NCAA B. – Power Ranking

Alando Tucker, l'anima dei Badgers

#1 Ohio State Buckeyes (27-3, 15-1 Big Ten)

La loro stagione rappresenta il primo sintomo inquietante di come Greg Oden possa incidere sulle fortune di una squadra di questo sport, visto che ad inizio anno e nonostante una così illustre presenza nel roster (per altro assente nelle prime sette partite) non erano realmente considerati oltreoceano, non solo come prima forza assoluta ma anche tra le prime possibili contender. Si badi bene, sono ora saliti in vetta al ranking NCAA non solamente per l'avvento del loro centro, visto che accanto a lui si aggirano giocatori di notevole impatto che tanto mancano per esempio in quel di Texas al grande rivale dello zio Greg in ottica prima scelta assoluta al prossimo draft (Kevin Durant), ma ciò nonostante sarebbe comunque assurdo negare la loro natura inesorabilmente Odencentrica.

Non hanno un sistema offensivo raffinatissimo, visto che girano palla perimetralmente e sfruttano spesso un semplice sistema di doppi blocchi verticali che porta o a doppie uscite dei piccoli o alla palla dentro per Oden in post; per la fredda onestà , quando nella tua metà  campo puoi contare su un giocatore in grado di cambiare le sorti di qualsiasi scorribanda avversaria, puoi anche tendenzialmente fregartene della raffinatezza e dell'ampiezza del playbook in attacco, perchè in un modo o nell'altro le partite si portano a casa lo stesso come dimostra la recentissima vittoria per 49-48 ottenuta alle spese di una big come Wisconsin. Il talento offensivo individuale in realtà  ci sarebbe eccome, con il protagonista senior Ron Lewis a sparacchiare da fuori, il dinamitardo Jamar Butler che a sua volta non si fa mai pregare per soluzioni dal perimetro, l'efficace Ivan Harris che lascia però qualcosa sul piatto a livello estetico, l'interessante figlio d'arte Mike Conley Jr (il papà  ha riscritto la storia del salto triplo a cavallo degli anni '90) a dirigere le danze ed il mio pallino Daequan Cook che con i suoi 11 punti dalla panchina attende solo di mettere su quei 5-10 chilogrammi di muscoli per dire la sua anche a livello NBA.

Difficile dire dove possono arrivare gli “ippocastani”: la storia ed il funzionamento del torneo NCAA tendono a remare contro le grandi prime scelte annunciate e preselezionate in largo anticipo (Shaq/LSU, Webber/Michigan, Duncan/Wake Forest, Iverson/Georgetown, Bogut/Utah), perchè la magia della manifestazione risiede proprio nell'assoluta inconsistenza del talento individuale ai fini della vittoria finale, a vantaggio di una marea di altri fattori quasi regolarmente di carattere emotivo e/o collettivo. Il problema (per i loro avversari) è che qui abbiamo proprio a che fare con un supporting cast all'altezza e soprattutto con una fattispecie di stella particolarissima ed unica nel suo genere, al servizio dei compagni, non accentratrice di attenzioni e con uno spirito di squadra a tratti angosciante, ovviamente in positivo. Tra le tante ragioni per giustificare la loro attuale prima posizione nei vari ranking, vale anche la pena ricordare che si presentano al torneo della Big Ten con una striscia aperta di 14 vittorie.

#2 Kansas Jayhawks (27-4, 14-2 Big 12)

Il lodo quinquennale di Kansas: 1997: Vaughn, Haase, Pierce, LaFrentz, Pollard; 2002: Hinrich, A.Miles, Boschee, Gooden, Collison; 2007: Robinson, Chalmers, Rush, Wright, Kaun (Arthur). Cosa accomuna questi quintetti di passate e presenti edizioni dei Jayhawks? Da un lato, il talento mostruosamente inaccettabile a livello NCAA che possono vantare, con due lottery pick ed almeno quattro/quinti potenzialmente da NBA; dall'altro lato, il fatto che nessuno di quei giocatori abbia (ancora) misteriosamente vinto un titolo NCAA, nonostante record paurosi, altissima posizione nel ranking e favori del pronostico con cui si sono presentati alla fase finale. Come riusciranno i ragazzi del 2007 ad emulare i loro alma mater in clamorose e talvolta imbarazzanti eliminazioni al torneo?

