Jim Tressel ed Ohio State cederanno lo scettro ad Iowa?
Quando nel 2001 sbarcò a Columbus, Jim Tressel doveva essere in grado di trasformare l'idea di vincente che si era creato in Division I-AA a Youngstown State in una realtà di alto livello come quello del college BCS e dell'esigente pubblico di Ohio State. I Buckeyes non vincevano un titolo nazionale dal 1975, i tempi del mitico Woody Hayes, e ultimamente, con al timone John Cooper, le cose andavano malissimo nel più atteso scontro dell'anno contro Michigan, con gli odiati Wolverines che avevano assestato un pesante 10-2-1 agli avversari.
Tressel basò parte del suo discorso di presentazione proprio su quello, garantendo a tutti che avrebbero potuto girare a testa alta per Ann Arbor, che il percorso di umiliazioni sarebbe terminato, che tutti sarebbero stati orgogliosi di quanto sarebbe uscito da quell'esperienza. E, almeno all'inizio, ebbe ragione lui. Coach dell'anno nel 2002, Tressel non solo è 7-1 nel rivarly game per eccellenza della Big Ten (striscia aperta sul 5-0), ma al secondo anno riportò il titolo nazionale a Columbus vincendo il Fiesta Bowl contro Miami e proseguendo la striscia di bowl vincendo altri due Fiesta ed un Alamo Bowl.
Tressel, dopo una stagione di assettamento, aveva dimostrato di saper reclutare atleti di ottimo livello, di saper gestire al meglio un ambiente caldo e difficile come quello di Columbus, di saper mettere in campo una squadra solida e capace di vincere senza per forza avere tutti i tasselli giusti nel posto giusto. Il titolo nazionale arrivò contro un avversario nettamente favorito, quegli Hurricanes che schieravano quella sera gente del calibro di Sean Taylor, Willis McGahee, Andre Johnson, Kellen Winslow, Roscoe Parrish e Ken Dorsey. Per gli scommettitori c'erano più di 11 punti tra le due squadre, 11 punti almeno che Miami avrebbe messo tra sé e OSU.
Il mito di coach Tressel nacque quella notte, con un pronostico ribaltato in overtime in una indimenticabile e contestata (per via di una chiamata arbitrale sul finale, poi considerata valida) partita. Vennero altre due stagioni difficili, poi Tressel rimise in piedi una grande squadra, ha macinato un titolo di Big Ten dopo l'altro e giocato altre due finali per il titolo. Entrambe, però, perse malamente. Il calo di valore della conference nei confronti della SEC ha fatto sì che il vincere il titolo nel Midwest non sia più elemento sufficiente per poter essere "orgogliosi" di quanto la squadra sta facendo. E' vero, Michigan sta in acque burrascose, ma a livello nazionale, a Columbus, si aspettano comunque di più. L'umiliazione agli eterni rivali e la costante supremazia in conference, non possono dipendere dall'inferiorità degli altri e dalla capacità , grazie ad un programma ricchissimo, di portarsi a casa atleti spesso migliori di tanti altri.
E così, mentre Florida e Louisiana State demolivano negli scorsi i sogni titolo dei tifosi di OSU, la critica piano piano cominciava a demolire l'ancor giovane carriera di coach Tressel. In prospettiva, s'intende. E, da qualche settimana, i mugugni solitari stanno diventando ululati in branco. La sofferta vittoria con Navy, la seconda sconfitta consecutiva con Southern California, il sorprendente crollo contro Purdue. Non bastasse questo, il primo posto in conference a rischio e il #17 del ranking, in campo si vede poco. Quando un paio di anni fa Tressel strappò Terrelle Pryor alle mani di mezza America si costruirono ponti d'oro di fantasie sul futuro prossimo della squadra.
Oggi Pryor è un ragazzo in netta difficoltà , una foto sbiadita di Michael Vick, che ha atletismo e numeri ma che non esplode, non migliora, non cresce, incatenato a un gioco che non emerge e ad una squadra che sembra affogare in un bicchier d'acqua. E' solo un secondo anno, si dirà , ma da quelle parti si parlava del miglior giocatore mai passato per Columbus. Un bell'impegno. Un impegno che Tressel non riesce a gestire, con un gioco ormai divenuto schizofrenico, dove talvolta il solido gioco di corsa diventa un misero optional e, comunque, a muovere il motore sempre lui, sempre Pryor. Domenica, dopo due quarti piuttosto opachi contro Minnesota, qualcosa ha cominciato a scricchiolare con maggiore insistenza.
