ASU ha battuto Delaware, cominciano i festeggiamenti per il
Sin dall'inizio dei lavori primaverili dalle parti di Boone, North Carolina, e in tutta la parte bassa della Prima Divisione di college football non si faceva altro che parlare della tripletta che i Mountaineers di Appalachian State avrebbero potuto suggellare vincendo anche quest'anno il titolo. Ora il tutto è realtà , il "three-peat", come dicono aldilà del mare infinito, è compiuto, la storia finalmente riscritta. Dagli anni Quaranta, quando Army conquistò tre titoli nazionali consecutivi (1944, '45, '46) nessuna formazione di Division I era mai riuscita a raggiungere un traguardo di siffatte dimensioni e, dalla nascita della FCS (ex I-AA) nel 1978, nessuno aveva portato a casa l'impresa di AppState nella lega inferiore.
Un capolavoro costruito da Jerry Moore, coach texano cresciuto come giocatore sotto la custodia di allenatori come Sam Boyd (uno Sugar Bowl vinto) e John Bridgers alla Baylor University. Il sessantottenne head coach dei Mountaineers, passeggia sulla sideline in North Carolina dal 1998 ed ha sempre chiuso la stagione con un record vincente. Dopo quattro apparizioni consecutive ai playoff AppState si ritrovò però fuori nel 2003 e nel 2004, mettendo in crisi il progetto di Moore e le speranze dei tifosi che solo nel 2000 avevano sfiorato la finale per il titolo fermandosi un passo prima.
In realtà il 2004 fu proprio l'anno in cui si cominciò a ricostruire seriamente, e i frutti si videro subito con il titolo nella stagione successiva. Gente del "posto", si direbbe, gente della Carolina che negli anni è approdata ad AppState per far crescere la squadra fino alla tripletta e alla magnifica vittoria di settembre in casa di Michigan. Gente come Kevin Richardson, da Elizabethtown (North Carolina), Armanti Edwards (Greenwood, stavolta Carolina del sud) o Devon Moore (Mebane, NC), tutti di quelle terre, tutti decisivi nella finale vinta contro Delaware 49-21 senza che risultato e la superiorità dei campioni in carica fossero mai messe in crisi.
Gente che un giorno potrebbe avere un ruolo secondario nella Nfl, ma soprattutto ragazzi che hanno costruito una importante fetta di storia della Ncaa, una storia che, vista la divisione, non occupa le prime pagine dei giornali ma che, secondo la più classica esaltazione nello sport americano, è una dinastia e così, i giornali locali, hanno ribattezzato l'impresa, senza temere smentite o preoccuparsi di eccedere nei giudizi.
La squadra di Moore è stata costruita e plasmata col tempo, scegliendo una generazione di ottimi giocatori alla quale aggiungere di volta in volta un tassello in più. AppState si è costruita un nome ed ha attratto anche chi non riusciva a sfondare al piano di sopra e chi tra un Conference minore di BCS ha preferito vincere nella FCS. Non è un caso che questo successo non passi solo per l'impresa di Michigan e la terrificante striscia positiva interna oltre alle tre SoCon conquistate, o nemmeno solo per il record di 39-6 totalizzato negli ultimi tre campionati; tutto il successo passa anche attraverso gesta individuali come quelle di Corey Linch, il cornerback che ha fermato il calcio decisivo dei Wolverines ed è stato finalista del Buck Buchanan Award come miglior difensore di D I-FCS (oltre a detenere il record di passaggi deviati in Division I), Armanti Edwards il quarterback che lancia, corre e vince, Kevin Richardson, il runningback finalista al Walter Payton Award, o il sophomore Devon Moore, il freshman Daniel Kilgore e, ultimo ma non meno importante, Kerry Brown, tremenda guardia sinistra, leader offensivo e, contro Delaware, all'ultima presenza in carriera collegiale.
