"Regression to the mean" (in italiano "regressione verso la media"): un termine molto utilizzato tra i commentatori americani amanti della statistiche, che sta ad indicare il fenomeno per cui, in presenza di una serie di rilevamenti successivi, dei risultati estremi in un senso o nell'altro tenderanno a bilanciarsi reciprocamente, "ritornando" verso il loro valore medio e tipico.
In ambito NBA si traduce nel fatto che risultati straordinari al tiro (in positivo o in negativo) in una determinata partita verranno verosimilmente "corretti", riportando il totale su valori più vicini alla media storica, da serie successive di segno opposto.
Uno dei motivi della vittoria gialloviola in Gara3 può essere proprio ricercato nella "regression to the mean" accusata da Ray Allen, che dopo il record di otto pugnalate da tre della sfida precedente ha sfiorato un identico record di segno opposto, arrivando, con il suo 0/13 dal campo, ad un solo errore di distanza dal maggior numero di tiri sbagliati in una gara di finale senza mandarne a segno nemmeno uno.
Nel precedente articolo avevamo già segnalato che la prestazione irripetibile di "Ray of light" aveva gonfiato pericolosamente le percentuali sue e della sua squadra (assestate, dopo le prime due gare, rispettivamente al 61% e al 46% dalla lunga distanza), e che le leggi della statistica avrebbero verosimilmente richiesto un salato pedaggio nel prosieguo della serie.
Il conto è arrivato immediatamente, e dopo Gara3 sia Allen (ora ad 8 triple su 21, per il 38%) che i Celtics nel loro complesso (16/44, 36,4%) sono stati brutalmente riportati a medie più congrue con i loro risultati medi.
Se la fredda spiegazione numerica non vi soddisfa, una motivazione tattica di questa debacle può essere trovata nel fatto che i Lakers sono stati per tutto l'anno la migliore squadra della lega nel difendere il tiro dalla lunga distanza, e in Gara3 hanno dimostrato il loro valore in questo fondamentale grazie ad una efficace comunicazione verbale tra i compagni, che "chiamavano" ripetutamente il giocatore più esterno al termine della solita serie di blocchi per Allen, suggerendogli i tempi per uscire in anticipo sul tiratore, contestandogli quasi ogni tiro.
Il fatto che al #20 non siano entrati nemmeno quelli non contestati dipende invece, verosimilmente, dalla pura e semplice stanchezza: il suo essere perennemente in movimento per seminare gli avversari sui blocchi e le sue ricezioni praticamente in punta di piedi per consentirgli un rilascio immediato della palla richiedono un dispendio imponente di energie, rivelatosi troppo gravoso per un 35enne reduce da una prestazione individuale erculea a meno di 48 ore di distanza, per di più seguita da un lungo trasferimento aereo da una costa all'altra degli States.
I Lakers, oltre a disinnescare la prima opzione avversaria, sono riusciti anche a rendere sostanzialmente innocuo il devastante Rondo di Gara2, sottraendogli, come in Gara1, le occasioni di transizione: i gialloviola hanno limitato al minimo le palle perse (solo l'8,5% dei loro possessi si è tradotto in un turnover, e nessuno nell'intero quarto periodo: in totale solo tre tiri - da due - a segno per i padroni di casa) e i tiri dalla distanza (solo 15, cifra ampiamente inferiore alla loro "soglia di guardia" di 20 triple a partita, peraltro inflazionata dai 7 tentativi del solo Bryant), recuperando inoltre il controllo dei tabelloni, soprattutto in attacco (28,9% nei rimbalzi offensivi, 80% in quelli difensivi).
Tutto ciò si è nuovamente tradotto, per i Celtics, in una aridità offensiva letale per le loro speranze di vittoria: sono rimasti in partita grazie alla difesa e agli encomiabili sforzi di Glen Davis e di un Garnett finalmente aggressivo contro Gasol (11/16 con il 68% dal campo e soprattutto 6/9 nelle vicinanze del canestro, dopo un drammatico 2/6 complessivo nelle precedenti sfide), che ha attaccato con movimenti in avvicinamento che in questa serie non aveva ancora mostrato; la vittoria però era destinata a rimanere un miraggio, viste le difficoltà di Allen, un Rondo ridotto a mero esecutore dei loro set a metà campo, la penuria di seconde chance (nessun rimbalzo offensivo in tutto l'ultimo quarto) e senza neppure il contributo di Pierce, nuovamente estromesso dalla gara (ed è la terza volta su tre incontri) dalla difesa di Artest e dai falli.