La squadra di quest'anno viaggiava a fari leggermente più spenti rispetto alle altre due, ma ormai in molti si sono accorti di lei essendoci se possibile ancora più talento futuribile e come dimostra il fatto che si deve accomodare in panchina l'ala freshman Darrel Arthur, sul cui futuro tra i pro è lecito avere pochi dubbi nonostante il calo nella seconda metà  di stagione. Il sistema offensivo di coach Bill Self vanta un'indubbia organizzazione anche se oltreoceano in molti, non a torto, vorrebbero vederli correre maggiormente a causa dell'elevatissimo tasso atletico presente; nel passato più recente non è in generale immune da critiche la gestione nel torneo del successore di Roy Williams, da cui forse era lecito aspettarsi qualche risultato in più. Purtroppo io non faccio testo nel giudizio delle individualità  presenti tra i “falchetti”, perchè – non so bene per quale ipnosi a cui sono stato sottoposto – sono innamorato di quasi tutti i componenti dell'attuale nidiata: Julian Wright resta il mio preferito della prima ora, mentre Brandon Rush e Mario Chalmers continuano a passare troppo sotto silenzio rispetto all'immagine che mi sono costruito di loro.

In singola giornata possono battere chiunque, compresi i Memphis Grizzlies ed i Boston Celtics di qualche tempo fa: +2 sui campioni in carica di Florida, +30 sull'ottima Oklahoma State, +10 contro la non meno ottima USC, +18 contro Boston College, doppia vittoria nel derby contro Kansas State, niente da fare anche per Durant nella recente sconfitta della sua Texas. Terrificante il 92-39 con cui hanno umiliato la non così terribile Nebraska a metà  Febbraio. Guarda caso, però, non appena hanno giocato contro le due più interessanti antagoniste della Big 12 (Texas A&M e Texas Tech di coach Knight) sono arrivate due sconfitte; se si giocassero tra 10 anni molte partite che Kansas ha perso o perderà  in questa stagione (Oral Roberts e DePaul le altre due al momento) verrebbero probabilmente sospese per manifesta superiorità  dei Jayhawks, ma il titolo NCAA – specie quando la pressione è tanta come potrebbero spiegarci bene Paul Pierce e Kirk Hinrich – si vince solo in minima parte con il talento individuale…

#3 UCLA Bruins (26-4, 15-3 Pac-10)

I catenacciari: sono senza dubbio la migliore organizzazione difensiva dell'intera NCAA. Se infatti la regola basilare per eccellere nella propria metà  campo è avere buoni difensori individuali all'interno di regole precise di squadra, con i Bruins facciamo sicuramente bingo: Collison, Afflalo, Mbah a Moute (in primis), Shipp, Aboya – chi per un motivo, chi per un altro – danno tutti un validissimo contributo difensivo e sono in grado di esaltarsi ulteriormente nel sistema di coach Howland, identificabile in una fortissima propensione ed attenzione negli aiuti ed ai raddoppi anche sul perimetro e soprattutto in un'attività  tecnica e voglia atletica a tratti musicale. In un contesto simile persino l'idolo locale Lorenzo Mata, giocatore di rara repellenza estetica e piuttosto alieno al concetto di fase offensiva, si issa a beniamino del Pauley Pavillion.

In attacco accendono e spengono facilmente. Squadra di parziali, controllano il ritmo ma se serve sanno anche prendersi un tiro nei primi secondi; vivono sulle accelerazioni della grande rivelazione (per me, conferma per altri) Collison, sulle percentuali da fuori di Afflalo (da registrare notevoli Triple Screen e serie di blocchi per il suo gioco e le sue uscite senza palla) e sull'intermittente fluidità  offensiva di Shipp, ma il rischio forte è che nel torneo NCAA inciampino in una giornata di magra offensiva a cui non riescono a sopperire nella propria metà  campo, uscendo magari sconfitti in un tiratissimo 51-48 o triste roba del genere. Capovolgendo banalmente il discorso e vedendo il bicchiere mezzo pieno, proprio grazie alla loro difesa possono contare su un salvagente in grado di portarli anche quest'anno molto avanti nel torneo; in più Afflalo si sta dimostrando se possibile ancora più leader di Farmar l'anno scorso, guidando gli “orsacchiotti” nei finali non senza canestri decisivi allo scadere.

