Okafor, il fattore D

Okafor, perno della difesa di UConn, nel suo pezzo forte : la stoppata

E' un periodo strano per UConn, ma non per i risultati.
Gli Huskies stanno infatti conducendo un campionato di tutto rispetto, hanno battuto Syracuse recentemente, e sono tutto sommato ancora in corsa per chiudere in testa alla Big East – East.

La mazzata per gli Huskies è arrivata dalla notizia improvvisa di un ricovero forzato per il loro coach Jim Calhoun, causa un cancro alla prostata, fortunatamente scoperto in tempo e dunque curabile senza troppi problemi. Calhoun, che ha superato positivamente l'intervento ed è stato già  dimesso dall'ospedale, ha lasciato la squadra al suo assistente George Blaney, che finora in sua assenza ha portato Connecticut a due vittorie nelle ultime tre partite (la prima è comprensibile che l'abbiano persa, visto lo choc emotivo subito il giorno prima alla conferenza stampa del coach).

Certo è che la forza di una squadra la si vede soprattutto nei momenti duri, e questo lo è senz'altro. Connecticut si è affidata ancora di più ai suoi due fari : Ben Gordon (che Caron Butler – diciamocelo, l'unico che si è salvato dalla penuria dell'All Star Saturday – ha già  designato come suo erede) e soprattutto Emeka Okafor, l'uomo che fa davvero la differenza per gli Huskies.

Okafor, che è solo un sophomore, è a buon diritto uno dei primi cinque big men d'America. Le cifre, che non dicono tutto ma che almeno ci offrono in questo caso uno spunto da cui partire, parlano di 15 punti e 12 rimbalzi a gara, ai quali si accompagnano 4 stoppate e mezza, che fanno di Okafor probabilmente il miglior intimidatore d'area della nazione.

Ma l'impatto che il ragazzo ha su una partita va ben oltre a dei numeri proiettati su un monitor ovviamente. Grazie alle sue braccia, alle sue doti atletiche e alla sua reattività , la zona praticata da Connecticut è difficilmente attaccabile.

Prendendo ad esempio l'ultima partita contro gli Orangemen, UConn ha costretto gli avversari ha un misero 2 su 17 da tre punti, maturato con tentativi piuttosto continui, vista la quasi impossibilità  di attaccare il centro area, dove Okafor, che in un'azione ha rifilato due stoppate in un secondo e mezzo (!), tendeva a toccare qualsiasi cosa fosse di pelle con delle righe nere ondulate.

Coach Calhoun, che ha chiamato Okafor dopo la partita per complimentarsi per la vittoria, ha preso Emeka sotto la sua ala protettiva, stimolandolo a migliorare e a spingerlo a ricercare quella continuità  di prestazioni che fino ad adesso è stata un pò intermittente.

Senza andare troppo indietro nel tempo, Calhoun aveva fatto notare che l'atteggiamento di Okafor nella sconfitta di due settimane fa contro Boston College era stato diametralmente opposto a quello che la squadra ricercava da lui. Non era un accusa, ma piuttosto una critica costruttiva : Okafor quella sera non aveva stoppato neanche un tiro alla fine del primo tempo, e il bottino di rimbalzi ammontava a un misero 1, un'inversione di tendenza preoccupante per gli standard cui il giocatore di origini africane aveva abituato addetti ai lavori e non.

La partita successiva, contro Virginia Tech, è stata ancora un mezzo disastro, anche se come già  citato, le condizioni psicologiche per disputare quella partita proprio non c'erano.

“Il coach mi ha detto che spetta a me e a Ben (Gordon, ndr) di tenere unito il gruppo – racconta Okafor, riferendosi alla telefonata ricevuta dal coach – Mi ha detto di giocare con intensità  e di essere l'Emeka che posso essere”.

Parole importanti, per un ragazzo che in fondo è ancora alla ricerca di una piena fiducia nei propri mezzi e che comunque crede ciecamente nel suo coach: “Il coach ha ragione, la chiave è l'intensità . Dobbiamo giocare sempre senza risparmiarci, per tutti i 40 minuti”.

E quando l'intensità  Okafor ce la mette, è difficile trovare un giocatore più dominante, almeno sotto l'aspetto difensivo. La sua presenza ha rimbalzo è notevole anche in attacco, dove spesso si fa trovare pronto per correzioni sugli errori dei compagni, mentre dall'altra parte del campo, quando si produce in tutta la sua “apertura alare”, è come se un nuvolone passasse a coprire il sole in una giornata insolitamente serena.

Non stiamo parlando esclusivamente di stoppate in senso lato (meglio se in aiuto), ma proprio a livello di selezione di tiri da parte degli avversari. Confrontarsi con Emeka vuol dire ridurre sensibilmente le penetrazioni, cercare di creare un gioco intermedio (anche se Okafor esce anche dall'area a difendere), dunque arrischiarsi in conclusioni che senz'altro hanno una percentuale di realizzazione inferiore.

E' una caratteristica dei grandi difensori, quella di riuscire a far cambiare strategia agli avversari, alterando i loro tiri.

La difesa di Connecticut è dunque temibile, e al torneo questo conterà  parecchio, perchè segnare è bello, ma, lo diciamo per l'ennesima volta, le partite si vincono in difesa.

Emeka (che di vero nome fa Chukwuemeka Noubuisi, grazie per l'accorciamento..), è un gran lavoratore, e non c'è persona nello staff di UConn che parlando di lui non faccia complimenti.

In estate Okafor ha lavorato moltissimo in attacco (le sue cifre di produzione offensiva sono quasi raddoppiate), e durante la stagione, è stato affidato alle cure di Clyde Vaughan, assistente di Calhoun. Sempre nel periodo della pausa estiva, Okafor ha frequentato prima il Nike Camp, e in seguito anche il camp tenuto da Jordan, dove assistenti NBA hanno potuto dare qualche dritta a un giocatore con cui comunque si ritroveranno a trattare da qui a un anno.

“E' una gran brava persona, è probabilmente uno dei ragazzi più intelligenti che abbia mai allenato”, dice Calhoun. E che Okafor sia un ragazzo a posto ce lo dice anche il fatto che sia perfettamente in regola con gli esami, e che preveda di laurearsi (in economia) in tre anni; dice Emeka: “la sera, finito l'allenamento, preferisco andare in biblioteca e studiare piuttosto che non fare niente in camera mia”… Premesso che chi vi scrive vorrebbe avere lo stesso atteggiamento, ma sa che difficilmente arriverà  ad averlo, questa frase vi dà  la dimensione del personaggio.

Un giocatore che per mentalità  sembra uscito dal passato, con il corpo degli atleti moderni.

“Questo è un gioco mentale, a tal punto che diventa istintivo – sottolinea Okafor – Io riesco ad andare sul campo e reagire in modo naturale al gioco, bisogna assimilarlo così da non doverci pensare più e lasciare che il gioco sia come un abito per te”.

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