Michael Beasley: grande talento, testa disabitata?
Certo che Kevin Durant è proprio sfortunato: prima incrocia l'annata di Greg Oden che gli porta via la prima scelta assoluta certamente sua in molti altri draft vicini e lontani; poi finisce a Seattle nella franchigia più delicata dell'attuale NBA per mille motivi; ora, dopo aver riscritto record ed aver ricevuto onorificenze che mai erano spettate ad un freshman, il suo ingresso nei libri di storia NCAA viene già insidiato da un'altra matricola dominante, in tutto e per tutto “bestiale”: Michael Beasley, nato nella capitale ma cresciuto nel Maryland.
Il curriculum scolastico al liceo di Michael stimolerebbe la fantasia dei più grandi narratori e biografi: sei scuole differenti distribuite in cinque stati, allontanamenti ed espulsioni assortite viaggiando su e giù per la costa Est, districandosi tra culture e metodi di insegnamento agli antipodi. Un lento calvario tuttavia necessario per arrivare finalmente ad una sola stazione (NCAA) di distanza dal suo liberatorio approdo naturale, la National Basketball Association.
Tra bambinate e monellerie, il suo repertorio completo e variegato farebbe invidia persino ad Alvaro Vitali alias Pierino: lanci di gomme e matite agli insegnanti, organizzazione di nascondini notturni nei luoghi più pericolosi del camp, fughe dal dormitorio oltre il coprifuoco alla Bobo Vieri, graffiti di ogni genere lasciati con potenti bombolette spray su qualsiasi superficie permettesse la visione, sfilate in pigiama tra mensa ed aule, prese in giro allo “sfigato” e malcapitato coach, balletti con striptease e distrazioni di tutti i tipi durante gli allenamenti.
Ogni volta l'epilogo era lo stesso: “Pensavo fosse divertente”, si giustificava lui. “Sei fuori dalla scuola!”, rispondeva l'esasperato direttore scolastico di turno, aggiungendo rassegnato: “Eppure è un bravo ragazzo…”
L'ultima fermata che gli ha permesso di ottenere il diploma è stata Notre Dame Preparatory School, a Fitchburg, nel Massachusetts. Nonostante il nome altisonante, non mi permetterei di considerarlo uno dei più rinomati ed ospitali licei privati della costa atlantica degli USA, magari dedicato all'alta società irlandese di Boston e dintorni.
Anzi: quantità di studenti ai minimi termini in buona parte reclutati fuori dallo stato per motivi cestistici ed un'esigua comunità di sudcoreani ad aggiungere un pizzico di folclore alla vicenda, ma soprattutto tanto degrado ad ogni livello, dai dormitori in pessime condizioni fino alla porta di entrata disastrata e conseguente ingresso libero 24 ore su 24 per chiunque.
Il campo della scuola, tanto per rendere l'idea, ricordava quello delle minors italiane sul quale devono coesistere le linee di gioco di tre o quattro sport, non necessariamente distinguibili le une dalle altre anche perchè spesso scheggiate e non continue o addirittura dello stesso colore; come se non bastasse il menù prevedeva dei tabelloni con le estremità arrotondate, tipo quelli interlocutori da appendere sopra il garage che si regalano ai figli quando si vuole spendere poco e non si è ancora sicuri del futuro agonistico dell'erede.
Tra le altre perle, infine, due sere a settimane la palestra si trasformava in balera per ospitare le imperdibili e memorabili serate del bingo di Fitchburg, durante le quali inossidabili avventori si sfidavano a colpi di tabelle vincenti. Non contenti, per evitare spiacevoli scivoloni gli anziani “giocatori” hanno ottenuto che non si passasse più la cera sulla superficie del campo, rimasta quindi la stessa da ormai più di dieci anni.
In questo contesto grottesco, “fonti vicine al pargolo” sostengono che sia finalmente diventato più maturo. Oddio, l'indizio principale a supporto di questo ottimismo non entrerà nei tribunali americani come attenuante o prova di buona fede: per il suo diciottesimo compleanno, infatti, Michael si è regalato altri cinque nuovi tatuaggi (e fin qui tutto come vecchia sceneggiatura), assicurandosi tuttavia (ecco la grande novità ) che nessuno di essi fosse in parti del corpo visibili in uniforme fuori dal campo. Così sia.
Poichè dal 2006 (grazie Stern) i rampolli statunitensi devono rendere conto ad almeno un anno di NCAA prima di potersi dichiarare eleggibili per il draft NBA, era impensabile che tutto filasse liscio quando ad incrociarsi sono i destini di due soggetti come Michael e Bob Huggins, maggiore interprete di quella minoritaria filosofia di college secondari, riassumibile in “meglio giocatori professionisti che laureati”.
Beasley ha scelto Kansas State quasi unicamente per la presenza di coach Huggins, re incontrastato (e controverso!) del reclutamento di giocatori ed atleti strepitosi ma con un background scolastico e fuori dal campo quanto mai complesso. Per i soli ragguagli della sua esperienza a Cincinnati: Ruben Patterson, Forston, Kenyon Martin, DerMarr Johnson, Van Exel, Maxiell.
