Big East: ancora Cardinals!

Terrence Williams non ha tradito la fiducia di coach Rick Pitino…

La pazzia di marzo ha contagiato tutte le squadre favorite per un seed #1 nel Torneo NCAA: North Carolina, Connecticut, Pittsburgh. Louisville no, ha retto fino alla fine. Tre vittorie su tre incontri, e dopo aver vinto la regular season è arrivato anche il Torneo di Conference, e il giusto riconoscimento nel bracket per il Torneo NCAA, al quale i Cardinals arrivano con il #1 assoluto e soprattutto con una striscia aperta di 10 vittorie, e 20 nelle ultime 22.

Ovvio che tutto questo conta fino a un certo punto, ma i ragazzi di Rick Pitino hanno dimostrato freddezza nelle gare a eliminazione diretta. Se con Providence la pratica era già  stata archiviata nel primo tempo, contro Villanova e Syracuse sono stati dei parziali spezza gambe nel secondo tempo a chiudere il discorso.

Contro i Wildcats si era andati al riposo sotto di otto, e c’era voluta tutta l’arte da motivatore di Pitino per spronare i ragazzi: “Non riconosco nessuno di voi. Non so voi chi siate. Quello non è Earl Clark, quello non è Terrence Williams, quello non è Jerry Smith. Non so chi siate voi. Tutto quello che abbiamo fatto per diventare una buona squadra, lo avete totalmente buttato via in un tempo da 20 minuti”.

Quando arrivano strigliate simili, le cose sono due. O ti abbatti e di conseguenza implodi, o rientri in campo con uno spirito da leone. Chiedere a Scottie Reynolds, point guard di Villanova, come sia andata: ventitre palle perse forzate, break di 17-2 nei primi cinque minuti del tempo. Reynolds, 15.5 punti di media in stagione con il 40% al tiro, chiude con 2 punti, frutto di 1/6 al tiro, e 6 turnovers.

La trama non è cambiata poi di molto nella finale contro Syracuse. Primo tempo chiuso sotto di otto, al rientro i Cardinals si scatenavano sulle linee di passaggio, su tutti Terrence Williams (solita prova totale con 11 punti, 7 rimbalzi, 6 assist e 7 recuperi), dando il via al parziale di 28-9 che consegnava loro la corona della Big East. Certo, Syracuse ha pagato i tanti minuti giocati nei giorni precedenti, con molti passaggi troppo soft per non essere intercettati. Ma Louisville è riuscita ad alzare il tono in difesa (36% concesso nella ripresa, 0/8 da 3) ed ha messo con facilità  punti sul tabellone, chiudendo con sei uomini in doppia cifra.

I Cardinals hanno sicuramente la coppia di ali più talentuosa del college basket. Terrence Williams è un giocatore di una completezza unica. Può segnare, certo, ma anche quando non lo fa può rendersi utile in mille altri modi: tanti rimbalzi (8.5 di media, anche 16 contro Notre Dame), capacità  da passatore di primissimo livello, mani rapide sulle linee di passaggio come detto. Earl Clark è dotato di grande verticalità , può concludere tanto di potenza quanto con jumper affidabili sia dalla media che dalla lunga distanza. Ha chiuso il torneo con 18 punti, 9 rimbalzi e 4.6 assist di media, con percentuali di tiro molto vicine al 50%.

A completare la frontline c’è il freshman Samardo Samuels: ottimo realizzatore, la sua stazza gli permette di prendere facilmente una posizione profonda. In difesa ha il giusto timing per stoppare ma per il resto c’è ancora da lavorare, soprattutto a rimbalzo, dove potrebbe fare di più, e stare attento ai falli. Per lui 22 punti, 7 rimbalzi e 5 assist contro Providence, in finale è stato prezioso con 15 punti. Attenzione poi all’altro freshman Terrence Jennings, in grado di mettere a segno quasi due stoppate di media in 12 minuti di impiego a gara.

