Il guerriero Luis Scola sta cominciando a sfornare doppie doppie con la consueta continuità .
L'avventura continua, la nave è salpata verso orizzonti che la squadra intende quanto prima raggiungere, i Rockets remano forte, guardando tutti dalla stessa parte, accorrendo immediatamente in aiuto di qualsiasi compagno rimanga in difficoltà . Solo l'unità , difatti, potrà portare questa franchigia dove molti non credono possa approdare.
La fantasiosa introduzione non fa che ricordarci quale sia la vera identità di questa squadra, che in ogni recap letto nel web o sulla carta vede cominciare la descrizione delle sue imprese attraverso la continua citazione degli assenti, quasi a sminuire il lavoro di chi in campo ci scende quasi ogni sera, il quale, perennemente con le spalle al muro, cerca di dare il meglio di sé.
E' la fotocopia della formazione riassestata da coach Adelman da un certo punto degli scorsi playoffs in poi, quella senza centri di gravità ad alto rischio d'infortunio e senza superstars con problemi di carattere, quella che si diverte da matti correndo, e che ha fisso nella mente un concetto molto chiaro: ogni elemento, nella sua individualità , è minore rispetto all'entità del gruppo.
E la chimica di squadra, come stanno dimostrando i risultati, non fa che aumentare.
I risultati
Houston vs Oklahoma City 105-94 (Ariza, Landry 21)
Houston @ Dallas 103-121 (Brooks 22)
Houston vs Memphis 104-79 (Scola 22, 15 reb.)
Houston @ Sacramento 100-109 (Ariza 28)
Houston @ L.A. Lakers 101-91 (Brooks 33)
Houston @ Phoenix 105-111 (Landry 27)
Houston vs Minnesota 97-84 (Scola 20, 16 reb.)
Record: 7-5
Classifica:secondo posto della Southwest Division
Back in L.A.
Per la prima volta dalla scorsa primavera, Houston ha fatto ritorno sul luogo del misfatto, ovvero dove era stata eliminate senza praticamente entrare in partita in quella famigerata gara 7 delle semifinali della Western Conference.
Lo Staples Center, ancora grato nei confronti di uno dei protagonisti della cavalcata giallo-viola, ha reso tributo a Trevor Ariza con una standing ovation, sfoderata in occasione della consegna dell'anello di campione Nba all'ex Lakers, che per una notte ha esibito il prezioso riconoscimento davanti ai compagni di squadra.
E gara 7 del 2008, per un momento, era parsa ripetersi, in quanto i Rockets hanno atteso qualche minuto di troppo, prima di entrare mentalmente in campo. I troppi turnovers del primo quarto, sette, sono stati la statistica principalmente responsabile del 16-2 con cui i Lakers si sono imposti sin dalle prime battute, facendo presagire un'altra potenziale batosta losangelena fortunatamente sventata per tempo. Houston ha prestato maggiore attenzione al trattamento della palla, perdendo solamente sei possessi in tutti e tre i quarti rimanenti, e la chiave di volta dell'inerzia di gara è stata rappresentata dai rimbalzi, categoria vinta addirittura per 60-38 nonostante la presenza di Andrew Bynum a centro area, e motivazione per la quale tantissimi secondi possessi sono stati opportunamente trasformati in canestri importanti per prendere il largo nel secondo tempo.
Se offensivamente il miglior giocatore di serata è stato Aaron Brooks, 33 punti (massimo in carriera), bravo ad arginare le contromisure fisiche utilizzate da Phil Jackson tentando con notevole successo diverse conclusioni da oltre l'arco senza dimenticarsi di coinvolgere i compagni, dall'altro lato del campo è stato determinante il contributo dell'ex di turno, proprio Ariza, che ha tenuto Kobe Bryant a percentuali di tiro molto basse (5/20 dal campo) e soli 18 punti totali. Lo stesso Trevor, ha tuttavia giocato male in attacco, probabilmente travolto dalle emozioni derivate dai festeggiamenti del titolo.
La panchina, complice anche un David Andersen da 19 punti, ha recuperato dalla brutta prestazione di poche ore prima contro i Kings (4/24 al tiro sommando le seconde linee) combinando per 48 punti e 28 rimbalzi, vincendo nettamente il confronto statistico con il pino giallo-viola.
Mai ritorno a Los Angeles fu così felice.
