Focus: Ron Artest

Ecco Ron Ron con la sua nuova maglia!

Un' avvertenza preliminare: il redattore del presente articolo considera l'asse Rockets-Lakers come luogo di un sostanziale scambio, sia pure tra free agents. Non è un punto di vista innovativo o rivoluzionario; è probabilmente il pensiero dei più.

Questa evidente equazione a due incognite, sarà  per tutti facilmente risolvibile soffermandosi sulla lettera A della sezione Players di nba.com. Con il senno di poi, si può fantasticare su quanto questo scenario potesse essere già  chiaro a qualcuno anche lo scorso 12 maggio, data dell' ultimo faccia a faccia tra Ariza ed Artest con le vecchie divise indosso: un grande Mutombo, ma non potè bastare.

Di Trevor Ariza, neo-titolato ed ormai abitualmente accostato a pippeniane prodezze, è stato detto tanto, e scritto ancor di più: l'età , decisamente dalla sua parte fin dai tempi dei Knicks, di cui è attualmente il più giovane rookie nella storia, ci permette di dare per scontato che ne sentiremo parlare ancora per parecchio; le caratteristiche di gioco (più che i numeri), rendono Houston, ai nostri occhi, come una delle franchigie da battere, ma solo sulla carta.

Opportuno, in questa sede,non menzionare gli infelici casi di Yao Ming e Tracy Mc Grady, specie considerando che il solo lieve velo d'incertezza legato ad Ariza è rappresentato proprio dai problemi fisici del ragazzo, decisamente sopra la media a fronte dei suoi 24 anni.

Senza che ci sia bisogno di paragoni (Artest ed Ariza hanno, per altro, firmato contratti di uguale durata e percepiranno entrambi circa 6 milioni di dollari annui), la qualità  di Ron Artest è da un decennio cosa nota, nonché motivo di garanzie sul parquet: per questa ragione, pur privandosi di un uomo essenziale quale Ariza, i Lakers hanno scelto "a scatola chiusa", andando a pescare un difensore come pochi, che ha un certo peso anche nella fase offensiva ed è, a tutti gli effetti, un veterano dal sicuro impiego nel quintetto titolare.

Qualche motivato dubbio persiste sul fatto che non sia, storicamente, un vincente. Nella romanzata biografia che Wikipedia ha appositamente costruito, è tracciato, di Artest, un ritratto di sconcertante inutilità , come di regola più tendente al gossip che al puro dato sportivo: dai problemi d' infanzia ai problemi caratteriali, dalle "frasi celebri" al cataclisma di Auburn Hills (novembre 2004), passando per le più o meno comiche fatiche da latin lover e per il numero 37, scelto in onore di Michael Jackson.

Si potrebbe andare ancora più a fondo sul personaggio, ricordandone l'odio per la parte cestistica di Nuova York pur essendovi nato (quartiere di Queensbridge, zona malfamata di Long Island), ed avendo lì frequentato high school (la LaSalle Academy di Manhattan) e college (notoriamente, St. John's).

L'allievo di coach Mike Jarvis (vero padre putativo del basket di Artest) non smette di portare rancore alla franchigia di D'Antoni, all'epoca allenata da Jeff VanGundy, che scelse al suo posto il 2,18 francese Frederic Weis. Il general manager dei Knicks di allora, Ed Tapscott, perse il proprio incarico a vantaggio di Scott Layden.

Simili notizie, tuttavia, non risultano affatto funzionali alla comprensione di ciò che potrebbe significare l'avvenuta firma di Ron per i campioni in carica, che, perso Ariza e con un Odom quanto mai incerto, avranno in Artest un' arma fondamentale, anche in funzione di una "big three"
con Bryant e Gasol.

Soprattutto, non contribuiscono a spazzare via etichette di sorta, come quelle affibbiate -anche ad Artest- in funzione della dicotomia tra vincenti e perdenti, per togliersi di dosso le quali gente del calibro di Garnett ha dovuto aspettare anni ed anni.

Si aggiunga che il giocatore è, al momento, privo di anelli, e la destinazione da lui prescelta (con buona pace dei Cavaliers), è ancora una prima opzione per chi voglia coronare una carriera con il conseguimento del titolo, si pensi ai tentativi riusciti di Richmond, Rice, Rider e a quelli, fallimentari, di Payton e Malone.

E' operazione consueta, quella di teorizzare le "motivazioni" di un atleta ad una nuova esperienza: Artest ne ha in abbondanza, se si considera il tenore delle squadre in cui ha militato.

Fatta eccezione per gli ultimi Rockets, pur sempre mutilati, e per una mitica annata ai Pacers di Reggie Miller (quasi al canto del cigno) e Jermaine O' Neal, il bilancio di Artest in post-season è assai deludente: cinque apparizioni in dieci annate, con relative eliminazioni al primo turno; se la stagione di Houston è entrata, per certi aspetti, nella piccola storia recente della franchigia texana, è anche vero che l'anno di Artest è stato "di transizione".

L'approdo in gialloviola è, sostanzialmente, l'opportunità  di redenzione per un'intera carriera, ancorata a quella vecchia usanza dei cestisti di passare per il college, piuttosto che dichiararsi eleggibili all'immediato conseguimento della maggiore età .