Certo, una Big Ten che oggi vede in testa Iowa è di per sé stravagante. Usciti vincenti anche contro Michigan State, i ragazzi di Kirk Ferentz, che nessuno vedeva oltre a un già ambizioso quarto posto a inizio anno, viaggiano imbattuti in testa alla Big Ten e sono al #4 delle classifiche BCS. Gli Hawkeyes sembrano avere quello che manca oggi ad OSU: testa. Testa per controllare le gare, testa da non perdere quando la partita è punto a punto, testa per cercare di giocare per quello che si può dare. Se il pesce, come si dice, puzza dalla testa, la mancanza di controllo e di impatto sulle partite dei Buckeyes non può che essere ricercata sulla sideline. Così come, viceversa, ad Iowa City, l'esplosione di tanti junior sta pagando i dividendi dell'ottimo lavoro svolto nell'ultimo triennio da Ferentz.
Gli Hawkeyes lo scorso anno portarono a casa l'Outback Bowl battendo South Carolina (31-10) e quest'anno puntano a sognare in grande. Hanno già battuto Penn State, prima grande rivale di un calendario che trova vere insidie negli scontri interni alla conference, e tra tre settimane attendono proprio OSU. I Buckeyes, dal canto loro, dopo New Mexico State, avranno la squadra di Joe Paterno, Iowa e Michigan. Tre sfide che varranno forse il futuro di Tressel da queste parti. Le speranze del coach sono ormai evidenti, e cioè legate al fatto che Pryor entri in totale stato di grazia e vinca da solo partite che l'attacco non riesce più a controllare come un tempo.
Un crollo verticale potrebbe significare qualunque cosa: la perdita del titolo di conference dopo 4 stagioni, l'uscita dalla Top25, la sconfitta contro Michigan. Oppure tutto insieme e lì, la catastrofe, sarebbe inevitabile. Ferentz non si sbilancia, la sfida contro OSU, in trasferta, è quasi un bel muro da scavalcare. Ma il coach all'undicesimo anno sulla sideline degli Hawkeyes ci ha già abituato a ottime cose. Vincitore della Big Ten nel 2004 ha piano piano ricostruito il proprio giocatolo fino alle 9 vittorie di un anno fa e alla squadra di oggi che, se convinta dei propri mezzi, potrà ripresentarsi quasi per intero anche nel 2010.
Il grande vantaggio non nasce solo da un gioco semplice e corale, ma anche da un quarterback, Ricky Stanzi, che benché non possa essere rapportato ai migliori sembra mantenere sempre il controllo, ha una grande resistenza alle situazioni difficili e regge la pressione avversaria senza mai sciupare un pallone. Non è un'arma decisiva, non alzerà mai grandi numeri e l'uomo in meta non lo manda 5 volte a gara, così com'è evidente che certi palloni gli escano ancora un po' male e risultino facile preda per i difensori avversari. Eppure finora ha sempre retto, non è mai crollato nemmeno quando la situazione diventava insopportabile, come contro Arkansas State o Michigan dove comunque, un modo per andare a punti, anche solo 3, lo ha sempre trovato.
E sabato scorso, nella difficile prova contro Michigan State, il suo definitivo messaggio a Pryor e soci, un drive da 70 yard dove ha corso e lanciato fino alle 7 avversarie. Poi tre incompleti e la slant chiusa da Marvin McNutt quando l'orologio segnava 0.
Il gioco della Big Ten 2009 sta qua, in Terrelle Pryor e Ricky Stanzi, in Jim Tressel e Kirk Ferentz. Il potenziale di OSU è superiore, la squadra se gira nettamente più forte. Pryor, con tutti i limiti di un sophomore e di una situazione ingarbugliata ha una stoffa che Stanzi si sogna, Tressel ha allenato in partite in cui il confronto contro una sfida ad Iowa non comincia nemmeno. Eppure davanti c'è Ferentz, con tutta l'inerzia del mondo e niente da perdere. Davanti ci sono Iowa che vince, un quarterback che non perde mai la calma ed un gioco che scivola via nel massimo che può fare, spesso il minimo indispensabile, con un coach che potrebbe regalare un altro inatteso titolo al suo popolo.
Dietro, un uomo ancora bambino, un gioco incatenato a dogmi che nessuno comprende e un allenatore sulla graticola che, tolta la sfida con Michigan, da tanto, troppo tempo perde ormai quasi tutte le partite che contano. Forse non basterà questo, ma la strada da qui alla fine di una stagione vincente, per i Buckeyes sembra comunque molto lunga.