Ma cosa combina il coach alla fine della scorsa stagione ed a reclutamento ormai ampiamente ultimato? Abbandona i Wildcats e Michael al suo destino per coronare l'intimo sogno di tutti gli allenatori di basket college, ovvero andare ad allenare la propria alma mater che li ha visti giocare e laurearsi, in questo caso West Virginia.
Apriti cielo.
Le regole – non chiarissime – avrebbero permesso – con deroghe varie – ad un così detto “incoming freshman” come Beasley di cambiare ateneo senza stare un anno fermo (diversamente dal freshman che ha già giocato una partita di college), ma un ripensamento d'emergenza in primavera non rientra certo tra le soluzioni più comode per opportunità e più sicure sul piano giuridico, specie quando sei tra i ragazzi più problematici del paese.
Dopo settimane turbolenti con persino voci di un suo approdo in Europa durante l'eventuale anno sabbatico a stelle e strisce, Beasley ha infine deciso di rimanere a Kansas State (decisiva l'assunzione di uno dei suoi coach al liceo, tale Dalonte Hill) per formare un grande duo con l'altra precedente recluta di Huggins, Bill Walker.
L'impatto con il basket giocato è ora francamente impressionante nonostante l'assenza del suo tutore designato in panchina: dopo 6 partite, 27 punti e 15 rimbalzi, non come career high, ma di media a partita! Praticamente una macchina da doppia doppia, non senza l'aperitivo della scorsa primavera quando fu nominato MVP del McDonalds All American (All Star Game dei liceali), sbaragliando la concorrenza dei vari Rose, OJ Mayo, Love, Gordon e Singler.
Agrodolce invece l'esperienza estiva a Novi Sad nel mondiale under 19, con numeri importanti sul piano statistico ma deludente prova nella finale persa contro i padroni di casa serbi, in cui sono emersi i soliti limiti (comprensione del gioco, letture, adattamento a situazioni nuove) che questi virgulti incontrano con le spietate regole FIBA.
A Novembre 2007 e prima che la sua fantasia nel cacciarsi nei guai possa ricomparire, il giocatore resta tra i più autorevoli candidati alla scelta numero uno del prossimo draft.
In queste prime e poco credibili apparizioni di NCAA contro squadre ed avversari di secondo piano, siamo alla rivisitazione di Gulliver tra i lillipuziani, perchè lascia all'osservatore un senso di onnipotenza inquietante oltre a rendere il gioco di una banalità sorprendente: riceve palla, si gira o parte in palleggio, va su con la sinistra, segna.
Per uno scout diventa persino difficile inquadrarlo in modo completo sul piano tecnico, soffermandosi invece su quel mix di elegante atletismo e fluida potenza in un corpo (205 centimetri per 110 chilogrammi) che non appartiene normalmente ad un teenager e che infatti ancora deve imparare a controllare nel traffico in velocità .
Ala nel senso più esteso del termine, perchè non è ancora scontato capire se si tratti di una small o di una power forward, la propensione ai rimbalzi – con senso della posizione ed istinti che non si allenano – farebbe propendere per questa seconda ipotesi.
L'esecuzione mancina al tiro non è un tributo ai manuali di perfezione stilistica, con braccio che tende a distendersi un pò troppo in orizzontale invece che in verticale, ma l'efficacia, la rapidità e la morbidezza del rilascio sono fuori discussione. Per i pignoli, l'utilizzo della mano destra è piuttosto parsimonioso e marginale, ma non è che la cosa incida e lo penalizzi molto nelle sue attuali evoluzioni.
Va ghiotto di ricezioni dal mid-range game, per poi muoversi felino in avvicinamento sfruttando potenza, agilità e tocco squisito anche in precarie condizioni di equilibrio. Per capirci, è giocatore molto più interno e corazzato di quel Durant a cui viene già paragonato, ma come Kevin anche Michael è in assoluto più perimetrale che giocatore d'area ed ama molto di più fronteggiare canestro piuttosto che voltargli le spalle.
Oltre alla seconda scelta assoluta di Seattle dello scorso draft, paragoni con diritto di cittadinanza sono Carmelo Anthony (e la stella dei Nuggets ai tempi di Syracuse era probabilmente meno forte dell'attuale Beasley!), Zach Randolph (perfetta comparazione per l'extra basket, meno dal lato tecnico) ed Al Harrington (per chi vuole restare con i piedi per terra).
Sempre impossibile capire cosa ci possa essere all'orizzonte di uno dei soggetti più “uncoachable” ed immaturi di questa nuova nidiata di freshman.
La natura umana ha il potere di trasformarsi e gli eventi della vita contribuiscono ai cambiamenti più sorprendenti, ma la carriera NBA di Beasley rischia di essere sempre accompagnata da questa sua indole pericolosa e problematica che come primo effetto collaterale difficilmente gli consentirà di entrare nelle grazie di David Stern e degli uffici di New York.
Ma se solo riuscisse a mantenersi nei limiti di qualche bischerata da spogliatoio, senza sporcare la sua ancora intatta fedina penale, di fronte ad un talento del genere anche i puristi del comportamento fuori dal campo potrebbero lasciarsi andare per una volta ad un bel “ma chi se ne frega, forza Michael!”.