La stagione regolare della Pac-10 è stata decisamente affare loro, specie alla luce della recente vittoria in casa dell'avversario più temibile, ovvero Washington State (manco a dirlo in un emblematico 53-45 degno di infuocati derby di minibasket italiano). In precedenza avevano perso un pò a sorpresa a Stanford e soprattutto contro West Virginia che non ha certo fatto il diavolo a quattro nella Big East, mentre molto più comprensibile è stata la sconfitta in trasferta nell'Oregon e la svogliata apparizione nell'ultima ed ormai insignificante gara di regular season persa contro Washington, che comunque costa sempre qualcosa a livello di posizionamento nel ranking e di conseguente collocamento nel tabellone del torneo.

#4 Wisconsin Badgers (27-4, 13-3 Big Ten)

Squadra old-style di rara profondità  con di fatto rotazione a 10 giocatori, è forse quella dotata del minor talento complessivo tra le presenti ma grazie ad una solidità  con pochi eguali si assicura record di primo piano ed attenzioni generali anche in vista del torneo, benchè averla vista qualche settimana fa al secondo posto assoluto del ranking è stata davvero un'immagine eccessiva. Nella Big Ten hanno fatto la voce grossa, perdendo solo nelle tre trasferte più ostiche, ovvero Indiana, Michigan State ed in un tiratissimo 49-48 contro l'imprendibile Ohio State, in cui Greg Oden ha fatto intuire come possa vincere le partite anche facendo solo 11 punti e raccogliendo la miseria di 5 rimbalzi. Di perdere in casa invece proprio non se ne parla, visto che nel clima entusiasmante del Kohl Center e con l'altisonante percentuale di vittoria del 95%, i “tassi” appaiano Duke al terzo posto nella classifica del record casalingo dal 2001 (Gonzaga e S.Illinois erano ai primi due posti fino a qualche settimana fa ma i Bulldogs con una recente serie nera hanno messo a repentaglio il primato).

Vanno in buona sostanza dove li porta la stella Alando Tucker, atleta realizzatore di difficile inquadratura tecnica, con doti al tiro sotto standard (imbarazzante un libero nell'andata contro Ohio State finito corto ad un metro dal ferro) ma forza fisica, compatezza muscolare e grande cuore per un solido contributo anche difensivo: in parallelo alla serie di vittorie dei suoi Badgers ha visto impennarsi le sue quotazioni in prospettiva draft con ormai sicura presenza al primo giro, anche se continuo a pensare che per lui una seconda scelta sia decisamente meglio spendibile. Amano controllare il ritmo correndo solo se è proprio inevitabile e d'altronde non potrebbe essere altrimenti visto che fanno dei centimetri e della fisicità  in area un punto fermo grazie al terzetto bianco di lunghi Chappell, Butch e Stiemsma, soggetti di rara staticità  e carestia di talento, all'apparenza appena usciti da un ritrovo di taglialegna per altro sempre d'attualità  da quelle parti.

Cambia la musica quando coach Ryan decide di abbassare il quintetto e di rinunciare ad almeno due dei tre citati, lasciando nelle mani e soprattutto nei piedi esplosivi del folletto tascabile Kammron Taylor (non talento smodato) la responsabilità  dello sviluppo offensivo, coadiuvato dall'altra guardia Flowers, anche lui niente di eccezionale ma solidissimo difensore. Esemplifica infine al meglio il loro stile di gioco il rosso tuttofare Joe Krabbenhoft, che entra dalla panchina per 20 minuti di assoluti mestierantaggio e comprensione del gioco. Se al torneo NCAA conta di più il concetto di squadra rispetto a quello delle individualità , vietato trascurare Wisconsin, ma in tutta franchezza per il taglio della retina darei uno sguardo da altre parti.

