Le ambizioni degli Hawks

Jamal Crawford, ottima addizione dal mercato estivo…

Estate del 2005. Gli Atlanta Hawks hanno appena archiviato la peggior stagione della loro storia, 13 vittorie al fronte di 69 sconfitte, Mike Woodson sembra lontanissimo dall'aver ereditato i pregi del suo mentore Larry Brown, ed al draft del 28 Giugno, il general manager Billy Knight ritiene rinunciabile il talento di Chris Paul e Deron Williams, preferendo loro il prodotto di North Carolina Marvin Williams.

Autunno 2009. Quattro abbondanti anni dopo.
Il 20 Novembre, l'unico giocatore superstite di quella sciagurata stagione, schiaccia a fil di sirena il tap-in che dà  agli Atlanta Hawks la loro settima vittoria consecutiva, undicesima complessiva su tredici incontri disputati.

Più o meno contemporaneamente, la lega ed i suoi addetti ai lavori sembrano prendere atto della maturità  di questo team, snobbato da chiunque fino a pochi mesi prima.

Le prime pagine di quotidiani e siti specializzati sono tutte per gli Hawks, i power rankings ad ogni angolo del paese li piazzano nella top three della lega. La miscela che fino ad un paio di mesi prima era un dimenticabile insieme di talenti assemblati male, ed allenati peggio, è esplosa.

E' stato un cambiamento davvero così repentino? No di certo.
Gli Hawks migliorano silenziosamente il proprio bottino di vittorie, da quattro stagioni consecutive.

Vi è stata una rivoluzione tattica e a livello di roster? Ancora no.
Mike Woodson siedeva sul pino della Philips Arena nella già  citata stagione 2004/2005, e le modifiche al roster non sono state apportate più di due o tre a stagione. Si è trattato di semplice maturazione. Lenta quanto si vuole, ma inesorabile. Nella gestione della franchigia, nella guida tecnica e nei singoli giocatori. Gli Atlanta Hawks sono diventati a tutti gli effetti una squadra.

Hanno un leader, quel Joe Johnson che ha messo tutti in allarme annunciando di non voler rinnovare il contratto prima della prossima estate, quando esplorerà  il mercato dei free agents.
Hanno una stella in rampa di lancio come Josh Smith, che ha finalmente abbandonato velleità  da tiratore scelto, una sola tripla tentata dall'inizio della stagione, per puntare forte sul proprio arsenale all'interno del pitturato.

Hanno un sesto uomo con punti nelle mani, Jamal Crawford, arrivato in estate all'ombra delle grandi manovre di mercato, e che sembra poter finalmente puntare ai primi playoff della sua carriera.

Hanno un rispettabilissimo reparto lunghi, con Josh Smith e Al Horford lanciati a gran velocità  verso la status di stelle, un Zaza Pachulia a dare respiro e a fare il lavoro sporco, e il duo Collins-Smith a metterci l'esperienza che non guasta mai. Un cocktail perfetto, o quasi.

Pur con i crediti guadagnati in questo mese di regular season, infatti, nessuno crede veramente che gli Hawks voleranno alto fino a primavera. Perlomeno non così alto.

Celtics, Cavaliers e Magic, pur con gli inceppi di chi ha cambiato pedine importanti nei mesi caldi, seguono di un incollatura, ed al primo segno di cedimento faranno valere carisma ed esperienza, relegando Atlanta a posizioni di classifica meno nobili. Lo faranno, certo, ma non l'hanno ancora fatto.

I biancoverdi di Beantown ne hanno avuto l'occasione per primi, il 13 di questo mese, quando al TD Banknorth Garden sono sbarcati Joe Johnson e soci. Pur trattandosi ancora di acerba e precoce stagione regolare la sfida non poteva non far tornare le memorie alla serie di playoff di due anni fa, quando i Falchi, eroici tra le mura amiche nel trascinarsi a Gara7, si trasformavano in impauriti pulcini quando l'atmosfera si faceva irlandese.

Le cose sono cambiate però, e la spavalderia sfoggiata dagli Hawks sul campo dei campioni NBA 2008 ne è stata il sintomo più inconfutabile. Gli undici punti di margine, il dominio in quel pitturato che doveva essere il tallone d'Achille del sottodimensionato frontcourt georgiano, la vu doppia finale. Altri sintomi. La NBA non può più far finta di niente.

Gli Hawks non sono certo una corazzata costruita per asfaltare ogni avversario, anzi. I difetti non le mancano e la contraddistinguono ormai da un paio di stagioni.

Il book degli schemi offensivi ha più le sembianze di una fanzine amatoriale piuttosto che dello spesso ed elaborato prodotto di uno staff di allenatori NBA. Gli isolamenti per Joe Johnson, ed i relativi derivati, restano il leit motiv di diversi frangenti del gioco di Atlanta, e l'identità  tattica della squadra è ancora sospesa nel limbo, tra il naturale gioco di corse, contropiede e conclusioni spettacolari, ed un timbro più difensivo, istintivamente cercato dal Woodson.

La terza prevedibile sconfitta, giunta a New Orleans nella seconda partita di un back to back, è la seconda che si accompagna alle attenuanti del calendario. Il -20 di Charlotte, infatti, era arrivato dopo tre trasferte ad ovest in quattro giorni, ed obiettivamente, non poteva certo far pensare ad un'effettiva superiorità  delle Linci del North Carolina.

A conti fatti, quindi, i Lakers sono stati gli unici a sottolineare le distanze tra gli Hawks ed il top della lega, in maniera peraltro piuttosto netta, e l'avvicinarsi di incontri quali la sfida agli Orlando Magic, o il doppio scontro con i Cleveland Cavaliers di fine Dicembre, scoprirà  le carte del team, rivelandone le reali ambizioni e l'effettiva differenza tra i Falchi e l'elite della Eastern Conference.

Andranno oltre il secondo turno di playoff raggiunto lo scorso Aprile, o verranno spazzati via una seconda volta senza possibilità  di replica?

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