Peyton Manning, leader dei Colts: una carriera in sospeso tra record personali e cocenti sconfitte.
Avevamo lasciato gli Indianapolis Colts in gennaio, circondati sul proprio terreno dai festeggiamenti dei giocatori dei Pittsburgh Steelers, futuri campioni del mondo e vincitori del Divisional Playoff dopo l'incredibile calcio sparato fuori da Mike Vanderjagt. Li avevamo lasciati proprio con il kicker che usciva togliendosi il casco e scuotendo la testa con un sorriso incredulo stampato sulle labbra e tanta amarezza, di tutti, per aver gettato al vento quella che doveva essere l'occasione della vita. Era stato un campionato disegnato per i Colts, si diceva, un torneo che avrebbe avuto il gran finale in un Dome, a Detroit, per far sentire a casa la corazzata guidata da Tony Dungy, la quale avrebbe dovuto guadagnarsi "solamente" il fattore campo. E così fu. Una serie impressionante di vittorie (dodici consecutive) costruita su una difesa abile e più robusta degli anni precedenti e con il solito attacco aereo fenomenale guidato da Peyton Manning, l'uomo dei record appoggiato da tutti i suoi target e supportato dalle corse del grande Edgerrin James.
Dodici vittorie infilate attraverso la tragedia che ha colpito l'head coach Dungy che nel pieno della stagione ha ricevuto la notizia del suicidio del figlio appena diciottenne. Una serie rimasta immacolata fino a tre gare dalle fine, quando San Diego e Seattle avevano spezzato i sogni di perfect season. E anche qui, giocando sulla cabala, tutto sembrava perfetto: Indianapolis pagava in regular season con due sconfitte ciò che non avrebbe poi dovuto scontare in postseason. Fattore campo conquistato, bye week anche; ma a Indy sbarcano gli Steelers, dominano tre quarti di gara e vanno contro tutto e contro tutti, contro i pronostici ed un arbitro troppo sbadato per essere vero, un referee che annulla due volte uno splendido e pulitissimo intercetto di Troy Polamalu che avrebbe mandato tutti a casa con largo anticipo. Invece i Colts sono rimasti vivi fino all'ultimo secondo, ma quel Divisional era la partita degli errori e di The Tackle, la più importante giocata di Ben Roethlisberger durante tutti i playoff: un placcaggio! Un placcaggio che impediva ai Colts di ribaltare il risultato, a Jerome Bettis di terminare la carriera con un fumble riportato in meta dagli avversari e a Bill Cowher di dare spiegazioni su una chiamata per alcuni folle per altri obbligata. The Tackle, poi il buio. Il calcio di Vanderjagt e i Colts eliminati alla prima uscita dei playoffs 2005.
Nel 2006 non ci sarà più Edgerrin James, non ci sarà più nemmeno Vanderjagt, e proprio nel momento in cui secondo alcuni rankings tornano alla ribalta i New England Patriots, con franchigie come Seattle, Cincinnati e Dallas pronte ad emergere e giocarsi il titolo fino in fondo, la squadra di Peyton Manning scivola per molti in posizioni più basse dopo essersi giocata il tutto per tutto definitivamente. Un quarterback fenomenale che crolla psicologicamente nei playoff, un coach troppo conservativo nel finale di stagione che ha lasciato arrugginire per troppe partite i titolari, un'intera squadra che ha subito un'eccessiva pressione sbloccandosi solo negli ultimi 15 minuti di gioco senza riuscire a portare a termine l'impresa. Fattori pesanti. Punti che hanno portato la società a ritoccare, verso il basso, i contratti di Marvin Harrison e dello stesso Manning, capaci di brillare come De Beers in regular season e di spegnersi, amaramente, sul più bello.