#5 Memphis Tigers (27-3, 16-0 C-USA)

Persi Darius Washington, Shawne Williams e soprattutto Rodney Carney, protagonisti del sogno final four solo accarezzato l'anno scorso prima del brusco risveglio contro UCLA, non era affatto così scontata la loro conferma ad alti livelli ma coach Calipari dimostra una volta di più di essere tra i migliori allenatori a livello collegiale – dopo la final four invece raggiunta nel 1996 con la UMass di Marcus Camby – a dispetto della sua esperienza in chiaroscuro a livello NBA alla guida di New Jersey. Ad onor del vero la loro quinta posizione nel ranking è fortemente condizionata dalla pochezza della Conference USA e dall'emblematico record di 16 vittorie su 16 partite con cui hanno concluso la regular season; affrontando squadre più credibili nella prima parte della stagione erano non a caso arrivate sospette sconfitte contro Arizona, Tennessee e Georgia Tech, che rilette oggi gettano qualche ombra sul futuro delle “tigri” in prospettiva March Madness.

Squadra piccola, sostanzialmente priva di centri – nessuno dei giocatori più rappresentativi supera i 2.04, salvo l'acerbo ma a sprazzi interessante secondo anno Kareem Cooper – e di conseguenza portata a correre e comunque a trovare una soluzione nei primi secondi dell'azione, hanno una delle migliori transizioni primarie e secondarie NCAA: pick and roll alti immediati prima ancora di schierarsi (Drag), tiri da tre in stile Pitino o alla Nowitzki presi anche in assenza di rimbalzisti offensivi, movimento senza palla dei piccoli lungo la linea di fondo per posizionamento nell'angolo (Angle Corner), fascia centrale sempre ben frequentata anche da più rimorchi in sequenza con “lunghi” (per modo di dire) veloci e subito disponibili in post basso. Se non giungono ad un buon tiro in quei frangenti, però, il loro attacco a difesa schierata batte decisamente in testa con eccessiva staticità  specie sul lato debole e ricerca del bandolo della matassa affidata alle iniziative individuali ed a delicate soluzioni perimetrali. Fondano buona parte dei loro successi sulla fase difensiva, magari non a livello UCLA ma con un ordine ed una disciplina operaia comunque degni di lode; citazione di merito per le braccia lunghe e la reattività  di piedi dell'interessante ala Robert Dozier.

Kemp è il gracile play titolare deputato a spingere la palla ed elevare il numero dei possessi, ma non è certo il punto di forza del quintetto e si trova a dover dividere equamente i minuti in campo con il suo più esperto alter ego fisico, ovvero il compatto Allen che è circa 10 centimetri più basso ma si porta dietro una ventina di chili in più. Più significativo è invece il terzetto di guardie fatte con lo stampino, composto da Douglas-Roberts (migliore realizzatore, gradevole giocatore fluido e sotto controllo), Antonio Anderson (buon atleta ma non preziosissimo talento e nel complesso inferiore alle attese) ed Hunt (cospicuo sesto uomo con 14 punti di media nelle mani, spesso protagonista degli allunghi decisivi e leader silenzioso nonchè unico senior di spessore presente nel roster). Fondamentale il contributo del rozzo e muscolare Joey Dorsey, animale d'area con pochi centimetri ma splendido rimbalzista vicino alla doppia cifra di media (9.5) ed unico reale candidato al momento per un potenziale futuro NBA.

#6 Florida Gators (26-5, 13-3 SEC)

Come da degno copione di molti campioni in carica con la pancia piena (si veda Miami al livello di sopra, anche se con motivi e contesti ovviamente differenti e poco paragonabili), anche i Gators viaggiano in una preoccupante altalena emotiva di prestazioni e risultati che ne mettono in dubbio le credenziali per la non impossibile doppietta. Sembravano partiti lenti con la waterloo nel derby contro Florida State trascinata da un monumentale Thornton (28 punti) ed il più digeribile rovescio contro Kansas, che per talento e profondità  potrebbe insidiare in singola giornata anche qualche franchigia NBA, ma da metà  Dicembre ed in particolar modo con l'inizio della propria Conference il cambio di marcia era stato spaventoso: sopraffatto Oden e la sua Ohio State, nessuno scampo alle più che discrete Arkansas, Tennessee, Alabama e Vanderbilt, scarti impressionanti contro South Carolina e Auburn in trasferta e bottino pieno anche nella prestigiosa sfida in Kentucky. Ora, nelle ultime 5 partite, il crollo: 3 zuccate lontano dalla Florida sempre con scarti in doppia cifra, vittoria interna contro la non certo irresistibile South Carolina e solo un chiaro segnale di forza nell'ultima vittoria contro Kentucky in cui sembrano aver ritrovato di colpo i loro automatismi.

