Derrick Rose, un giocatore da seguire con grande attenzione…
Per chi ha fatto in tempo a vivere da protagonista gli anni '80 o almeno si è avvicinato al mondo NBA prima del 2000, è sempre un po' destabilizzante apprendere che il miglior playmaker puro della prossima generazione è al tempo stesso uno dei più favolosi schiacciatori e dei più clamorosi atleti che si affaccerà nell'estate 2008 tra i professionisti.
Insomma, non esattamente Mark Price e John Stockton, ma volendo anche i più giovani possono stare ben alla larga dal simbolo contemporaneo più illustre della categoria, Steve Nash.
Ennesimo prodotto dei delicatissimi sobborghi di Chicago (Englewood, forse uno dei peggiori) che stanno ormai diventando il serbatoio ideale per aspirare a diventare un campione NBA (ma non certo l'ambiente migliore per crescere e vivere!), nella storia di Derrick Rose si materializzano come realtà tutti quei luoghi comuni che spesso accompagnano la gioventù di questi ragazzi: famiglia complessa, fratelli in eccesso, padre non pervenuto, povertà , nonna amorevole che si sostituisce ai genitori e tira su il pargolo allontanandolo dalla strada più facile da intraprendere in quel contesto, il crimine.
Compito della nonna agevolato dall'arma segreta che ti aspetti, ovvero il miele ed i dolci che sono costati al goloso Derrick un soprannome non certo da cattivone di turno della generazione che l'ha preceduto: Pooh. Sì, proprio in onore del – fin troppo, secondo il parere personale di chi scrive – tenero e mieloso Winnie che potrebbe aver accompagnato – e parzialmente compromesso – la crescita di molti alla lettura, oltre a quella del sottoscritto.
Altre fonti sostengono invece che il nickname derivi dalla particolare carnagione meticcia del baby-prodigio assimilabile a quella dell'orsacchiotto di pezza, ma c'è infine chi trova l'origine dell'accostamento nel suo carattere mite e quieto, ai limiti della timidezza. Immancabile poi il tatuaggio sul bicipite sinistro, ma anche qui niente scheletri o mostri assortiti: The Great Poohdini, un mago con bacchetta magica.
Diversamente dal personaggio del cartone animato, tuttavia, Derrick non è ancora stato avvistato sotto una quercia a comporre poesie, anzi il suo rapporto con la scuola in quel di Simeon Career Academy non è certo stato dei più idilliaci, come spesso prevede la sceneggiatura. Per capirci, senza la regola di recente introduzione Sterniana che obbliga tutti coloro che aspirano all'approdo tra i pro ad almeno un anno di college, Rose sarebbe già oggi in una delle 30 franchigie NBA senza aver mai messo piede su un campo NCAA.
Ruolo essenziale per proteggere Derrick passo dopo passo nell'insidiosa crescita come uomo e nella grande speranza come giocatore, in un ideale passaggio di consegne con la nonna, è da assegnare ai tre fratelli maggiori (Reggie in primis) in autentica missione per offrire al fratellino predestinato il sistema di supporto ideale e per tenerlo alla larga dalle difficoltà , dalle brutte compagnie, dalle bocciature scolastiche e dai fallimenti che avevano vissuto loro in prima persona.
Protezione non senza effetti collaterali, perchè l'eccessiva e pedante vigilanza persino sull'identità di ogni singolo amico di Pooh non ha certo reso la sua adolescenza la più spensierata dell'intero panorama degli Stati Uniti d'America, contribuendo anzi ad accentuare la riservatezza del ragazzo.
Ma non solo, perchè tra le altre inevitabili controindicazioni che si attira chi già a 12 anni inizia a schiacciare ed a suscitare clamore nell'intera Chicago, c'è un certo e mal gestito nervosismo dei media nazionali e dell'Illinois che si vedevano regolarmente rifiutare dai Rose Brothers la richiesta di interviste al rampollo di famiglia, ridotte al minimo sindacale; come spiacevole conseguenza, il recalcitrante ed accentratore Reggie è stato spesso dipinto come una figura controversa e negativa per Derrick.