Mentre l'ultimo treno sembra definitivamente passato, l'anno dei Colts potrebbe al contrario compiersi proprio adesso, portando Manning, sospeso tra i record di Dan Marino e gli anelli di John Elway giunti a un passo dalla pensione, al meritato trionfo. Persa la partita della vita i Colts potrebbero essersi tolti di dosso tutta quella pressione che nella stagione da predestinati gli è scivolata addosso in gennaio. Fermo restando che il fattore campo debba essere riconfermato anche nella prossima postseason (impresa più che possibile), mentre in giro si parla dei nuovi brillanti attacchi di Arizona e Dallas e di come Seattle sia diventata ancora più forte e New England insegui un record a portata di mano, Indianapolis ripresenterà il più efficace gioco aereo della lega, ritrovando una possente O-line capace di dare spazio a Manning e di inserire al meglio le corse di Dominic Rhodes e del rookie Joseph Addai, piccolo e velocissimo RB.
La difesa è il punto cruciale. Alcuni infortuni e una certa stanchezza ne hanno minato a fine 2005 una solidità che a tratti è sembrata ben superiore al livello medio dei giocatori presenti a roster, ma alcuni inserimenti ottenuti al draft (il LB Freddie Keiaho e il CB Tim Jennings) potrebbero dare maggiore profondità e più certezze per la stagione a venire. Una squadra che ha mostrato di saper soffrire e vincere in regular season e che Dungy ha portato a ben 38 vittorie nelle ultime tre stagioni. Una squadra che si è sbarazzata suo malgrado dell'etichetta di vincente e che non dovrà più necessariamente giocare con l'obbligo assoluto di arrivare in fondo e con il pronostico a favore.
Se la difesa si confermerà quella del 2005 i Colts potranno volare tranquilli ai playoff grazie ad un team offensivo che conta ancora su giocatori di altissimo e livello e che, pur non potendo portare gli stessi numeri degli ultimi anni, anche sul running game avrà certamente modo di dire la propria. A calciare non ci sarà più quel chiacchierone dal piede fatato di Vanderjagt, anche lui vittima della pressione infinita sull'ultimo calcio, ma un kicker che la tensione pare non sapere nemmeno cosa sia: Adam Vinatieri, l'uomo che con il piede ha vinto più di Diego Armando Maratona nel calcio e ha infilato l'ovale decisivo in mille occasioni ma, soprattutto, lo ha fatto in due Super Bowl.
Benché la critica continui a considerarli squadra di prim'ordine (ci mancherebbe), non sembra più così asfissiante nei confronti di Tony Dungy e i suoi uomini, così come pare, in un certo senso, aver abbandonato l'idea di vedere i Colts in grado di affrontare dei playoffs di alto livello quando il gioco si fa duro. Proprio da questo fattore Dungy può ripartire, da una squadra con voglia di riscatto, selezionando meglio i cambi da effettuare verso fine stagione, tenendo sempre alta la tensione e giocando sulla difesa come all'inizio campionato scorso, lasciando poi che Manning guidi come sempre l'attacco mettendo l'ovale tra le mani di Harrison, Dallas Clark e Reggie Wayne, pretendendo da lui maggior versatilità e più concretezza quando il momento di "allenare in campo" è finito ed è ora di affrontare il tempo e recuperare punti. La perdita di James, per quanto grave, dà inoltre la possibilità di rimescolare le carte nel gioco di corsa, con la possibilità di far girare molto gli uomini a disposizione in quello spot, responsabilizzando Rhodes e aiutando Addai a crescere e a sfruttare i varchi creati dalla linea per far esplodere la propria velocità .
Nella durissima AFC è difficile farsi avanti senza intoppi, ma la verità è che il roster dei Colts è molto competitivo e forse si è "cantato sconfitta" troppo prematuramente. Molti fattori, soprattutto d'esperienza per non ripetere certi errori o rimanere vittime (di nuovo!) di una pressione che si mangia numeri e giocate, dovranno essere costruiti da Dungy, coach intelligente e abilissimo nel gestire le risorse umane; se non crolla lo spogliatoio e si guarda gli altri dal basso verso l'alto allora i Colts possono ricominciare da quel calcio uscito largo a destra in gennaio davanti al proprio pubblico. Un altro fallimento potrebbe voler dire ripartire da molto più lontano, con una società forse stanca di non vedere mantenere le promesse sul campo, ma questo avvio del coaching staff è perfetto, di basso profilo, pronto ad esplodere per poter raccontare ai posteri, un domani, come andò il 2006: l'anno dei Colts.