Il lituano Donatas Zavackas in azione…
Anche se siamo al via della tanto attesa March Madness, parlare solo di basket in questi giorni non è certo facile, comunque la si pensi. Ed i primi a rendersene conto sono i protagonisti stessi del torneo, coach e giocatori.
Due esempi di quelli che si possono definire più che mai come sentimenti contrastanti sono presenti in due partecipanti al Midwest Regional, il coach di Holy Cross, Ralph Willard, e l’ala lituana di Pittsburgh, Donatas Zavackas.
Abbiamo davanti due persone, di nazionalità diverse e di generazioni ben distinte. Willard è stato sergente dell’esercito dal 1967 al 1969, durante il conflitto in Vietnam, e la sua partenza per il fronte fu annullata all’ultimo momento per l’inizio delle trattative di pace. Zavackas è un 22enne, che ha vissuto di persona la lotta per l’indipendenza della sua nazione all’inizio degli anni ’90, e nella sua mente è ancora indelebile l’immagine dei carri armati russi che travolgono civili disarmati attorno alla torre della televisione.
Entrambi hanno espresso pubblicamente i loro dubbi e timori in questi giorni; Willard lo ha fatto, per così dire, da persona “adulta”, ricordando che viene quasi istintivo pensare di non giocare; Zavackas, da giovane caratterialmente più impulsivo, ha dichiarato nei giorni scorsi in un’intervista quello che molti pensano ma non osano dire, ossia di sperare nella sospensione del torneo da parte della NCAA.
Eppure, all’avvicinarsi dell’inizio del grande ballo, entrambi, senza probabilmente conoscersi o essersi mai parlati, finiscono con il ritrovarsi sostanzialmente della stessa opinione, ossia è meglio disputare regolarmente le partite.
Sanno quanto sia difficile giocare, e temono non sia rispettoso per tutti coloro che stanno rischiando la propria vita, ma si rendono conto che le loro partite, e lo sport in generale, assumono un significato particolare, accentuato in queste circostanze. A seconda dei punti di vista, la March Madness può rappresentare una valvola di sfogo, un diversivo, un indice che la vita di tutti i giorni può continuare, sia per chi è al fronte che per coloro che attendono in trepidazione, a migliaia di chilometri di distanza.
Rischia di sembrare retorico, e per qualcuno lo sarà , ma non sarebbe male se una differente prospettiva, caratterizzasse non solo la March Madness, ma lo sport in genere, in tutte le sue espressioni, a livello professionistico e amatoriale.