Dallas Braden, pochi secondi dopo il Perfect Game, abbraccia la nonna che l'ha cresciuto
Tranquilli, Romo non ha ancora vinto il SuperBowl e i Mavs sono sempre lontanissimi da qualsiasi tipo di anello.
Il “Dallas” che celebriamo in questo articolo è Dallas Braden, giovane pitcher degli Oakland Athletics che la scorsa notte ha lanciato il diciannovesimo PERFECT GAME nella storia del baseball professionistico statunitense.
109 lanci, di cui 77 strike, e tutti e 27 gli at-bat dei Tampa Bay Rays sono finiti K, nel guantone del prima base o in flyout. Nessuno è giunto salvo in prima, nessuno è stato mandato avanti con una base per ball. Niente di niente, un perfect game appunto.
Nato in Arizona 26 anni fa, Braden è già un senatore nella giovanissima rotazione degli A's. Il prodotto di Texas Tech ha perso, nel tempo, la screwball che lo caratterizzava ma ha acquisito un cambio d'elite. Da professionista ha finora inanellato numeri mediocri (18-23, 4.49 ERA, 1.374 WHIP), ma la fiducia che la squadra californiana ripone nei giovani da ormai qualche anno gli ha permesso di stare in squadra.
Nel 2010 la svolta: ad aprile inizia subito forte, andando sul 3-0 dopo quattro partite con un ERA bassissima, figlia della migliorata gestione della palla. La percentuale di strike sul totale di lanci effettuati sale vorticosamente, prendendo residenza attorno al 70% stabile. E' questo il dato che non ci fa sorprendere troppo del perfect game di ieri sera, contro quei Rays migliore squadra della nazione che già l'anno scorso avevano subìto la stessa gemma da Mark Buherle a Chicago.
Come ogni perfect game, anche questo non da molto spazio a cronache. Un bell'out al volo ma in zona di foul, pochi strikeout, un po' di precipitevolezza dei Rays al piatto.
La vera cronaca è quella degli ultimi due out, con Dioneer Navarro che alza un line drive che solo per puro caso finisce nel guanto di un outfielder appostato esattamente in quel punto del campo e con Gabe Kapler che, prima di girare il groundout che rende leggendario il pitcher di Oakland, fa mangiare le unghie al Coliseum
spingendo Braden sul conto 3-1.
Dopo di quello è solo festa, molte lacrime e striscioni con il 204 (prefisso della zona della California dove il numero 51 è cresciuto)
che sventolano sulle gradinate semideserte del ballpark.
Chi vi scrive a volte fa davvero fatica a credere che nello sport americano vi siano vicende come quella appena narrata e che andremo a completare tra poco.
Sì perchè Braden non è solo un pitcher che sale sul monte, lancia bene, magari pesca una giornata fortunata e lascia a secco la squadra che domina in coabitazione la division più difficile del Mondo del baseball.
Braden è un ragazzo che a fine partita viene abbracciato dalla nonna e che le dice di volerle bene piangendo. E' un ragazzo che ha perso la mamma quando era ancora alla High School e che è cresciuto in un quartiere difficile, dove di solito i ragazzi in una situazione difficile come la sua finiscono male, col solo supporto della nonna.
Se aggiungete che ieri in MLB, come nel resto della Terra, si celebrava la festa della mamma, avete un bel quadretto strappalacrime che sembra scritto proprio da uno di quegli sceneggiatori che alla fine del film mandate a quel paese per l'impossibilità delle circostanze raccontate.
E poteva mancare la sidestory da “Davide contro Golia”? Assolutamente no.
Lo scorso 22 aprile Alex Rodriguez, dopo una foul ball, torna in prima base calpestando il monte di Braden. Il ragazzo, che ha qualche problema con l'autodisciplina, la prende sul personale e certo non gliele manda a dire.
Nasce una lite sul campo che si trascina davanti ai microfoni. Voglio vedere se lo fa a Boston cosa gli succede!” sbraita il giocatore degli A's. “Non chiedetemi nulla su quello, non voglio estendere i suoi 15 minuti di popolarità . Mi fa ridere!” replicherà A-Rod con antipatia innata.
Altro che 15 minuti, ora il nome di quell'astioso avversario è scritto per sempre negli almanacchi dell'MLB, con buona pace del campionissimo degli Yankees. In scena torna la 'nonnina', che per la verità poco elegantemente, commenta “Prendi questo, A-Rod!”.
Ma il canovaccio di Dallas Braden è ancora vuoto; mancano altri, lo speriamo per lui, 10-15 anni di Majors, altri mille incontri con Rodriguez e chissà quanti out. Nulla però potrà mai togliergli quel posto nella storia del gioco che il 9 maggio del 2010 si è
ritagliato. In quel pomeriggio caldo di Oakland, davanti a pochi spettatori, con i suoi compagni ad aiutarlo, con la nonna a guardarlo e la mamma a vegliare su di lui. Quel pomeriggio californiano in cui
la vita gli ha ridato molto di quello che si era presa da lui. Il pomeriggio della sua partita perfetta.