Il menù sarebbe infatti esattamente quello dell'anno scorso: l'entusiasmo e la carica spaventosa del leader Noah, che però nelle ultime apparizioni ed in generale in tutta la stagione non ha certo dato la consueta impressione emotiva all'osservatore ed i segnali di crescita tecnica che ci si aspettava; l'affidabilità  unita alla sempre meno sottovalutata qualità  di Horford, che non a caso ha messo la freccia in proiezioni draft per la manovra di sorpasso al compagno di squadra; le soluzioni e la completezza sui due lati del campo di Brewer; la conferma e direi anzi la crescita dell'estemporaneo talento Taurean Green in cabina di regia; la sempre più micidiale precisione al tiro di Humphrey, cecchino specialista da oltre il perimetro e chiave di molti allunghi e di molte vittorie dei “coccodrilli”; l'ottimo contributo dalla panchina di Hodge (cambio dei piccoli) e di Richard (cambio dei lunghi).

Il tutto guidato sempre con sapienza da coach Billy Donovan, newyorkese doc ed evidente protagonista della grande ascesa e della prepotente comparsa sulla mappa di questo college rispetto ad 11 anni fa, quando ebbe inizio la sua esperienza in Florida. Il back-to-back è difficile ovunque – figuriamoci nel torneo NCAA con 6-partite-6 ad eliminazione diretta – e presentarsi con questa piccola serie negativa non è un certo un gran viatico, ma da qui ad escludere i Gators dal lotto delle favorite credo ce ne passi; d'altronde anche l'anno scorso Noah ed affiliati sono arrivati a questa fase col profilo basso ed hanno cominciato a fare la differenza solo nelle gare senza domani, in una clamorosa progressione emotiva che li ha portati alla splendida affermazione finale.

#7 Texas A&M Aggies (25-5, 13-3 Big 12)

I 30 punti e 16 rimbalzi di Durant nella recente vittoria di Texas nel derby non hanno permesso a Texas A&M di insidiare il primo posto di Kansas nella stagione regolare della Big 12, oltre ovviamente al dolore per la debacle contro i grandi antagonisti che si sono vendicati così del -18 sofferto ad inizio Febbraio nella gara di “andata”. Di battere invece Texas Tech non se ne parla, visto che coach Knight ha inflitto loro un doppio traumatico stop di due punti in entrambi gli incontri stagionali. Altro clima negli spogliatoi degli Aggies si sarà  sicuramente vissuto dopo l'impresa in casa di Kansas, certamente punto più alto della loro stagione anche se per la verità  erano già  da qualche settimana stabilmente nella top-10 del ranking e sotto la luce dei riflettori.

La stella è il funambolico play Acie Law IV, talento unplugged di puri istinti con lunghi periodi in cui gioca per conto suo ma con capacità  di coinvolgere i compagni in grande crescita; in un minuto è capace di perdere tre palloni sanguinosi consecutivi e nel minuto successivo può rimettere le cose in pareggio grazie ad un controparziale tutto suo e contraddistinto dalle sue penetrazioni dominanti. Hanno due big men di estremo interesse come Joseph Jones (uno Zach Randolph in divenire) ed il lituano Kavaliauskas (legnoso ma utilissimo). Giocano ampi brani di Flex Offense (se Law gli permette di schierarsi) e sono in effetti gradevoli alla vista con tanto movimento e l'energia atletica di Josh Carter (interessante) e Dominique Kirk (classico collante e specialista difensivo).

Le loro onestamente bruttine maglie bianco-marrone si candidano ad un ruolo di possibili protagoniste del torneo ed in effetti tra le squadre di cui meno si parla meritano almeno di non essere snobbati del tutto. Billy Gillispie è uno di quei coach collegiali che maggiormente attirano le mie simpatie per la capacità  di costruirsi da solo passo dopo passo un'importante carriera in panchina: dopo la lunga gavetta che l'ha portato tra gli altri ad assistere il suo attuale oppositore Bill Self a Tulsa, ha cominciato la carriera di capo allenatore nella non facile realtà  di Texas at El Paso (UTEP) andando tra lo stupore generale a vincere la sua conference dopo un inverecondo primo anno concluso con record di 6-24; quindi la chiamata di Texas A&M, l'ambizioso programma per far crescere il progetto degli “agricoltori” ed i meritatissimi titoli di coach dell'anno della Big 12 del 2005 (con Antoine Wright) e della stagione in corso.