Ma anche definendo il percorso "cronologicamente", pare di poter affermare che Artest abbia ancora molto da chiedere alla pallacanestro: sfiorò appena le Final Four universitarie; non vide una serie di playoff fino al 2002, grazie al passaggio a stagione in corso dai derelitti Bulls di Tim Floyd (escluso, ovviamente, il compagno "storico" Elton Brand, suo collega di gioco in decine di partite delle leghe AAU) ai lanciatissimi Pacers di fine/inizio millennio.

Una parentesi d'obbligo per capire il contesto in cui Ron si trovava prima di Indiana, e la relativa consistenza della squadra: quei Bulls erano arrivati ad essere chiamati Bullshit dai propri tifosi; quanto al rapporto con l'allenatore Floyd, si ricordano schermaglie su questioni di abbigliamento, con il coach a questionare sulla moda della fascetta elastica di Ron, in voga in quel periodo, e su una tuta da riposo bianca per la quale Artest venne redarguito perchè "simile ad un coniglio". Anche ai Kings trovò una situazione relativamente competitiva, nell'oggettiva impossibilità  ad arrivare fino in fondo.

Della rissa con Detroit ha senso parlare solo in questa chiave: era un Artest da più di 24 punti a partita, sebbene con soli 7 incontri disputati dall'inizio della regular. In materia di riconoscimenti individuali, Artest non è senz'altro stato agevolato dai record dei teams in cui ha militato (di cui è stato, di regola, tra i migliori), ovviamente condendo il tutto con qualche alzata d'ingegno sufficiente a scandalizzare l'opinione pubblica.

Il bilancio al 2009 recita: 17 minuti di All Star Game 2004, che come si è detto fu annata memorabile, contornata dal premio di Defensive Player of the Year, primo quintetto difensivo e terzo quintetto assoluto. Per il resto, un altro primo quintetto difensivo (2005), e due volte All-Defensive Second Team, di cui l'ultima proprio nella passata stagione.

Per ciò risulta quasi necessario sospendere il giudizio sull' approccio più o meno vincente del giocatore di Saint John's, in attesa, se mai, di riprenderlo al termine della sua esperienza ai Lakers, che paiono a tutti gli effetti volerlo blindare.

Difficile che ritrovi Odom, altra "vita parallela", con Brand, fin dai tempi dell'università ; difficile che non giochi per almeno trenta minuti a incontro; facile pronosticarne statistiche al tiro quantomai consuete: intorno al 75% ai liberi, poco più del 40% dal campo e al limite del 40% da 3.

Soprattutto porterà , oltre alla doppia cifra assicurata, due recuperi di media garantiti ogni sera, che fanno davvero paura se uniti al Bryant più jordaniano di sempre, ovvero un giocatore che negli anni è migliorato esponenzialmente anche in difesa: si ha di fronte, contando Gasol, una "Defensive Big Three" (se il concetto della Big Three mantiene una propria validità , come nel caso di triadi alla Garnett-Allen-Pierce).

Quella dei palloni rubati è, in effetti, un marchio di fabbrica di Ron Ron, spesso e volentieri in posizioni di rilievo nelle specifiche graduatorie. Non è uno di quegli acquisti altisonanti in fatto di statistiche o somme versate; non si tratta della più tipica delle ali o delle guardie: rientra però in quel novero di acquisizioni "preziose", atte a spostare gli equilibri in vista, almeno , di una finale di Conference, come ci si attende da Wallace a Boston o da O' Neal a Cleveland (nell'ambito di un mercato ricco ed interessante di cui, per motivi di tempo e spazio, volutamente non parleremo; vedasi Randolph a Memphis o Jefferson a San Antonio, per non parlare di Turkoglu a Toronto o di Marion a Dallas).

Quello di Artest sarà  un contributo, in definitiva, non desumibile da numeri e percentuali, ma da valutare sul piano dell'efficacia e del lavoro. Un contributo "quadrato", come la stazza di Artest lascia intuire: una statura che, secondo fonti più o meno autorevoli, si aggira tra i 199 ed i 201 centimetri, uniti a 110/112 chilogrammi, per un vero e proprio fisico da "tweener", ovvero un "tre" che non gioca "quattro" per motivi di centimetri, come venne definito nel suo passaggio tra i professionisti.

Una precisazione per chi possa aver legittimamente storto il naso alla lettura del termine "guardia", qualche rigo sopra: per non sminuire le caratteristiche offensive di Artest, va ricordato che già  al college fu uno di quegli ibridi che finiscono sotto il nome di "point-forwards", vale a dire ali dotate di visione di gioco, in grado di portare palla oltre la metà  campo; addirittura all'epoca era più atto ad attaccare il canestro in penetrazione frontale o sulla linea di fondo e, sebbene già  forte fisicamente, si diceva di lui che dovesse direzionare i propri sforzi ad un miglioramento in difesa, sua unica pecca.

Ognuno di questi elementi contribuisce ad alimentare l'idea di un'atipicità  del giocatore, unico nel suo genere e, proprio per questo, preziosissimo. Tutti i meriti menzionati sono da ascrivere, ancora una volta, a Mike Jarvis, che ne ha reso più efficace il palleggio, meno avventuroso il passaggio, e ne ha, per quanto possibile, migliorato il tiro da fuori.

Di St. John's, Ronald William Artest è anche il secondo giocatore nella storia ad aver realizzato una tripla-doppia, in occasione di una partita contro Seton Hall. A parte la significativa discrepanza tra il difensore del 1999 e quello attuale, questo è ciò su cui potranno contare i Lakers; un giocatore gonfio di motivazioni. Dieci anni esatti dopo.

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