo il lato tattico, ma anche quello più incline alla "scrivania". Da anni la squadra non sceglie al draft nomi offensivi importanti, i continui cambi di coaching staff (tre in quattro anni) non hanno permesso di crescere a dovere i giovani presenti a roster. Sette sconfitte in altrettante gare a fine stagione lo scorso anno con soli 30 punti segnati sono un chiaro segnale di come quest'attacco abbia dei problemi incredibili alla base già da un po' di mesi. Puntare su Brooks per giocare sul profondo è sembrato sufficiente per la società ma non è certo abbastanza, anche se scommettere sugli scramble del quarterback per dare tempo e posizione a Moss potrebbe essere stata la spinta che ha portato a questa chiamata in offseason. Certo, al draft c'era di che rifarsi, ma si è continuato ad andare su una difesa che è ancora piena di limiti, mentre lì "davanti" la O-line campa su qualche giovane e poche certezze per garantire meno dei 46 sacks subiti un anno fa da Kerry Collins. Robert Gallery, riportato sul tackle sinistro, è forse il miglior talento sul fronte della linea, ma tolto Barry Sims il resto della stessa è piuttosto inesperto e privo di una rotazione concreta. La classica stagione di transizione, quella del primo anno di un coach, sarà una delle più dure mai viste nella lega, mentre storici slogan e tradizione affondano pieni di rabbia sotto il peso di 35 sconfitte in tre stagioni, dopo un Super Bowl costruito, prima, e scippato, poi, proprio da Jon Gruden, coach sfruttato per una trade (soldi e picks al draft) che ancora non paga e, quasi certamente, mai pagherà . Un lavoro duro per Shell che potrebbe non terminare nemmeno il prossimo anno, mentre per questo 2006, il rischio di ricadere in giornate altrettanto storte è piuttosto alto.
In definitiva i Tampa Bay Buccaneers sono la squadra che più ha sorpreso in negativo ma, com'è logico, anche quella con maggiori chances di ripresa e margini di crescita. Green Bay si trova di fronte ad una stagione di collaudo mentre prepara l'addio a Brett Favre e Oakland vive, ormai da anni, in un incubo senza fine. Per qualcuno, questo shutout, potrebbe non essere stato solo uno sfortunato prologo di stagione per la squadra Silver and Black, ma il film 2006 è appena cominciato e non ci sembra il caso di cominciare a piangere già oggi su un finale orribile.