Esperienza, difesa, tiro da fuori, sregolatezza. Il parco esterni dei Cardinals è un mix di questi aspetti: Andre McGee è il senior di 5-10. Solido, regolare, ha il compito di dare il via all’impostazione dell’attacco. Jerry Smith ha chiuso la stagione con il 40% da 3, Preston Knowles con il 44.

Edgar Sosa sta imparando, rispetto agli anni passati, a non andare troppo fuori dalle righe, un aspetto che gli è costato il posto in quintetto. Ama penetrare, soprattutto andando a destra, per andare fino in fondo o rilasciare un runner da centro area. Uomini magari meno appariscenti dei tre citati precedentemente, ma fondamentali nella difesa pressing di Pitino.

Passione arancio

Syracuse ha conquistato tutti, e non poteva essere diversamente. Parliamo di una squadra che in quattro giorni ha giocato quasi 200 minuti, di cui 115 in due giorni consecutivi. Dopo aver asfaltato Seton Hall, i ragazzi di Jim Boeheim (sempre giù il cappello…) si sono imposti su Connecticut in una gara terminata al sesto supplementare, di cui leggerete più giù.

Poi è stato il turno di West Virginia, e questa volta è stato sufficiente un solo overtime. Infine, hanno retto per buona parte del match contro Louisville, per poi cedere nel secondo tempo, quando probabilmente la stanchezza ha iniziato a farsi sentire, le gambe a pesare, i muscoli a indolenzirsi, la lucidità  a mancare.

Di Flynn ne parleremo tra poco, il suo compagno di reparto è quel bel caratterino di Eric Devendorf. Redshirt lo scorso anno, in questa stagione ha messo a segno 15.9 punti di media con il 39% da 3. Nelle quattro gare del torneo solo in un’occasione si è tenuto sotto quota 20 (19 contro Seton Hall), chiudendo con 15/29 totale da 3.

Potevano essere 16/30 se il suo tiro allo scadere dei regolamentari contro UConn fosse stato considerato come effettuato in tempo, ma non è stato così. Si è rifatto il giorno dopo contro West Virginia, segnando da centrocampo allo scadere del primo tempo. Ma Devendorf non è solo un clamoroso tiratore dall’arco. Attacca l’uomo, sa usare entrambe le mani, e quando arriva in fondo scarica per la schiacciata di Onuaku o l’appoggio di Harris. Non ha un carattere facile, dicevamo, e non esita a salutare le sue triple con qualche parola poco cortese rivolta al marcatore non in grado di fermarlo.

Le due ali sono Paul Harris e Rick Jackson. Harris in particolare è un giocatore interessante. Nonostante l’altezza non sia delle migliori (6-4), il suo gioco avviene spesso nei pressi del canestro, battendo l’uomo dal palleggio o navigando lungo la linea di fondo in attesa di uno scarico o della correzione di un tiro sbagliato dai compagni.

E' infatti un rimbalzista clamoroso per l’altezza (7.9 in stagione), come dimostrano le 22 carambole prese – sempre col beneficio dell’alto minutaggio – contro la tosta frontline di UConn. Il pivot, infine, è Arinze Onuaku, anche lui junior dopo aver saltato del tutto la stagione 2006/2007. Un armadio a due ante, buon rimbalzista, offensivamente limitato anche se il semigancio è affidabile.

Dalla panchina l’uomo più prezioso è Andy Rautins, che essenzialmente passa il suo tempo a tirare da fuori (37% in stagione, 15/38 nel Torneo). Rautins è stato decisivo nel match contro Connecticut, con 20 punti frutto di un 6/12 da 3 e alcune bombe fondamentali per gli Orange, ma è venuto a mancare nella finale, quando si è fermato a 2/10.

Nelle ultime gare ha avuto un minutaggio importante il lungo Kristof Ongenaet, belga, ottimo rimbalzista offensivo e inaspettato passatore per l’altezza (3.5 assist di media nel torneo, 7 nel match contro Seton Hall). Venticinque minuti di concretezza per lui contro i Cardinals (9+6+4) nonostante una violentissima caduta sulla schiena dopo una schiacciata con fallo subito che aveva fatto mettere le mani nei capelli a compagni e avversari, Earl Clark in primis.