"Storico?" si è chiesto a fine gara Brown rivolto ai cronisti di AP, "non ho ancora focalizzato bene il punto, sono davvero emozionato… non vorrei passare per una femminuccia. Non ho mai pianto in questi ultimi tre anni, ma lo faccio oggi. E' uno splendido modo per uscire di scena". Stessa sorte per Armanti Edwards, commosso ed esaltato al tempo stesso e, quando incalzato sulla vittoria contro Michigan a inizio stagione e se questa possa rappresentare il suo miglior ricordo della sua carriera ad AppState ha aggiunto che "la vittoria contro Michigan non ci ha messo un anello al dito".
Insomma, una stagione esaltante, un triennio da favola, chiuso nel migliore dei modi, con una prestazione maiuscola che ha visto Edwards completare 9 passaggi su 15 per 198 yards e 3 touchdown e correre altre 89 yard, Richardson mettere a referto 118 yard e una meta e Devon Moore e il secondo quarterback Trey Elder piazzare due big play sulle proprie gambe da antologia.
La difesa ha retto benissimo l'impatto del (probabile) futuro quarterback Nfl Joe Flacco il quale, pur giocando una buona gara (334 yards e un TD), non è riuscito ad incidere come avrebbe voluto ed è sempre stato fermato nei momenti chiave della gara dalla difesa dei Mountaineers.
Come al suo secondo drive quando, dopo un "tre e fuori" e la prima meta avversaria, ha dovuto soccombere con un incompleto a un 4° and goal nel più classico goal line standing difensivo, la giocata che evitava il pareggio immediato e che caricava gli avversari che, palla in mano, ribaltavano il campo grazie anche alla corsa da 46 yards di Moore.
Poi il field goal sbagliato dalle 35 da Jon Striefsky, segno di una probabile emozione che ha schiacciato i ragazzi di Delaware di fronte ai predestinati, ai dominatori di tre anni di college in FCS. E subito bravi ad approfittare di ogni errore avversario e di portarsi 21-0 con Daniel Kilgore, bravo a recuperare un fumble di Richardson finito in endzone. Da lì anche i Fightin Blue Hens cominciavano segnare, ma l'esperienza e la bravura dei ragazzi di coach Moore bastavano a mantenere sempre vivo e pesante lo scarto sul campo, tanto da chiudere la gara sul 49-21.
Una storia col lieto fine che ha rischiato di terminare nei primi due turni di playoff quando James Madison fu superata e battuta di uno con 9 punti negli ultimi 4 minuti; o contro Eastern Washington fermata per soli tre punti dopo una rimonta finale degli Eagles. Un finale che ha rischiato di diventare rissa quando Mark Duncan ha sparacchiato il pallone in faccia ai tifosi rivali già pronti a invadere il campo dopo un kick off riportato in meta dal ricevitore di Delaware. Un finale che ha rovinato la grande stagione dei Blue Hens, i quali hanno il casco terribilmente simile a quello di Michigan (un po' più chiaro…), giunti al #13 del ranking di D I-FCS e in grado di compiere alcune memorabili imprese in trasferta durante i playoff.
"Non posso spiegarvi quanto sia rilassato ora che ho messo in campo una tripletta" ha detto Moore, "finalmente è finita!" ha terminato quasi esausto ma incredibilmente felice. Una carriera vincente la sua, una bella storia che occupa poco spazio e che non ha il blasone di tante altre ma, sicuramente, una storia che meritava di essere raccontata. Appalachian State, la piccola università di Boone, nel North Carolina, che ha uno stadio più capiente di quanto non fosse la popolazione censita nel 2000 e che a settembre si vide invasa da tifosi ed ex allievi pronti a staccare il goal post dal campo e trascinarlo come trofeo per tutta la città , quegli stessi tifosi che hanno invaso il campo del Finley Stadium di Chattanooga per onorare l'impresa. Bene, quella Appalachian State è nella storia. E, per piccola che sia, è sempre una grande storia di football.