L'attacco dei padroni di casa, dopo aver smarrito le fulminee esecuzioni di Gara2, si è nuovamente macchiato dei suoi peccati storici, ed in particolare di una circolazione di palla lenta e macchinosa, facilmente disinnescata dall'efficace difesa dei Lakers: il reparto difensivo gialloviola si è dimostro lontanissimo parente della "gruviera" che li aveva costretti, nel 2008, a lasciare il Garden con tre sconfitte su tre.
Uno dei giochi cruciali è stato rappresentato da una palla rubata da Artest sul passaggio di apertura del gioco offensivo biancoverde: troppo spesso i Celtics affrontano questa situazione con eccessiva leggerezza, dando per scontato il corto passaggio, quasi un hand-off, tra i due esterni che iniziano il gioco.
Gli istinti difensivi di Artest, come già successo in Gara1 (in quel caso si involò, con la complicità di Fisher, andando a segnare un comodo canestro in contropiede), gli hanno permesso prima di intercettare il passaggio"
…e quindi di disturbare il problematico palleggio in emergenza di Glen Davis, facendogli carambolare la palla sul piedone e recuperando un cruciale possesso.
I Celtics, anche quando sono riusciti ad introdurre i propri set offensivi, non hanno comunque mai dato l'impressione di riuscire a fare veramente male ad una reattiva difesa gialloviola quando le permettevano di schierarsi: in questa sequenza vediamo quello che si è rivelato, probabilmente, il possesso decisivo della gara: inizia con un'uscita sul lato forte di Pierce, che viene incontro a Rondo al gomito.
Il solido blocco portato dal #34 impegna severamente Kobe, imponendo ad Artest una immediata reazione su Rondo; contemporaneamente, però, anche Garnett sfrutta la prosecuzione del medesimo blocco, incrociandosi con Pierce.
A questo punto Rondo tenta di battere Artest dal palleggio, senza riuscirci, e quindi riporta la sua attenzione sui compagni in movimento sul lato forte.
Pierce e Garnett si incrociano nuovamente con un blocco reciproco, e con quest'ultimo movimento, al momento della ricezione del figliol non prodigo di Los Angeles, Boston riesce finalmente a generare due evidenti mismatch Pierce-Gasol e Garnett-Bryant, apprestandosi a sfruttarli isolando i due giocatori sul lato forte:
La situazione per i Lakers è critica: PP può attaccare direttamente Gasol dal palleggio, oppure affidarsi al proprio lungo (che, come abbiamo detto, è stato "caldissimo" in avvicinamento a canestro per tutta la partita); sceglie in effetti quest'ultima soluzione, ma Odom (per la prima volta un fattore in questa serie) reagisce fulmineo raddoppiandolo immediatamente:
Si tratta di una situazione tattica vista un'infinità di volte durante le Finals 2008: i Lakers difendevano onestamente per i primi 10-15 secondi dell'azione, ma alla prima rotazione difensiva non ne seguivano altre di pari efficacia, ed i Celtics li punivano con l'extra pass (che in questo caso sarebbe andato a Glen Davis, perfettamente solo ad un metro dal canestro).
Questi Lakers, però, difendono, e difendono sul serio: all'aiuto di Odom segue l'immediata rotazione anche di Artest, che nega il comodo servizio al centro:
A questo punto, vedendosi sottrarre la soluzione ideale, Garnett esita per qualche attimo di troppo, permettendo a Bryant di sporcargli il possesso, provocando una sanguinosa palla persa da cui i Celtics non si riprenderanno più.
Non si può però mandare in archivio Gara3 senza menzionare il suo protagonista principale, quel Derek Fisher ripetutamente bistrattato nel corso della stagione regolare sia dai playmaker avversari in campo che dai propri tifosi nei forum di discussione, ma che, come al solito, è salito in cattedra nel momento decisivo, con 11 punti di pregevole fattura nell'ultimo quarto.
I Celtics e tutto il Garden si attendevano questo tipo di giocata da Kobe Bryant, che però ha insolitamente steccato nel periodo decisivo, anche grazie ad una difesa biancoverde che è riuscita a contenerlo ancora meglio di quanto non avesse fatto in precedenza: in Gara1 Kobe aveva avuto a disposizione 15 tiri nelle vicinanze del ferro (10 sottocanestro e 5 tra i due e i cinque metri) e aveva utilizzato solo 7 tiri dalla lunga distanza ("long twos" e tiri da tre); in Gara2 aveva preso 11 tiri vicino a canestro (segnando però solo un misero 1/8 tra i due e i cinque metri) e 9 da fuori.