#8 North Carolina Tar Heels (25-6, 11-5 ACC)

Passano gli anni, cambiano le mode, ma i Tar Heels nella top-10 ci sono sempre e la loro candidatura per la vittoria finale è obbligatoriamente da prendere in considerazione, nonostante gli alti e bassi e l'esigua età  media della squadra di quest'anno. Il terzetto freshman Lawson-Ellington-Wright non ammette particolari lamentele sul piano della futuribilità , ma catapultati fin da subito in campo come primi attori hanno mostrato ed ancora mostrano inequivocabilmente tutta la loro giovinezza, nonostante la costante crescita del primo in cabina di regia e le qualità  strabordanti del terzo tutto campo. Le spietate regole del torneo NCAA dicono che una squadra con 3-4 freshman in quintetto non fa molta strada e prima o poi si imbatte nel classico harakiri smarrendosi contro college dotati di un terzo del talento ma del triplo dell'esperienza.

Lawson ha bisogno di correre per trovare la sua identità  e fare la differenza, così tutte le sue difficoltà  ancora presenti a difesa schierata si trasmettono alla squadra che risulta meno efficace in quella contingenza, nonostante le palle perse siano finalmente in diminuzione. Ellington era stato a mio parere sopravvalutato ad inizio stagione ed ora in effetti c'è chi comincia a storcere il naso di fronte alle sue altalenanti prestazioni. Quanto a Wright il dato tecnico più clamoroso è che, per paradosso, si può considerare al tempo stesso il miglior difensore di North Carolina su guardie, ali e centri, colmando quasi da solo i grossi limiti della squadra nella propria retroguardia. Le due chiocce Hansbrough e Terry hanno ed avranno un ruolo fondamentale per i loro tre giovani soci in quintetto; poco importa che il primo rischi di essere un clamoroso giocatore d'area NCAA ma non all'altezza a livello NBA e che il secondo fatichi a sua volta ad ingranare l'ultima marcia per affacciarsi con maggiore credibilità  nei mock draft che lo relegano ancora in fondo al secondo giro.

La profondità  della panchina è poi un altro storico punto fermo a vantaggio di questi college dal nome che mette i brividi, specie se il coach è un genio del reclutamento come Roy Williams: Frasor, Ginyard, Green, Thompson sono tutti giocatori che altrove vedrebbero comodamente i loro piedi in campo nel momento della palla a due iniziale e raddoppiato il minutaggio. I risultati in regular season dei “fluidi viscosi” (drammatica e scorretta traduzione alla larghissima del termine Tar Heels, in realtà  etimologicamente sconosciuto ed oggetto di studi dalle aleatorie certezze finali) sono d'altronde il tangibile esempio della loro incostanza, con il doppio fiasco contro Virginia Tech e gli insuccessi in trasferta patiti con NC State, Maryland e Georgia Tech. In qualsiasi modo volga al termine, tuttavia, l'annata a Chapel Hill si può già  archiviare con gaudiosa soddisfazione a causa del doppio successo stagionale contro la loro irrinunciabile nemesi, ovviamente gli odiatissimi Blue Devils di Duke.

#9 Georgetown Hoyas (23-6, 13-3 Big East)

Georgetown mi sembra per certi aspetti un rinomato albergo di famiglia sempre uguale a se stesso in cui i clienti tornano di anno in anno perchè si trovano bene e la gestione è affidata di volta in volta agli eredi per mantenere la continuità  col passato. Non si spiega altrimenti il fatto che tutti gli ex studenti Hoyas parlino splendidamente della propria esperienza universitaria (prassi per la verità  comune un pò ovunque) e che i figli delle grandi stelle del passato finiscano – se ne hanno le capacità  – con la stessa maglia dei loro padri nel tentativo di emularli, come il caso di Patrick Ewing Jr è lì a dimostrare; per la cronaca l'ex centro di New York può tranquillamente continuare a godersi il primato in famiglia perchè il figlio, oltre a giocare in un ruolo diverso (è un'ala poco oltre i 2 metri), ha una frazione davvero minima del talento del padre. Altre costanti di Georgetown sono sempre state il reclutamento di giocatori di origine africana, ora in ridimensionamento, e la tradizione di centri dominanti, che dopo qualche anno di appannamento sembra invece aver trovato in Roy Hibbert l'ideale collegamento con Mutombo, Ewing e Mourning.

