Sam Young, miglior marcatore di Pittsburgh squadra in testa alla classifica RPI
Come già detto in un altro articolo questa frase – The RPI is dead – scritta in piccolo, si trova nel sito kenpom.com che per gli appassionati di statistiche di squadra preannuncia il dramma che viene poi spiegato con un breve comunicato nel quale l’RPI viene definito un sistema “so-so” per la valutazione delle squadre e “less useful” per predire le loro future performance.
Per chiarire ai meno avvezzi di cosa stiamo parlando ricordo che il Rating Percentage Index è un sistema di valutazione che per ogni squadra pondera la propria percentuale di vittorie (25% WP – con un diverso peso se ottenute in casa, in trasferta o in campo neutro), la percentuale di vittorie degli avversari (50% OWP – difficoltà del proprio calendario) e la percentuale di vittorie degli avversari degli avversari (25% OOWP – difficoltà del calendario dei propri avversari).
La valutazione “so-so” del sistema può essere condivisa se tradotta con un “migliorabile” in quanto le squadre di medio livello delle Conference migliori sono avvantaggiate rispetto alle squadre migliori di Conference mediocri dall’OOWP delle avversarie.
Tanto per fare un esempio lo scorso anno Georgia Tech con un record 15-17 (7-9 di Conference) è stata 71^ nella classifica RPI ma non è stata invitata né al Torneo NCAA né al NIT perché grossa influenza sul RPI l’ha avuto il suo OOWP tant’è che è stata 12^ nella classifica SOS (Strenght of Schedule).
Diversamente una squadra come Gonzaga ha il problema di partire con una SOS bassa poiché gioca nella WCC (16^ nella classifica RPI delle Conference lo scorso anno) dove affronta squadre mediamente scarse che deve alzare pianificando un calendario molto duro che lo scorso anno ha previsto 11 partite su 16 di non-Conference contro squadre tra le top 100 tra cui Memphis, Tennessee, Connecticut, Oklahoma e Washington State.
Evidenziando questo difetto voglio però anche sottolineare il buon risultato che l’RPI da in termini di valutazione delle squadre, certificato dal fatto che la NCAA lo ha imposto come parametro che il Committee deve considerare nel momento in cui attribuisce gli “at-large-bid” per il Torneo NCAA.
Sul fatto che l’RPI sia poi poco utile nel predire le future performance delle squadre, bisogna dire che l’obiettivo di chi ha creato questo parametro era quello di attribuire un valore assoluto ad ogni squadra e non di aiutare gli scommettitori!
Certamente in questa ottica è più utile il rating “Predictor” inventato da Jeff Sagarin che fornisce anche una tabella da utilizzare per prevedere i risultati delle partite future; lo stesso Sagarin ha inventato anche un altro rating chiamato “Elo chess” che fornisce una classifica concettualmente uguale a quella del RPI perché per ogni squadra calcola un valore.
Degli algoritmi che permettono a Sagarin di calcolare i rating non si sa molto perché sono custodite gelosamente e utilizzate solo per pubblicare le classifiche sul quotidiano USA TODAY.
Quello che si sa è che il Predictor oltre a considerare la vittoria la pondera in base al punteggio ed al margine finale purchè rimanga entro un certo valore poiché quando la partita è in pugno i giocatori e gli allenatori hanno uno spirito cavalleresco che tende a non infierire sugli avversari.
Altri rating sono il “Team Rankings” detto anche “Greenfield” (teamrankings.com), il “Dolphin” (dolphinsim.com/ratings), il Kislanko “ISOV” (basketball.kislanko.com/) ed altri ancora, tutti comunque costruiti con la stessa filosofia di base dell’RPI che valuta le vittorie ma anche gli avversari.
La differenza tra di loro sta principalmente nel pesare o non pesare il margine di punti delle vittorie ma ci sono anche altri parametri come per esempio l’utilizzo di un mix di funzioni matematiche e statistiche applicate a dati storici (Team Rankings), il raffronto tra i punti segnati in una partita e quelli che si considera avrebbe dovuto statisticamente segnare contro quella squadra (Dolphin) oppure l’utilizzo dei “punti concessi agli avversari” e non della “percentuale di vittorie degli avversari” nel determinare la SOS (ISOV).
Confrontando le posizioni nei vari ranking nella pausa natalizia, tralasciando le apparizioni UConn, Gonzaga e Oklahoma, i primi posti spettano a Pittsburgh e North Carolina. Fin qui nulla di assurdo se non capitasse che UNC ha 13 primi posti ma nella classifica RPI è solo al 10° posto ed ha altre 6 classifiche in cui è oltre la 5^ posizione mentre Pitt ha “solo” 5 primi posti e solo una volta è oltre la 5^ posizione.
Tutto questo serve a far capire come sia impossibile inventare un algoritmo che possa calcolare il valore assoluto di una squadra, che quelli finora creati siano imperfetti, discutibili e diano a volte valori molto diversi tra loro.
La realtà però è un'altra: la squadra che vince è quella che in campo fa un punto in più dell’avversario e non è necessariamente la più forte perché nello sport la forza è un concetto da bar o da giornali (calcio docet!).
L’RPI è morto? Viva l’RPI!