Martedì notte, invece, i Celtics gli hanno concesso solo 9 conclusioni ravvicinate (1/2 da sotto, 4/7 nel corto raggio) invitandolo a sparare (a salve) dalla lunga e lunghissima distanza (4/13 nei long jumpers, 1/7 nelle triple).
Non si aspettavano, però, di dover affrontare un altro go-to-guy, e peraltro in una situazione tattica apparentemente di facile lettura, il pick and roll "1-2" in cui Kobe blocca per Fisher: soluzione che i gialloviola normalmente adottano per far sì che Bryant possa guadagnare mezzo passo sul proprio marcatore diretto, attaccandolo mentre si sbilancia per recuperare dopo aver aggirato "Da Fish".
In un qualsiasi pick and roll come questo, di solito, una difesa accorta come quella dei Celtics disporrebbe un aggiustamento preventivo, una pre-rotazione di un lungo a coprire il lato destro completamente sguarnito: proprio perché, quando lo giocano i Lakers, il movimento del play è quasi sempre un'esca, e l'obiettivo primario è mettere la palla nelle mani di Kobe ad ogni costo, tutte le attenzioni dei cinque uomini in biancoverde sono concentrate su quest'ultimo, senza quasi prendere in considerazione il fatto che, in realtà , la palla è in mano a Fisher, e quindi fino al suo scarico rimane lui il giocatore più pericoloso.
Rondo, l'uomo del portatore di palla, si "allaccia" a Kobe per ritardare la sua uscita verso destra; mentre Allen non ha alcuna intenzione di effettuare un cambio difensivo, e continua a difendere la linea di penetrazione come se Fisher dovesse inevitabilmente, prima o poi, servire il suo ben più quotato compagno: il co-capitano dei Lakers si mette invece in proprio, sfruttando l'intera metà del campo lasciata a sua disposizione per mettere a segno un palleggio arresto e tiro in beata solitudine; il disperato tentativo di recupero di Pierce non arriva nemmeno vicino a disturbarlo:
Passano pochi minuti e la situazione si ripete pari-pari: ancora gioco a due tra Bryant e Fisher, ancora una difea preoccupata più di quello che può fare Bryant dopo aver ricevuto un (eventuale) scarico piuttosto che quello che sta per fare Fisher con la palla in mano:
Allen rimane nuovamente con Bryant, mentre Rondo, questa volta, prosegue il movimento: essendo passato ampiamente al di sopra del blocco, sempre per il fatto di aver pensato più a disturbare la traiettoria del movimento di Bryant che a difendere su quello di Fisher, si trova a dover inseguire quest'ultimo da due metri di distanza, e nemmeno i suoi soprannaturali mezzi fisici gli permettono di recuperare in tempo, concedendo un altro comodo tiro in un'altra situazione in cui, come nel caso precedente, l'aiuto arriva troppo tardi per poter essere utile.
I Lakers hanno sfruttato questo gioco continuativamente negli ultimi 5' di partita, riuscendo quasi sempre a farne uscire un buon tiro dopo le precipitose rotazioni difensive dei biancoverdi (come una tripla in solitudine di Artest dall'angolo, o una penetrazione di Odom dallo stesso angolo), e i tiri comodi concessi in queste occasioni hanno creato un cuscinetto di punti insormontabile, lasciando i padroni di casa ad un passo dal pareggio, tanto agognato per tutto l'ultimo periodo ma mai raggiunto.
In Gara4 i Celtics butteranno sul parquet una prevedibile reazione d'orgoglio, e c'è da aspettarsi soprattutto un Paul Pierce determinato a sparare ad alzo zero: il go-to-guy dei Celtics finora non è stato un fattore, e non lo può accettare, soprattutto sapendo che contro questa rinnovata difesa gialloviola è necessario che almeno due dei big four abbiano una serata prolifica quanto a punti segnati per poter sperare in una W a cui non si può rinunciare.
I Lakers, nel frattempo, si godono la statistica secondo cui, da quando è stato introdotto nelle Finals il formato 2-3-2, la squadra che ha vinto la terza partita dopo un 1-1 iniziale ha sempre portato a casa l'anello, in 10 occasioni su 10.