Ancora più sintomatico è però il fatto che a guidare i “cagnacci” dalla panchina sia John Thompson III, figlio ovviamente di quel John Thompson che ha scritto pagine di storie di questo sport nei suoi 27 anni di permanenza su quella stessa panchina: anche in questo caso, però, la locuzione “tale padre tale figlio” non vale, perchè se papà  Thompson faceva della difesa asfissiante e degli alti ritmi in attacco il segreto dei suoi successi, il piccolo John è cresciuto e si è laureato in quel pianeta a parte rappresentato da Princeton – che ha anche allenato per quattro anni – e porta avanti fin dal suo insediamento il progetto ambizioso di trasferire i principi e la pazienza della Princeton Offense anche in questo contesto, rendendo arte il backdoor tanto caro al suo maestro Pete Carrill e tanto sconosciuto ai tifosi del Verizon Center. I risultati lo stanno premiando, visto che si sono aggiudicati la regular season della competitiva Big East, sconfitti solo dalle valide Villanova, Pittsburgh e Syracuse, ed hanno conquistato in extremis la top-10 del ranking dopo una prima parte di stagione senza nemmeno elucubrazioni per le prime 25 posizioni.

Attorno ad Hibbert spiccano le presenze dell'ala Jeff Green, giocatore speciale e mio pallino con caratteristiche non comuni specie nella distribuzione e comprensione del gioco, del completo blocco di piccoli Wallace, Sapp ed Egerson e del consistente freshman Summers, da tenere d'occhio nei prossimi anni. Fa infine capolino dalla panchina anche un altro figlio d'arte, ovvero quel Jeremiah Rivers figlio del Doc attuale coach dei Celtics: da tifoso biancoverde sono sicuramente condizionato dalla pessima opinione che ho del papà  e che rischia di riflettersi su di lui, ma Jeremiah, pur sapendo giocare a pallacanestro con la classica ottima comprensione da play dei figli di coach importanti (???), oltre al cognome non ha molto altro da offrire per poter sfondare ad alti livelli.

#10 Nevada Wolf Pack (27-3, 14-2 WAC)

Alzi la mano chi si aspettava i Wolf Pack nella top-10 del ranking ad una settimana dal torneo NCAA. La WAC (Western Athletic Conference) è in tutta schiettezza davvero poca roba e ciò nonostante Nevada è riuscita lo stesso a perdere contro New Mexico State e Utah State, oltre al sanguinoso derby prestagionale lasciato ai rivali di UNLV. La regular season è stata poi ovviamente e comunque a loro emolumento, ma anche volendo essere di manica larga è davvero difficile individuare una vittoria di prestigio nel loro schedule: forse quella contro Gonzaga di fine Dicembre, ovvero quando ancora i Bulldogs erano considerati squadra da top-25, ma mi sembra ancora troppo poco per considerare legittima la loro attuale eccessiva reputazione oltreoceano.

Quasi tutto ruota attorno a quella merce rara rappresentata da Nick Fazekas, tanto poco atletico e debole fisicamente quanto completo a livello tecnico e di fondamentali offensivi: 21 punti ed 11 rimbalzi sono cifre che non consentono ricorsi all'osservatore, anche se nella loro analisi non può che tornare nuovamente d'attualità  la consistenza delle avversarie incontrate che indubbiamente aiuta a gonfiarle. Accanto al buon Nick si aggira in realtà  uno dei giocatori più sottovalutati e meno pubblicizzati dell'intero scenario NCAA, ovvero Marcelus Kemp: guardia realizzatrice con centimetri e doti atletiche, ha notevole fiducia al tiro con ampio raggio ma la meccanica imperfetta lo costringe ad esiti incostanti a seconda della giornata; basti pensare che nel giro di una settimana è passato da un 5 su 7 da tre ad un terrificante 0 su 8, per poi riprendersi alla terza esibizione con un di nuovo pregevole 4 su 6.

