Austin è il classico tweener, dovrà trasformare questo difetto in un pregio per avere fututo nella NBA.
Mario Austin è il classico nero schivo del profondo sud degli Stati Uniti che ama farsi notare più con i fatti che con le parole e che ha una grande dedizione per il lavoro e una voglia matta di giocare a basket.
Austin nasce a Livingtson in Alabama, 21 anni fa, e percorre tutta la sua carriera cestistica da adolescente nel proprio Stato, diventandone subito un’autentica celebrità . Nel suo anno da senior alla Sumter County High-School di York, mette in mostra dei numeri talmente impressionanti che lo fanno arrivare 2°, solamente a Gerald Wallace (attuale panchinaro dei Sacramento Kings), nella particolare corsa a “Mr Basketball” 2000 nello stato dell’Alabama.
Il ragazzo, invece che rimanere in casa ed andare ad Alabama, decide di seguire le lusinghe di Mississipi State ed approda ai Bulldogs, dove nel primo anno si fa subito notare pur partendo in quintetto solo 5 volte, mettendo assieme una media punti (7.9), che da freshman solo Erick Dampier aveva superato e debuttando alla sua prima gara collegiale con 16 punti contro California.
Nella stagione da sophomore i minuti passano da 17 a quasi 30 e l’esplosione del ragazzo è sotto gli occhi di tutti gli scout NBA. Guida i Bulldogs con 16 punti a gara, conditi da quasi 8 rimbalzi, collezionando ben 31 doppie-doppie, con il risultato che Mississipi State conquista il titolo della SEC, sconfiggendo Kentucky in una partita da sogno, con una rimonta guidata da un mostruoso Austin (32 punti). Dopo la sconfitta al 2° turno del Torneo NCAA, decide di dichiararsi per il Draft 2002, salvo poi ripensarci dopo qualche giorno, per ritornare all’Università .
Saltate le prime gare dell’ultima stagione per dei guai di eleggibilità poi risolti, impressiona nelle prime gare al suo rientro, stampando in faccia a David West (1° quintetto NCAA) 28 punti e ripetendosi nella sconfitta contro Florida con 22 punti e 16 rimbalzi. Chiude l’anno con quasi 16 punti e quasi 8 rimbalzi ad incontro, tirando con un ottimo 54% dal campo e finendo nel 1° quintetto della Conference, pur non brillando in maniera assoluta come nel suo anno da sophomore.
Austin con la sua potenza fisica e la sua altezza, era difficilmente contenibile da qualsiasi lungo del basket universitario, ma al piano sopra la sua altezza reale potrebbe collocarlo nella ormai classica fascia dei tweener, cioè quei giocatori che non hanno un ruolo preciso per gli standard NBA e quindi rischiano di avere difficoltà di gioco. Il suo gioco offensivo sotto canestro è di sicuro tra i piu’ efficaci tra i giovani che si sono dichiarati per il Draft, anche lo stesso West, a detto di molti il miglior lungo di quest’anno, ha patito l’ex Bulldogs nello scontro diretto, in quanto il ragazzo ha ottimi movimenti offensivi in post e un discreto tiro dai 3 metri.
La sua annata da junior lo ha un po’ fatto calare nella considerazione degli scout, soprattutto vista l’infornata di Europei in arrivo, in particolar modo fra i lunghi, poiché la sua altezza (6.9 misura USA, possibile 6.7-6.8, cioè 2.02) difficilmente gli permetterebbe di giocare con continuità sotto canestro, soprattutto in virtù del fatto che Austin non è cosi’ dominante a rimbalzo come potrebbe, soprattutto in attacco. I miglioramenti poi dovrebbero venire anche nell’intimidazione e nella visione di gioco, non sempre lucida, ma fondamentalmente quello che preoccupa gli scout e’ proprio il rischio di non adattabilità vista la sua altezza e il suo peso non elevatissimo per giocare nelle aree pitturate dell’NBA.
Certamente le sue doti offensive e la sua buona mano potrebbe rivelarsi comunque utile in qualche rotazione NBA, forse più ad Est che ad Ovest dove le front line sono particolarmente potenti, perché il ragazzo ha doti cestistiche che sono visibili a tutti e probabilmente la grande etica lavorativa lo porterebbe a sopperire alle carenze fisiche e gli permetterebbe di migliorarsi nelle prime stagioni da professionista, per inserire nel proprio bagaglio qualche movimento fronte a canestro, che lo aiuterebbe parecchio nelle considerazioni dei coach NBA, visto il suo atletismo e la sua tecnica.
Insomma un giocatore magari da sommerso, ma che potrebbe sorprendere in molti, perché dal profondo Sud degli States arriva gente che sa sempre cosa fare e come farlo ed ha ben consce quali sono i principi su cui cercare di costruirsi una carriera.