"By re-signing Carlos … we feel we have accomplished another big step in adding to this team. Carlos showed last season that he was one of the most competitive and efficient point guards in the NBA, and we are happy to have him back"
Si riparte da qui. Da parole che non sono sicuramente le più significative della sua carriera, ma che danno sostanzialmente il via a una delle stagioni più attese di sempre.
Lui è ancora li, quasi volutamente sfocato ma in primo piano, vero faro della banda di Miami.
Su quello che è successo nei giorni scorsi potremmo scrivere libri, enciclopedie, ma non ho alcuna intenzione di ammorbarvi ulteriormente con previsioni, critiche e feelings sulla situazione.
Parliamo invece di colui che con il suo gangster-looking by Giorgio Armani, come piace ai colleghi d'oltreoceano, tiene in piedi la baracca. (Baracca di lusso eh, intendiamoci, anche perchè South Beach in linea di massima è apprezzabile come location..)
Andiamo per gradi..
Che il ragazzo fosse destinato a travalicare la soglia della mediocrità è intuibile fin dai primi passi(palleggi).
A Schenectady, in cui cresce con papà Leon (giocatorino di baseball senza fortuna), Patrick gioca per la Linton high school del celeberrimo Walt Przybylo.
Caso vuole che, in quella che lo stesso Riley definì “One of the greatest games in the history of Schenectady basketball” a brillare oltre a lui fosse anche un giocatore dei New York City's Power Memorial..Un certo Lew Alcindor, suona familiare?
Il futuro all'University of Kentucky è roseo e non sono solo i numeri a parlare..
Nell'indimenticabile finale NCAA del 1966, i “Wildcats” del compianto coach Adolph Rupp (chissà cosa avrebbe detto di questi “black-three”) e di un ormai maturo Riley, vengono sconfitti dai soprendenti ed indimenticabili Texas Western Miners, prima squadra completamente formata da giocatori di colore che significò una vera e propria svolta nel mondo del basket. (Per gli interessati, un film ha scenograficamente riportato alla luce la storia: “Glory road”).
Atleta straordinario Riley viene scelto al draft '67 sia dagli allora San Diego Rockets, sia come wide-receiver dai Dallas Cowboys. Fortunamente sappiamo tutti com'è andata..
L'avventura Californiana non è però delle più fortunate e nel 1970 Pat tenta di risollevare la sua carriera spostandosi di qualche kilometro più a nord, nell'affascinante città degli angeli.
Ai Lakers si limita principalmente al ruolo di comprimario, riuscendo comunque nel '72 ad arrivare al primo (e unico) anello da giocatore.. E' la stagione della fast-break offense di coach Sharman, delle 33 vittorie consecutive e dell'agognato e stra-meritato titolo per mr.Clutch.
Riley pare troppo “innamorato” di L.A., e dopo una breve parentesi nei Suns dei miracoli (che sfiorano il colpaccio coi Celtics nele Finals '76), decide di ritirarsi dal basket giocato per passare al ruolo di annunciatore radiofonico dei Lakers.
La svolta arriva nella stagione '79-80, con l'incidente accorso a coach McKinney che fa scivolare Paul Westhead sulla panchina gialloviola e lo stesso Pat al ruolo di assistente.
La squadra vince l'anello grazie anche al neo-draftato Earvin Johnson, ma l'anno successivo l'infortunio dello stesso impedisce ai Lakers di andare oltre il primo round dei play-off..
All'inizio della stagione '81-82, causa una brutta partenza e le lamentele dell'ormai “Magic”, Riley diventa capo allenatore, vincendo 17 dei suoi primi 20 incontri..Il titolo arriva in maniera tanto inattesa quanto meritata e con la prima scelta assoluta al draft dell'anno seguente (un certo James Worthy, do you remember?) i Lakers danno il via all'era dello “showtime”..
4 finali consecutive, 7 in 8 stagioni, 4 anelli.
I gialloviola di Riley si impongono come una delle squadre più forti di sempre, ed è indimenticabile la promessa di re-peat che lo stesso Riley fa prima nello spogliatoio e poi alla folla losangelina dopo la vittoria nelle finals '87..
Il re-peat arriva come promesso l'anno successivo contro i Pistons di Chuck Daily, Isiah Thomas, Joe Dumars e di un ormai insuperabile Dennis Rodman, che gli negano però l'anno successivo con un durissimo sweep la gioia del threepeat..
Come in ogni grande favola che si rispetti, la storia si ripete, quando qualche incomprensione con lo spogliatoio lo spinge all'abbandono della panchina gialloviola (nonostante la fresca nomina a Coach of the Year) e a tentare l'esperienza come commentatore NBC..