Meno entusiasmante il play Ramon Session, con critiche selezioni di passaggio benchè sia in generale in netta crescita rispetto alla stagione scorsa e sia addirittura segnalato anche al primo giro nei mock 2008. Il dato saliente del “branco di lupi” di coach Mark Fox è però il loro elevatissimo tasso d'esperienza, se si considera che il quintetto è composto da due junior (Kemp e Session) e da tre senior (Fazekas, Shiloh e Ikovlev), elemento questo sempre molto interessante nella prospettiva di gare ad eliminazione diretta, ma temo non sufficiente per rendere corretta la loro attuale posizione nel ranking e credibile le loro speranze di ben figurare al torneo NCAA. Una ragione in più, questo mio pronostico avverso, per tenerli in forte considerazione nelle folli dinamiche della March Madness!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Informativa cookie

Per far funzionare bene questo sito, a volte installiamo sul tuo dispositivo dei piccoli file di dati che si chiamano "cookies". Anche la maggior parte dei grandi siti fanno lo stesso.

Cosa sono i cookies?

Un cookie è un piccolo file di testo che i siti salvano sul tuo computer o dispositivo mobile mentre li visiti. Grazie ai cookies il sito ricorda le tue azioni e preferenze (per es. login, lingua, dimensioni dei caratteri e altre impostazioni di visualizzazione) in modo che tu non debba reinserirle quando torni sul sito o navighi da una pagina all'altra.

Come utilizziamo i cookies?

In alcune pagine utilizziamo i cookies per ricordare:

  • le preferenze di visualizzazione, per es. le impostazioni del contrasto o le dimensioni dei caratteri
  • se hai già risposto a un sondaggio pop-up sull'utilità dei contenuti trovati, per evitare di riproportelo
  • se hai autorizzato l'uso dei cookies sul sito.

Inoltre, alcuni video inseriti nelle nostre pagine utilizzano un cookie per elaborare statistiche, in modo anonimo, su come sei arrivato sulla pagina e quali video hai visto. Non è necessario abilitare i cookies perché il sito funzioni, ma farlo migliora la navigazione. è possibile cancellare o bloccare i cookies, però in questo caso alcune funzioni del sito potrebbero non funzionare correttamente. Le informazioni riguardanti i cookies non sono utilizzate per identificare gli utenti e i dati di navigazione restano sempre sotto il nostro controllo. Questi cookies servono esclusivamente per i fini qui descritti.

Che tipo di cookie utilizziamo?

Cookie tecnici: Sono cookie necessari al corretto funzionamento del sito. Come quelli che gestiscono l'autenticazione dell'utente sul forum.

Cookie analitici: Servono a collezionare informazioni sull'uso del sito. Questa tipologia di cookie raccoglie dati in forma anonima sull'attività dell'utenza. I cookie analitici sono inviati dal sito stesso o da siti di terze parti.

Quali sono i Cookie di analisi di servizi di terze parti?

Widget Video Youtube (Google Inc.)
Youtube è un servizio di visualizzazione di contenuti video gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine. Dati personali raccolti: Cookie e Dati di utilizzo. Privacy policy

Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook (Facebook, Inc.)
Il pulsante "Mi Piace" e i widget sociali di Facebook sono servizi di interazione con il social network Facebook, forniti da Facebook, Inc. Dati personali raccolti: Cookie e Dati di utilizzo. Privacy policy

Pulsante +1 e widget sociali di Google+ (Google Inc.)
Il pulsante +1 e i widget sociali di Google+ sono servizi di interazione con il social network Google+, forniti da Google Inc. Dati personali raccolti: Cookie e Dati di utilizzo. Privacy policy

Pulsante Tweet e widget sociali di Twitter (Twitter, Inc.)
Il pulsante Tweet e i widget sociali di Twitter sono servizi di interazione con il social network Twitter, forniti da Twitter, Inc. Privacy policy

Come controllare i cookies?

Puoi controllare e/o verificare i cookies come vuoi - per saperne di più, vai su aboutcookies.org. Puoi cancellare i cookies già presenti nel computer e impostare quasi tutti i browser in modo da bloccarne l'installazione. Se scegli questa opzione, dovrai però modificare manualmente alcune preferenze ogni volta che visiti il sito ed è possibile che alcuni servizi o determinate funzioni non siano disponibili.

Chiudi