L’MVP

Mi ricorda molto Chris Paul. Parole di Terrence Williams, un paragone che pesa.
Era dal 1996, ossia da Victor Page di Georgetown, che il premio non andava a un giocatore di una squadra che non aveva vinto il torneo. Il riconoscimento a Jonny Flynn non può che trovarci d’accordo. Il sophomore di Syracuse ha tra l’altro battuto il record di minuti giocati nella storia del Torneo.

Facile, quando ne giochi 67 in una partita che ne dura 70. Il giorno dopo, Flynn ha giocato tutti e 45 i minuti nella vittoria (sempre al supplementare) contro West Virginia. Nell’ultima gara il piccolo play è mancato un po’ in fase realizzativa (solo 11 punti), ma fino a quel momento il suo torneo era stato perfetto, con 22 punti e 10 assist di media e 34+11 (con 7 perse e 3 recuperi) contro Connecticut. Cifre gonfiate dal minutaggio, certo, ma Flynn era stato decisivo con canestri importanti e con il 16/16 ai liberi.

Piccolo e rapido, bravo a trovare l’uomo smarcato, la point guard è uno dei prospetti più interessanti della nazione. Dà  il meglio di sé nelle situazioni in campo aperto, quando può attaccare l’uomo battendolo dal primo passo per poi arrivare in fondo o scaricare al compagno libero, oppure giocando un pick and roll. “Scambierei il trofeo (di MVP, ndr) con la vittoria del Torneo della Big East ogni giorno. I premi di squadra sono di gran lunga migliori”, è stato il commento dell’MVP.

Le semifinaliste

Villanova è sopravvissuta alla gara contro Marquette grazie al layup in solitaria di Dwayne Anderson. Contro Louisville è stata ancora più faticosa e i Wildcats hanno pagato le pessime percentuali al tiro. Villanova resta comunque una squadra ostica da affrontare al Torneo NCAA, l’importante è ritrovare il tiro.

Contro i Cardinals Scottie Reynolds, ottimo invece, contro Marquette, ha tirato con 1/6. Il solitamente affidabile Dante Cunningham ha chiuso il torneo con 8/21. Peggio di lui ha fatto l’altra ala in quintetto, il senior Shane Clark che nelle due gare giocate ha segnato un solo canestro dal campo a fronte di 12 tentativi.

West Virginia ha giocato un ottimo torneo. Sbarazzatasi di Notre Dame senza troppe difficoltà  con un primo tempo in cui aveva anche doppiato i Fighting Irish, al turno successivo è scattato il clamoroso upset contro Pittsburgh, lasciando le Panthers per la prima volta in stagione senza canestri da 3. Difesa aggressiva dei Mountaineers anche nella sconfitta all’overtime contro Syracuse, con gli Orange capaci di eliminare una squadra capace in stagione di non far mai arrivare gli avversari a 80 punti.

Nell’ultima gara è mancato un po’ Alex Ruoff, guardia senior con 16 punti di media in stagione e il 37% dal campo, che nelle due partite precedenti aveva chiuso con 21.5 punti con quasi il 50% al tiro. Solo 9 punti e 3/9 per lui contro gli Orange.

Costanti invece le prove di Da’Sean Butler, autore di 20 punti contro Notre Dame, 16 contro Pittsburgh e 21 contro Syracuse, e del freshman Devin Ebanks, che ha saputo elevare le sue prestazioni nel momento del bisogno. 11 rimbalzi e 5 assist contro Notre Dame, high in carriera (20) contro Pittsburgh, battuto il giorno successivo, quando con Syracuse ha chiuso con 22 punti, 7/10 al tiro, 6 rimbalzi, 3 assist e 3 recuperi. Ma soprattutto 8/8 ai liberi, compresi i due decisivi per andare al supplementare. Può venire fuori una bella ala, anche se in ottica NBA rischia di essere un tweener.