Stavolta è New York a suonare al campanello di Pat, che a suon di duro lavoro e difesa fisica, dà una svolta ai Knickerbockers..
In un escalation di risultati (dal miglior record stagionale di sempre nel '92, alla finale di conference el '93) il trio Ewing,Stark, Oakley arriva alle Finals nel 93-94, ma deve arrendersi alla rimonta (da 2-3 a 4-3) dei Rockets di “Hakeem the Dream”..
Il “Riley-gate” che scoppia nel 95-96 lo conduce su altri lidi. Destinazione: South Beach, Florida.
Pat cerca subito di rivoluzionare la squadra mandando Rice e Geiger agli Hornets per acquisire Alonzo “Zo” Mourning, ed aggiungendo al roster in corso d'opera giocatori come Gatling, Walt Williams e Tim Hardaway.
Gli arrivi l'anno seguente di P.J. Brown,Majerle & co. permisero a Riley di chiudere la RS con un 61-21 e di vincere per la terza volta il “coach of the year”, come nell'anno passato però, i ragazzi terribili di Phil Jackson spengono i sogni di gloria degli Heat (stavolta nella finale di conference..)
Il triennio successivo potremmo chiamarlo della “maledizione Knicks”, in cui nonostante un ottimo record in RS, gli Heat escono sempre perdenti in post-season contro il team della grande mela: e' la “vendetta” di Pat Ewing, che si ritirerà proprio alla fine della stagione 99-2000…
La rivoluzione inizia nel 2001 con le cessioni illustri di Hardaway e Mason e prosegue con la scelta di dedicarsi totalmente al ruolo di GM nel 2003, lasciando la panchina al fino ad allora assistant coach Stan Van Gundy.
Dopo la finale di conference persa con Detroit nel 2004 e nonostante il superscambio che portò Shaquille O'Neal (semi-fresco di threepeat a LA) a Miami, SVG fu rimpiazzato a Dicembre dallo stesso Riley che grazie all'esplosione di Wade e all'apporto di Payton,Walker e J-Will riesce ad arrivare sensazionalmente alle Finals 2006.
Dallas nelle prime 2 gare rispetta il fattore campo, dando l'idea di avere l'anello praticamente in tasca. Arrivano invece 4 incredibili ed inaspettate vittorie consecutive firmate O'Neal-Wade che spezzano i sogni di gloria di Nowitzki e soci, mandando Riley nell'olimpo dei grandi (unico, con Phil Jackson e Alex Hannum ad aver vinto un titolo con 2 squadre diverse).
Il triste passato recente e l'arrivo del giovane Spoelstra sulla panchina Heat sono il preludio al noto presente.
Pat si traveste da mago del “cap” e svuota il roster nell'estate più calda e più attesa. C'è paura nei tifosi Heat, che vedono la loro squadra sbriciolarsi ai soli crazy Beasley e Mariolino Chalmers.
Le sirene di NY, Chicago & co. suonano per tutti, anche per il tanto amato numero 3. Invece Lui Resta. Lui.
Anzi, nella sua amata dimora arrivano 2 nuovi inquilini.
Il primo è un lungagnone silenzioso, da molti ritenuto troppo taciturno e poco incisivo.
Il secondo è un self-proclaimed-king, che arriva sbattendo la porta.
Il povero Erik si ritrova con uno dei terzetti (offensivamente) più forti di sempre e, se da un lato impazzisce di gioia, dall'altro sembra rimpiangere i tempi in cui in quella casa metteva piede si e no 3-4 volte all'anno..
Fortunatamente il padrone di casa, il signor Pat, ha già le idee chiare ed è pronto, nell'eventualità per cui molti hanno già cominciato a pregare, a scendere per mostrare a tutti come si comporta e come si vive civilmente e in armonia.
La voce del nuovo “dinamico trio” si sparge nella città cestistica e molti a cui prima quella casa pareva diroccata e senza futuro, sembrano ora trovare nuovo interesse.
Non è cosi per il fido Udonis, amico se ce n'è uno del numero 3 che è il primo a ridursi lo stipendio pur di restare. Arriva Mike Miller, arrivano Juwan e "Z".
Ma, chi pulisce casa? E della questione economica non ne parliamo?
“I voted for the man, if you don't vote, you don't count”: cosi disse a George W. Bush alla cerimonia per la sua entrata nella HoF.
Io ho votato per Pat, anche stavolta, e voi..?