J.P.Prince mostra a tutti chi è la nuova numero uno del ranking.
Doveva essere la sfida dell'anno se non altro perché i giornali americani ne avevano parlato fino alla nausea, congelando per un momento il campionato e trattando l'evento in tutto e per tutto come una sorta di finale Ncaa anticipata; doveva esserlo perché sabato sera, al FedEx Forum di Memphis, non c'era solamente l'opportunità di vedere in campo le due migliori squadre della presente stagione collegiale una contro l'altra, ma c'era in ballo l'opportunità di fare la storia: storia per gli imbattuti Tigers perché c'era una striscia casalinga da tenere in piedi a tutti i costi (47 vittorie in fila), con l'orizzonte della realizzazione di una più che rara stagione perfetta, ma storia pure per i Volunteers, la quale squadra di basket mai aveva goduto, nella sua storia, del privilegio di guardare tutti dall'alto del ranking nazionale. Come non bastasse, non si trattava di un semplice scontro tra la numero uno e la numero due della classifica, di mezzo c'era anche una discretamente sentita rivalità interstatale, giusto per aggiungere un pizzichino di pepe al già succulento piatto.
L'evento è riuscito a muovere molteplici interessi, non solo quelli dei media, attirando lo scontato il pienone di studenti presenti e passati di ambedue le fazioni, vip con chiari legami con le squadre in campo (Peyton Manning, ex quarterback di Tennessee, Penny Hardaway, ex guardia dei Tigers, Priscilla Presley, "madrina" dell'evento), mentre per chi per svariati motivi, era stato costretto a seguire la gara dalla poltrona di casa sua, c'era la divertente voce del colorito Dick Vitale, reduce da un'operazione alle corde vocali, ma non per questo meno entusiasta e vulcanico del solito.
Ebbene, sfida dell'anno potrebbe essere stata, perché sarà difficile, andando per un attimo con la mente alla futura Final Four di San Antonio, prevedere la ripetizione di uno spettacolo del genere, una partita di tensione ed atmosfera uniche, raro esempio di gara di stagione regolare dove l'esito di ogni possesso contava sul serio, situazioni di punto a punto ed incertezza persistente, accompagnate dalla sicurezza che dati i valori messi sul parquet e considerata la posta in palio (come poi è effettivamente stato) nessuno dei due pesi massimi sarebbe andato giù troppo facilmente.
Sin dalla palla a due l'azione era stata frenetica, questo perché i ragazzi di Memphis vedevano il canestro come una vasca da bagno da oltre l'arco centrando le prime tre conclusioni consecutivamente (ma andando a 0-7 nella ripresa), costringendo gli ospiti ad affrettare le operazioni al fine di non trovarsi troppo staccati nel punteggio; tuttavia man mano che le maglie difensive si facevano più strette e le percentuali calavano progressivamente, con ambedue le squadre sotto il 40% dal campo e ben distanti dalle abituali medie punti alla fine dei conti, le squadre si erano impedite vicendevolmente di prendere il largo, anche se Memphis aveva dato l'idea di poter provare a piazzare il colpo decisivo, salvo concludere il primo tempo sopra di un solo punto. Se da una parte l'assenza di produttività del miglior realizzatore dei Vols, Chris Lofton, fermo a 2/11 dal campo e privo di canestri nei primi venti minuti di partita, (anche a causa di problemi di falli), aveva pregiudicato la prima parte di gara degli arancioni, dall'altra l'equilibrio veniva sostanzialmente mantenuto dai numerosi errori ai liberi da parte dei padroni di casa, fermi ad un poco accettabile 8-17 in tale reparto statistico.
Nonostante la crisi di Lofton, 7 punti e due liberi molto pesanti a referto, l'ondata di triple dei Tigers era stata in qualche modo arginata e quindi rimontata, merito del poliedrico Wayne Chism, a suo agio sia nel pitturato che da oltre l'arco (3/5, con un canestro di"tabellone, e tanti rimbalzi importanti) e dell'ex Usc Tyler Smith, miglior marcatore ospite con 16 punti, (6/11 complessivo dal campo), nonchè di un importante canestro con libero aggiuntivo di un altro Smith, Ramar, buono per concludere il momento più difficoltoso dei suoi, contribuendo ad un più leggero rientro negli spogliatoi dopo 20 intensi minuti di rincorsa in un ambiente a dir poco ostile.