La maratona di New York

No, non parliamo dei 42km più famosi del mondo, ma della partita più incredibile che si sia vista da anni a questa parte. Il destino a volte è strano. Basta una decisione presa in un determinato modo per entrare nella storia. La storia del gioco, nel nostro caso.

La decisione è quella degli arbitri di Syracuse-Connecticut, che – dopo aver visto e rivisto il filmato – hanno deciso che il tiro da 3 di Eric Devendorf non era da considerarsi valido, e che quindi si sarebbe andato all’overtime. Un tiro assurdo, venuto dopo una rimessa a tutto campo deviata da un avversario. Altri cinque minuti di gioco, quindi. Cinque? Seh, magari.

Sei supplementari, la più lunga partita di sempre del torneo della Big East, con le sue tre ore e 46 minuti, a un supplementare dal record di Cincinnati-Bradley del 1981. E’ successo di tutto nella notte di giovedì, dal rimbalzo offensivo del più piccolo in campo, Kemba Walker, che portava il punteggio in parità  prima del tiro di Devendorf, agli errori sottocanestro di Paul Harris (stoico a rimbalzo contro la frontline di UConn) che hanno prolungato l’esaltazione o l’agonia degli spettatori (ce li immaginiamo a telefono: “Cara, altri cinque minuti e torno…”), al 6/12 da 3 di Andy Rautins, compresa la tripla della parità  alla fine del terzo overtime. One for the ages.

Cadono le big

Toh, e chi lo avrebbe detto! DeJuan Blair ha problemi di falli e Pittsburgh perde! Lungi dal voler levare meriti a West Virginia, ma non è la prima volta che accade, e nelle altre occasioni (Louisville, Villanova, Providence) le Panthers avevano sempre perso. Non è bastato il contributo di Sam Young (15+5) per passare il turno.

Connecticut è alla quarta eliminazione consecutiva al primo turno del Torneo di conference, tre delle quali avvenute per mano di Syracuse. I rimpianti sono tanti, dal 57% ai liberi alle 27 palle perse, al fatto che UConn fosse sempre stata avanti nei supplementari fino a quello decisivo, ma quando vieni sconfitto al sesto supplementare è il caso di guardare avanti. E il futuro è il Torneo NCAA in cui gli Huskies hanno tutte le intenzioni di essere protagonisti.

Best of the rest

Dar Tucker (F, DePaul, sophomore): ala piccola nel corpo di una guardia, Tucker è un giocatore di puro atletismo. Primo passo rapidissimo, le molle che ha nelle gambe gli permettono di prendere il rimbalzo e correre in transizione verso il canestro avversario: è così che ha messo in difficoltà  la difesa di Cincinnati nella prima gara, quando ha segnato tutti i suoi 17 punti nella ripresa. Contro Providence 30 punti, ed era sembrato anche in quelle giornate in cui la mette da fuori (ha iniziato con 4/5, poi ha chiuso con 4/11) ma si è fermato – come il resto della squadra – nel momento decisivo.

Lazar Hayward (F, Marquette, junior): perso James, è lui il leader di Marquette. Certo, i punti a referto li mettono McNeal e Matthews, ma Hayward fa un po’ di tutto e ha dimostrato di poter colpire tranquillamente da 3 anche da ben oltre la linea di tiro. Contro St. John’s 17+9 con 8/15 dal campo, contro Marquette è stato il migliore dei suoi con 13+11 e 3/6 dall’arco, comprese alcune triple importanti. Può difendere dentro e fuori. Attenzione a lui…

Jeremy Hazell (G, Seton Hall, sophomore): il leader dei Pirates ha cercato di trascinare la sua ciurma (scontatissima, ma perdonatecela). L’esterno si è confermato un realizzatore di primissimo livello, con 25 punti di media nelle due gare giocate. Il passo successivo è aggiungere qualche opzione offensiva per rendersi ancora più pericoloso, visto che è un po’ troppo innamorato del suo tiro da 3, che pure scocca con efficacia e tranquillità  da distanza NBA.

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