Texas, anno zero

La disperazione sul volto di Brandon Mouton, dopo la sconfitta contro Xavier

Sulla carta, Texas era una delle squadre più solide dell'intero lotto di partecipanti al torneo di quest'anno. Sebbene non avessero molto talento puro in squadra, i Longhorns potevano vantarsi a buon diritto di essere una squadra estremamente profonda, e con le credenziali giuste per arrivare, magari, alle Final Four, dove, si sa, nulla è scritto, e nulla può impedire ad una squadra ben organizzata e con molti uomini utilizzabili di compiere l'impresa.

Invece, il cammino degli uomini di coach Barnes si è interrotto alle sweet 16, raggiunte da Texas per il terzo anno di fila, andando a far compagnia a soltanto altre quattro compagini in questa speciale statistica. In uno stato che fino a poco tempo fa era, almeno a livello collegiale, football, football, e ancora football, questo è un risultato che vale ancora di più.
Un risultato che è arrivato, dobbiamo dirlo, dopo un'altra stagione clamorosa, conclusasi con 25 vittorie, ripetendo l'ottimo risultato dell'anno passato quando le vittorie furono invece 26. Sembra che Texas abbia iniziato a giocare a basket da cinque anni a questa parte. Prima, il nulla. Poi sono arrivati i primi successi, un leader (TJ Ford), e affermazioni sempre più roboanti, e che spinsero finalmente addetti ai lavori e a considerare Texas non più come un nome anonimo all'interno di quella lega di ferro chiamata Big12.
Ed è così che i seniors che hanno visto, nella sconfitta contro Xavier (79-71), l'ultima loro partita in casacca bianco-arancio, possono dire di aver concluso un quadriennio assolutamente strepitoso nella storia dell'ateneo, chiudendo un ciclo di quattro anni con 98 vittorie e 36 sconfitte, un risultato impensabile poco tempo fa, e chiaramente record all-time per i Longhorns.

Già , ma per i senior questa sconfitta brucia. E anche parecchio, come parecchio brucia anche a Barnes, espulso nel finale (a 3 secondi dal termine), dopo che l'arbitro, Ted Williams, di tecnici ne aveva elargiti ben due nell'arco di pochi secondi.
Una partita, dunque, che agli occhi di chi o sedeva sulla panchina dei Longhorns, o stava nell'arena o a casa davanti al televisore, doveva, probabilmente finire in modo diverso. A partire dal fallo sulla tripla di Boddicker, simbolo di un arbitraggio che ha destato più di qualche semplice dubbio, e che, a detta dei tifosi di Texas, li ha penalizzati eccessivamente (un indizio su tutti portato dalla stampa locale, il conto dei liberi 37 a 17 per i Musketeers).

D'altra parte, chi quella sera aveva addosso qualcosa di arancio, sapeva che se Texas avesse mai dovuto perdere una partita, l'avrebbe persa in quel modo. E quelle stesse persone che con l'amaro in bocca commentano così ad una partita persa, si consolano nell'ammettere che forse, con un pò di invidia, certo, il vero upset non l'ha messo a segno tanto Xavier, quanto piuttosto gli stessi Longhorns, ripetendosi ad un anno di distanza dalla loro migliore stagione di sempre, pur avendo perso il loro leader.

E c'è anche da dire che Xavier pure ha perso il suo faro. Si, perchè anche per David West, che quasi in contemporanea era impegnato con i suoi Hornets contro i Suns, l'anno scorso è stato l'ultimo in cui ha vestito la maglia dei Musketeers. Ma qui, più che mai, possiamo notare quanto una solida organizzazione di gioco, e quanto un buon pacchetto di seniors, con magari qualche innesto giusto per conto del recruiting, facciano davvero la differenza.

Parlando di senior, per Texas arrivano i dolori. Sono ben quattro i giocatori che sono giunti al capolinea della loro esperienza cestistica a livello universitario.
Mouton (21 e 7 nella sconfitta contro Xavier), conclude la sua carriera universitaria all'ottavo posto di sempre per punti segnati, Royal Ivey si piazza al primo posto per partenze in quintetto, James Thomas è arrivato ad essere il miglior rimbalzista di sempre, e divide con Boddicker, altro senior, il record per più partite giocate consecutivamente. Mouton, fuori dagli spogliatoi, non può far altro che esternare, con un filo di voce, il suo dispiacere su come siano andate a finire le cose per la sua squadra “Quando eravamo freshmen avevamo l'obiettivo di vincere un titolo. Ci siamo allenati ogni giorno per arrivarci; solo, abbiamo fallito“.

A ripensarci forse viene anche da sorridere. A ripensare a cos'era Texas quattro anni fa. Mouton era l'unico dei quattro freshmen della prima “nidiata” targata Barnes, con più di un'offerta di borsa di studio per meriti atletici. Nessuna di quelle università  era una cosiddetta powerhouse del basket universitario. Il padre di Ivey, prese addirittura come uno scherzo la lettera che arrivò a casa e che invitava il figlio a giocare per i Longhorns. James Thomas, a detta di Barnes, incarnava perfettamente la sua idea di intensità  di pallacanestro, e lo fece un suo uomo perno nonostante le sue evidenti carenze tecniche, che si è trascinato dietro per tutto il quadriennio.
E ora, da quella squadra che sembrava stesse in piedi per un puro caso, siamo arrivati a considerare Texas una delle top 10 della nazione, una squadra che se associata alla parola “titolo” non suscita più le risate di cui sopra.

Capite bene che dopo quest'anno qualcosa cambierà , a Austin. Barnes il prossimo anno si ritroverà  ad avere una squadra da ristrutturare in larga parte.
E anche se Mouton è certo che “negli anni a venire Texas avrà  un ottimo programma di pallacanestro“, non sarà  certo facile ripartire quasi da zero.

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