Tuttavia, vincere contro le grandi squadre, per quanto soddisfacente sia, non deve portare via la concentrazione dagli esami da affrontare contro le piccole, e finora i Rockets hanno risposto presente: hanno sconfitto Memphis e Minnesota concedendo loro 81.5 punti a gara, dominando il pitturato come dimostra la media di 21 punti e 13 rimbalzi mantenuta da Luis Scola, così come dai 10 punti con 11 carambole e 4 palloni rubati messi assieme dal sempre fondamentale Chuck Hayes contro i T-Wolves. "Se accumuliamo diverse vittorie contro le squadre meno forti di noi, possiamo sicuramente compilare un record che non potrà tenerci fuori dai playoffs.", sostiene l'argentino.
Dichiarazione magari scontata, ma non troppo, dal momento che negli ultimi due anni Houston ha dovuto sopportare qualche sconfitta imbarazzante da squadra con bilanci davvero negativi, che alla fine dei conti sono costate una posizione migliore nella griglia primaverile.
The dayz of old
Tutti i nostalgici che di notte sognano ancora di assistere ad una partita di Hakeem Olajuwon, Sam Cassell e Robert Horry, sono stati parzialmente accontentati da una simpatica iniziativa decisa ad inizio stagione dalla franchigia, ovvero quella di creare, anche per questioni di marketing, una alternate jersey di cui Houston sinora non disponeva, o meglio, ne aveva una, ma era esattamente identica a quella di metà anni novanta. Quella nuova riprende i temi ed i colori della maglia da trasferta, quella tutta rossa, con la differenza che i bordi e numeri bianchi sono stati sostituiti dal colore giallo, presente anche nelle bande laterali, appositamente abbinati per ricreare quella sensazione di clutch city che tanto manca a questa città dai tempi che furono.
La prima esibizione stagionale del completo è andata in onda nella sfida interna contro Oklahoma City, in una partita condotta dai Rockets senza troppi patemi, anche per l'eccessiva solitudine vissuta dalla coppia Durant/Westbrook, troppo poco per arginare la completezza di squadra sciorinata in più occasione da Houston, che continua a mandare in doppia cifra diversi elementi del roster ed a toccare quota 100 punti sostanzialmente ad ogni occasione.
I giovani rampanti appartenenti a quelli che erano i Sonics hanno siglato 60 punti in due, ma il resto della squadra non ha superato il 33% dal campo, mentre Houston ha risposto con due giocatori a quota 21, Ariza e Landry, con uno Scola ancora in vena di doppia doppia (19+10), il rookie Budinger ne ha aggiunti 16 dalla panca, e Brooks ha concluso con 11 una partita che ha visto i Rockets mettere a referto ben 26 assists totali, altra chiave di lettura quando si cercano i motivi dell'aumentata prolificità offensiva.
Nota di colore, in tutti i sensi: se il giallo mescolato al rosso ha fatto tornare alla memoria Hakeem e soci, il caso ha voluto che per la prima esibizione con tale uniforme, seduto sulla panchina avversaria vi fosse un ex giocatore proprio di quell'epoca. Scott Brooks, allenatore dei Thunder, a quei colori non era affatto estraneo, essendo stato a roster come point guard di riserva nell'anno del primo titolo, il 1994. Scherzando sull'argomento, Scott ha dichiarato di essere stato molto onorato del fatto che i Rockets avessero deciso di rendergli tributo in quel modo al suo ritorno in città .
Le sconfitte
Durante questo periodo, c'è stata occasione per vedere i Rockets di fronte agli attuali leader di division, i Dallas Mavericks, squadra partita molto forte ed affermatasi come leader del branco, anche se la Southwest si presenta quale raggruppamento tutto sommato equilibrato e non a senso unico come lo è stato nel recente passato, complici anche le disgrazie di San Antonio.
Davanti ad un avversario che si propone come favorito per vincere la divisione, Houston ha giocato una buona partita fino all'intervallo, quand'era riuscita a condurre il punteggio per 61-57, finendo per cadere sotto i colpi di un quintetto Maverick molto bilanciato a livello di canestri, ma soprattutto a causa dell'indemoniato Jason Terry, presente per 25 minuti sul parquet e capace di mettere in maniera pressoché istantanea 24 punti sbagliando un solo tiro dal campo, infilando peraltro tutti e nove i tiri liberi tentati in seguito alle sue scorribande in area.
Due parziali arrivati in ciascuno dei due quarti finali a favore di Dallas, hanno fatto il resto, in una gara che Eric Dampier ha letteralmente dominato sotto i tabelloni.
Gli stessi problemi difensivi che avevano caratterizzato la sfida contro i Mavs, sono tornati d'attualità qualche giorno dopo alla Arco Arena, quando i Rockets sono incappati nella mini-striscia vincente dei Kings. Non sono bastati i 28 punti, 5 assist e 5 palloni rubati da Ariza, come non lo sono stati i 23 punti di un Shane Battier che ha infilato tripla dopo tripla nel quarto periodo nel tentativo di recuperare il punteggio, ed i 20 con 9 rimbalzi di uno Scola sempre fondamentale.
