For whom the Bell tolls

Grande intensità  per Bell che spera di poter continuare a lottare anche in futuro.

Questo articolo non vi parlerà  del bellissimo libro di Ernest Hemingway che ha, peraltro, il merito di focalizzare l'attenzione su uno dei lati meno dibattuti del secondo conflitto mondiale: la guerra civile in Spagna; ma, come il libro dello scrittore statunitense, va alla scoperta di un aspetto poco noto, di uno degli atleti meno in vista e meno pubblicizzati del panorama NCAA malgrado la carriera, i numeri ed i risultati, lo collochino nell'olimpo della pallacanestro a stelle e strisce.

Troy Bell, 182 cm per 78 Kg, viene da Minneapolis, una zona degli States nota più per il football e per l'hockey che per il basket e da qui, dopo una splendida carriera con la Holy Angel High, decise di trasferirsi sulla costa atlantica del paese per coltivare il suo sogno: giocare a pallacanestro.

Boston College non trovò grossa concorrenza nell'accaparrarsi i servigi di questo figlio del Midwest, la reputazione di Troy era buona, ma molti osservatori non diedero grande peso ai suoi numeri ed alle sue doti: era un giocatore discreto, diligente, ma che passava inosservato rispetto ad altri super atleti sempre pronti alla giocata ad effetto.

Diversamente la pensava coach Al Skinner che aveva ricevuto segnalazioni sul ragazzo da un amico di St. Pauli <Troy era ed è un ottimo giocatore, uno che il basket lo capisce e lo sa giocare…>, così portò il ragazzo nella città  dei Celtics per rinverdire i fasti di una grande scuola di playmaker il cui ultimo figlioccio era stato quel Dana Barros che proprio lo scorso 14 febbraio ha superato come primo marcatore di ogni epoca nell'ateneo.

Nella Big East Bell si è sempre trovato a meraviglia, si gioca un tipo di pallacanestro fatta su misura per lui e che gli ha consentito di sviluppare al massimo le sue doti tecniche e caratteriali. Doti che nel suo caso lo hanno portato molto in alto.

Da freshman è stato secondo quintetto NCAA e migliore nella conference tra gli esordienti, nonché tra i più positivi nel ruolo a livello nazionale; nell'anno da sophomore si è attestato sui 20 punti di media ed ha guadagnato il primo quintetto nella Big East ed il terzo nazionale; nella scorsa stagione ha riportato BCU al torneo NCAA e vinto a mani basse ogni titolo individuale nella Big East.

A tutto ciò dobbiamo aggiungere che, da quando ha vestito la maglia degli Eagles, la formazione di mister Skinner ha sempre migliorato i propri risultati fino a giungere all'ottima annata attuale.

Insomma, siamo di fronte ad una grandissimo giocatore che però non sembra stuzzicare troppo il palato dei media americani sempre pronti ad osannare il fenomeno di turno, ma spesso abbagliati più dalle luci che dalla sostanza.

Ovvio che nell'anno da senior Bell si gioca una grossa fetta del suo futuro, resta da capire se Troy riuscirà  a convincere gli scout NBA sulla bontà  del proprio gioco o se rimarrà  l'ennesimo incompiuto, bravo nella NCAA, ma indegno del piano di sopra.

Intanto però c'è da giocare una stagione collegiale che sta dando grandi soddisfazioni a lui e ad i suoi compagni. La squadra è 15-9 ed è entrata diverse volte tra le top 25 della NCAA (ad ora è 24), coach Skinner ha finalmente una formazione quadrata e con tanto talento capace di assecondare Bell senza costringere il proprio regista a strafare.

Grandissima sostanza la sta fornendo l'ala freshman Craig Smith giocatore devastante sotto le plance, capace di segnare in vari modi e che, con 20 punti e 8 rimbalzi, si appresta a prendere l'eredità  del compagno;

altro nome da segnare è quello della guardia junior Ryan Sidney che, dopo due stagioni positive, sembra essere esploso attestandosi sulla doppia cifra in punti (ottima per un giocatore ritenuto insufficiente in attacco) condita da 5 assist e ben 7 rimbalzi; in ultimo buone nuove per l'ala-pivot Uka Agbai carneade dell'area pitturata che, con 14 punti e 6 carambole, forma con Smith una coppia da urlo ad Est.

Insomma, a differenza delle altre annate, dietro a Bell non c'è il vuoto e gli Eagles possono legittimamente pensare di togliersi qualche sassolino dalle scarpe.

Dal canto suo il regista non ama parlare di se e preferisce anzi elogiare il gruppo <Stiamo facendo molto bene, giochiamo una pallacanestro attenta, molto intensa e proficua che ci consente di giocarcela con tutti; grosso merito va ai ragazzi che si stanno impegnando come matti>, quando il giornalista forza la mano e gli chiede di se Troy si mette sulla difensiva <Io penso di stare dando il massimo per la squadra, quest'anno non devo più forzare molto, posso selezionare meglio i tiri e gestire con più calma i possessi>.

Quello che Bell non dice, ma che tutti sanno, è che questa stagione per lui è fondamentale per i futuro e finora sta andando tutto per il meglio. Così parla di lui Matthew Maurer scout e giornalista di college <E' un ottimo realizzatore, dotato di un primo passo fulminante che gli permette di battere spesso l'avversario in entrata anche in virtù di un fisico compatto. Con gli anni ha però migliorato il tiro, la meccanica è più fluida e la fiducia aumentata anche dalla lunga. Come ruolo non è il classico regista che prima vede il compagno e poi nel caso tiro; come passatore è buono, ma spesso, a causa della pochezza dei compagni, è sembrato non leggere bene il gioco e fare scelte avventate. In difesa è buono sulle linee di passaggio, ma non pare un condottiero in grado di guidare la squadra>.

Il tutto fa 25.3 punti, 4.6 rimbalzi (ottimo nel fondamentale per la statura), 4 assist e 2.3 recuperi.

Il giocatore è tra i migliori del ruolo e non solo nella NCAA, ha acquisito fiducia, leadership e maturità  che, unite al buon contorno da cui è stato affiancato, ne fanno uno dei papabili per il titolo di giocatore dell'anno (nel lotto dei quali è stato inserito).

Non solo, dopo stagioni di anonimato anche la stampa si è accorta di lui tanto da inserirlo tra i candidati all'Oscar Robertson Award che elegge il miglior giocatore votato dai giornalisti.

Ma abbandoniamo per un attimo il presente e tuffiamoci nel futuro, al draft manca un' eternità  e tante sono le variabili ancora da contemplare.

Troppo basso per fare la guardia, poco incline alla costruzione per fare il play in prospettiva NBA siamo di fronte ad una signora combo-guard, cioè un giocatore a cavallo tra i compiti di regia e l'istinto da guardia tiratrice, per capirci alla Tony Delk o alla Bobby Jackson.

Dovendo forzare un paragone a me ricorda un po' Gilbert Arenas (ma è più basso) e come il play dei Warriors potrebbe favorire un tipo di gioco altamente veloce e spettacolare ad hoc per determinate squadre della Western Conference.

In linea di massima è alla ricerca di un "amatore" che possa apprezzare le doti offensive e difensive unite alla dedizione nel lavoro di un giocatore senza magari grossi margini di miglioramento, ma che si presenta però fatto e finito e quindi utile da subito.

Vedremo, per ora nel Massachussets i tifosi se lo godono sperando che porti gli Eagles sempre più in alto.

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