Alcune indicazioni erano già chiare, e la crescente preoccupazione di John Calipari ne era diretta testimonianza: per tutta la ripresa il coach dei Tigers aveva chiamato ripetutamente a sé i suoi ragazzi per discutere di tutto ciò che non gli piaceva, questo mentre cresceva il divario tra le squadre in fatto di rimbalzi conquistati (46-31 a favore di Tennessee) e Memphis cominciava a subire troppi canestri all'interno dell'area verniciata, frutto delle numerose seconde opportunità concesse sotto le proprie plance.
Il prepotente emergere di J.P. Prince, letteralmente esploso in una ripresa che lo vedeva segnare tutti e 13 i punti messi a referto (ed anche qui, non a caso, qualcosa veniva raccolto da rimbalzi offensivi) regalava ai Vols il massimo vantaggio dell'intera partita (53-47), al quale era seguito un mini-show personale di Derrick Rose, unica opzione offensiva di continuità con il vizio di prendere fuoco nei momenti importanti, che aveva segnato 8 dei 23 punti finali nel controparziale buono per l'ennesimo +1 di Memphis, successivamente esteso dal jumper di Chris Douglas-Roberts (14 punti) a poco più di due minuti dal termine delle ostilità .
Nonostante la situazione paresse volgere a loro vantaggio, i Tigers si rovinavano con le proprie mani fallendo per tre volte il canestro della sicurezza (o presunta tale) di seguito ad un paio di rimbalzi offensivi, mettendo Tyler Smith in condizione di prendersi il giro e tiro del definitivo sorpasso a trenta secondi dal termine e gestendo molto male l'azione decisiva, terminata con un pessimo tiro in corsa di Antonio Anderson e con la conseguente gestione dei tiri liberi derivanti dai falli sistematici che Calipari si trovava così costretto a chiamare fino al 66-62 finale, quando invece con l'ultimo timeout a disposizione si sarebbe potuto trovare uno schema maggiormente idoneo alla risoluzione di una situazione così delicata, magari affidando il tiro ad un giocatore più idoneo. Chiaro, senza per questo dimenticarsi del clamoroso errore della coppia Dozier/Dorsey, responsabile di un rimbalzo tra compagni "litigato" e trasformatosi, sul +1 Tigers, in una clamorosa infrazione di passi.
Anche se la scottatura presa dai ragazzi di Memphis (scesa al numero 3), in precedenza velenosamente criticati perché capaci di essere sì imbattuti, ma pur sempre appartenendo ad una conference poco competitiva, ha avuto i suoi certi effetti (molti sono rimasti per diversi minuti nascosti nello spogliatoio, immobili), se non altro la sconfitta toglie parte delle eccessive sicurezze di un gruppo che si sentiva troppo invincibile, fattore che sarebbe pesato sempre più nel proseguio del campionato e che magari avrebbe regalato sorprese più amare di questa in momenti più importanti di questo. Ora come ora, per una squadra di questa qualità , il primo piazzamento del ranking non è perduto per sempre.
Tennessee si prende invece il suo momento di notorietà arrivando dove mai avevano osato le sue precedenti incarnazioni, prendendosi una colossale rivincita contro l'esuberanza degli avversari nel tunnel d'ingresso al campo (i Tigers avevano urlato contro l'huddle degli ospiti), una rivincita che ha del personale per J.P. Prince, un tempo candidato al reclutamento proprio di coach Calipari (che in settimana si era riferito involontariamente a lui chiamandolo P.J.) ma quindi scartato a favore di Douglas-Roberts, nonché quella di Bruce Pearl, dal 2005 alla guida tecnica dei Volunteers e privo della classica giacca color arancio, che aveva detto ai suoi ragazzi prima della partita di non essere sicuro che questa squadra valesse il primo posto del ranking nazionale, ma che si trovava comunque a 40 minuti dall'esserlo.
Mai, nella sua carriera, era stato così profetico.