Houston ha concesso la bellezza di 63 punti in un primo tempo determinante per la negatività del risultato finale, anche se ad un certo punto la rimonta era arrivata ad un solo canestro di distanza, per poi ritrovarsi vanificata dalle triple di Beno Udrih, dalla doppia doppia di Jason Thompson con tanto di career high (27 punti), ed un Andrei Nocioni capace di far male con continuità da oltre l'arco, creando evidenti problemi in termini di marcatura.
Di differente natura invece la sconfitta arrivata due nottate fa contro i Phoenix Suns, in una gara dove il primo tempo è stato giocato in maniera davvero ottimale dai ragazzi di Adelman, prima di concedere un letale rientro al team del deserto. Il confronto, come presumibile visto lo stile di gioco delle due compagini, è stato frizzante, energico, ha visto ben 18 cambi di leadership nel punteggio e risposte che sono arrivate colpo su colpo, fino a quando Houston non si è trovata a dover rimpiazzare l'assenza di un determinante Chuck Hayes, pedina difensiva indispensabile ritrovatosi con troppi falli a carico troppo presto, dando il via al banchetto di Amare Stoudemire, sul quale sono immediatamente virati tutti i possessi più importanti del terzo quarto.
Nota positiva di serata, i 27 punti di Carl Landry, che sta mantenendo delle medie altissime se rapportate ai minuti che passa in campo. Per lui, massimo in carriera.
Dalla sconfitta contro i Suns emerge ciò che era già a conoscenza dello staff. La squadra ha una chimica invidiabile, di altissimo livello, è altruista ed operaia, e lavora sodo senza che i singoli siano eccessivamente in evidenza. Ma quando, in certi momenti di alcune gare, serve mettere i canestri decisivi, manca ancora una figura fissa, quella a cui rivolgersi quando il pallone scotta, quella che nel momento topico, segna con continuità pareggiando le sorti, o mandando avanti la squadra di un punto o due. Da questo punto di vista, è innegabile la mancanza di Yao Ming e Tracy McGrady.
Il roster
Su T-Mac erano uscite indiscrezioni, attraverso delle dichiarazioni fatte dal giocatore al sito yahoosports.com, nelle quali si leggeva l'intenzione di rientrare in occasione della partita che i Rockets hanno giocato questa notte al Toyota Center contro Minnesota.
Da Daryl Morey sono invece arrivate notizie più caute e realistiche, che rispecchiano ciò che si è detto finora, ovvero che prima del nuovo anno, potrebbe non essere il caso, anche se è confortante sapere se Tracy è ben avanti rispetto alla tabella di marcia di recupero dall'operazione chirurgica sostenuta al ginocchio, la stessa che ha messo in pericolo, se non addirittura limitato, le carriere di tante stars della Nba. Ad ogni modo, il 23 novembre c'è l'appuntamento dal medico per degli esami, dopodiché la data del ritorno in azione di sleepy eyes potrà essere calcolata con maggiori certezze.
Fallito l'esperimento Pops Mensah-Bonsu. Dopo aver ricevuto un contratto da free agent in estate, il centro africano è tornato all'ovile, essendo stato tagliato e conseguentemente richiamato dalla sua ex squadra, i Toronto Raptors. L'assenza di centimetri a centro area, dunque, rimane una delle grane più imminenti da risolvere per rendere completo il panorama, e Morey è sempre all'erta nel ricercare qualcuno che possa contribuire a tale causa. Il mercato, tuttavia, non offre tantissimo.
Joey Dorsey ha infine confermato i sospetti che lo circondano da quando è stato scelto, ovvero che le prestazioni animalesche delle sue summer leagues non riescono ad essere tradotte nell'ufficialità . Secondo il coaching staff Dorsey, che di potenziale ne avrebbe, non è ancora pronto a scendere in campo in Nba, ed è stato spedito a farsi ancora le ossa nella Nbdl, nei Vipers di Rio Grande Valley, con i quali aveva già giocato 7 partite nel corso del 2008.
What's Next
Da qui a fine novembre i texani giocheranno 5 partite, due delle quali molto importanti per le sorti della division. Si parte con una trasferta ad Atlanta, contro quella che è la sorpresa della Eastern Conference, la quale, al momento in cui scriviamo, ha collezionato solamente due sconfitte. Seguiranno tre gare casalinghe, nelle quali verrà ricreato il Texas Triangle, con Dallas e San Antonio a far visita al Toyota Center assieme a Sacramento, per poi chiudere il mese con una trasferta ad Oklahoma City.