UCLA si sta aggrappando al suo unico, grande giocatore di talento: Jason Kapono
Povero John Wooden, un uomo di novantadue anni come lui non dovrebbe subire, per il proprio bene, shock troppo intensi e tale concetto sembrano capirlo bene tutti quanti tranne, forse le persone che lui stesso vorrebbe che lo capissero fino in fondo ovvero i Bruins di Ucla.
Chissà cosa passerà nella mente dell’uomo che ha condotto quest’università a vincere per ben dieci su un totale di undici volte il titolo Ncaa, non solo nel vedere questi stessi ragazzi subire la peggiore partenza stagionale da quarantuno anni a questa parte ovvero dalla lontana annata 61-62 (a quell’epoca non era ancora nato nemmeno Lavin) quando subirono una sorprendente doppia sconfitta ad opera dei mormoni di Byu ma anche, cosa ancor più umiliante, nel dover premiare per la vittoria nel torneo a lui intitolato, il John Wooden Tradition, gli odiati rivali di Duke; in fin dei conti, crediamo che la frase: “Non voglio dare consigli perché mi farebbero sembrare critico ed io non ho nessun’intenzione di esserlo”, pronunciata alla fine del torneo all’indirizzo di chi gli chiedeva lumi sulla crisi dei Bruins sia frutto più che altro della consapevolezza di non caricare l’ambiente con della tensione soltanto superflua e nociva.
Ma adesso proviamo a visitare questa grande università malata a stabilirne i sintomi e provare a formulare una valida diagnosi per capire se si tratta di un malanno stagionale o se sotto c’è qualcosa di molto più serio.
SINTOMI: Possiamo affermare tranquillamente che i primi sintomi si sono manifestati ancor prima dell’inizio della stagione regolare quando UCLA ha dovuto rinunciare a due tra i suoi migliori prospetti sempre a causa dei soliti problemi accademici.
I due ragazzi in questione sono Evan Burns (freshman) che al momento sta cercando l’eleggibilità negata in quel di San Diego State ed Andre Patterson (sophmore): entrambi potevano ricoprire il ruolo di ala piccola atletica e con molti punti nelle mani di cui i Bruins hanno disperatamente bisogno.
I sintomi sono diventati ancora più gravi dopo le prime due partite di campionato ossia gli incontri con San Diego University e Duke, già citato in precedenza, che hanno evidenziato magagne mica da ridere. Lo scontro contro i Torreros, tra l’altro guidati dall’ex giocatore ed assistente dei Bruins Brad Holland, perso in overtime ha messo in luce il problema più evidente ovvero, dopo la dipartita di Dan Gazduric e Matt Barnes, la mancanza di una presenza dominante sotto canestro dal momento che né Michael Fey né Ryan Hollins (entrambi freshman) sono pronti a sostenere sfide a questi livelli ed inoltre T.J Cummings, sulla carta la power forward titolare, gradisce maggiormente uscire sul perimetro per ricevere piuttosto che dare una mano sotto le plance.
La partita con i Blue Devils, successivamente, non ha fatto altro che acuire i problemi già noti ed evidenziare di nuovi: come la tensione interna manifestatasi sotto forma di partenza dalla panchina per Cummings e Ray Young arrivati in ritardo ad una sessione tattica il giorno precedente l’incontro o le enormi difficoltà incontrate dalla motion offense predicata da Coach Lavin che ha prodotto la miseria di due assist in trenta minuti di gioco (la stella Jason Kapono ha dichiarato a questo proposito: “Abbiamo un problema a restare calmi, nessuno riesce a seguire gli schemi ed ognuno cerca delle soluzioni personali”)
Se stiamo ad osservare i giocatori capiamo che Cedric Bozeman deve imparare ad ottenere molto di più dalla propria penetrazione e ad attaccare maggiormente il canestro avversario (al momento è andato in lunetta solo sette volte) e a diminuire le palle perse, che Dijon Thompson, non avendo nessun cambio affidabile tende a giocare gli ultimi e decisivi minuti in carenza di ossigeno e specialmente la fase difensiva ne risente, che Jon Crispin, che dovrebbe essere il sesto uomo di impatto, ha ancora le polveri bagnate, che Ray Young può dare impatto notevole su entrambi i versanti ma ancora latita, che bisogna migliorare le percentuali nel tiro da fuori (35%) e che inoltre l’uscita dal ranking non deve essere stata un toccasana per il morale.
DIAGNOSI: Per superare questa crisi UCLA ha tutte le carte in regola, a partire da coach Lavin, uno dei migliori allenatori della cosidetta “nuova generazione”, già l’anno scorso capace, dopo una partenza 2-2, di finire con un record di 21-12 ed uscire alle “Sweet Sixteen” solo per opera di Missouri, che appare molto fiducioso come si vede dalle sue dichiarazioni: “Abbiamo fatto molti progressi torneremo ad allenarci duramente e così potremmo imboccare la giusta direzione”, per continuare poi dal pubblico del Pauley Pavilion che è uno dei più indemoniati di tutto il college basket e per finire ai giocatori che devono trovare la quadratura del cerchio ed un’alchimia di gruppo.
Intanto c’è la nota positiva di squadra, ossia Jason Kapono che si sta dimostrando il miglior rimbalzista (7.5) e marcatore (18 punti) ed il solito eccellente tiratore.
CURA: Il potenziale c’è, bisogna solo riuscire a sfruttarlo. Cedric Bozeman deve iniziare a sfruttare pienamente i miss-match (non capita tutti i giorni di avere un play di due metri), il ritorno di Patterson allungherebbe la panchina e toglierebbe eccessive responsabilità dalle spalle di Thompson e la crescita di Young, Crispin e Cummings e dei due centri freshman contribuirebbe a togliere un bel po’ di castagna dal fuoco per i Bruins.