Nell'imprescindibile scelta dell'ateneo che avrà la fortuna di ammirare le gesta del fenomeno da Englewood, è poi entrato in scena fiondandosi puntuale come i venditori porta a porta di aspirapolvere quel genio del reclutamento di John Calipari, in grado di sconfiggere la concorrenza di Indiana ed Illinois con proposta senza fronzoli, diretta a soddisfare le uniche esigenze di Rose: “Cerchi un college che ti permetta al tempo stesso di rimanervi un solo anno e di provare l'assalto al titolo NCAA? Vieni da noi!”.
Da quel momento l'unica preoccupazione di Derrick è diventata convincere l'inseparabile fratellone a seguirlo in quel di Memphis. Poco importa se i Tigers giocano nella poco reclamizzata – per quanto in crescita come competitività – Conference USA; caso mai più significativo il fatto che le Tigri siano nella top 3 del ranking di inizio stagione e siano effettivamente tra le maggiori candidate all'affermazione in primavera, grazie alla presenza di giocatori di assoluto prestigio quali Anderson, Douglas-Roberts, Dozier e Dorsey, oltre ai comprimari di lusso Mack, Allen e soprattutto Kemp e Taggart.
Il giocatore che coach Calipari si trova così tra le mani è prima di ogni altra cosa un corpo ed un atleta NBA fatto e finito: veloce ma verticale, agile ma potente, fluido ma esplosivo, intenso ma leader; non mancano centimetri (siamo poco oltre il metro e novanta) e chili (attenta ai cento chilogrammi).
La padronanza nella schiacciata è ipnotica e sfavillante al tempo stesso, ma Rose abbina efficacia nella conclusione a rara eleganza nell'esecuzione anche in penetrazione alla caccia del pertugio nel traffico e dal palleggio, spesso sfruttando il suo assassino crossover o cambiando assetto in volo. Il feeling naturale per il gioco e la destrezza nell'effettuare salti ravvicinati da fermo lo portano a cifre importanti anche a rimbalzo ed alla vocazione per recuperi e stoppate, mentre per essere anche un convincente difensore sulla palla deve solo aggiungere voglia e concentrazione.
Sul discorso “play puro” mi scontro parzialmente con l'eccessivo entusiasmo che oltreoceano si ripone in lui, pur dovendo constatare un'inclinazione naturale per il coinvolgimento dei compagni, visioni creative dal palleggio, un fondamentale di passaggio extra lusso ed un altruismo sopra la media che lo rende venerato e stimatissimo nello spogliatoio.
Se in contropiede e ad alti ritmi i suoi istinti e le sue caratteristiche fisiche gli permettono di stazionare nelle più strette vicinanze dell'immarcabilità con capacità di spingere palla a tratti irreale, a difesa schierata ha fatto capolino già a questi livelli qualche difficoltà nelle letture ed affanni nelle selezioni di tiro dalla distanza, discreto ma non ancora specialità della casa. Pregi e difetti che lo inseriscono a metà strada tra Dwyane Wade ed il primo Jason Kidd – ma sicuramente più vicino a quest'ultimo – nel non facile tentativo di azzardare un paragone nel miglior scenario possibile.
Contribuirà all'esplosione di Derrick il rivoluzionario sistema offensivo di coach Calipari che, se non proprio predisposto appositamente per lui, rappresenta la realizzazione di tutti i suoi sogni tecnico-tattici e non a caso gli ha già permesso di ventelleggiare con piacere fin dalle primissime apparizioni stagionali.
Il Memphis Attack (o Dribble Drive Motion o Walberg Offense o AASAA Offense o Small Ball Revolution) altro non è che una forma raffinata di “penetra e scarica” sulla falsariga dei Suns di D'Antoni o dei Warriors da playoff di Don Nelson, con area libera per permettere alla point guard di penetrare ed eventualmente scaricare fuori per uno degli altri quattro giocatori schierati oltre il perimetro, dotati preferibilmente di duplice dimensione offensiva (tiro più penetrazione).
Madre natura prima, la nonna ed il miele poi, i fratelli e coach Calipari ora non potevano insomma lanciargli meglio la volata per il successo; lo sprint finale per contendere ad OJ Mayo e Michael Beasley la prima scelta assoluta del prossimo draft ed a Deron Williams e Chris Paul il titolo di migliore point guard del prossimo decennio spetta ora a Derrick, ma è francamente difficile non immaginarselo vincente a braccia alzate e non vedere “la vie en Rose”.