NBA Finals: X & O Secrets

Kobe ha trovato l'ispirazione per guidare L.A. al titolo

Ripercorriamo per l'ultima volta alcuni aspetti decisivi delle Finals, prima di riporre definitivamente nel cassetto la stagione 2008/2009 e concentrare l'attenzione sugli esiti del draft e sulla free agency.

Gara 1

Orlando si arena contro una sorprendente difesa dei padroni di casa, che annullano tutte le loro più rodate armi offensive: l'early offense, i pick and roll centrali con Howard e le giocate in post basso di Howard stesso; Superman, in particolare, dopo aver banchettato su Ilga e Varejao trova incredibilmente indigesti i centimetri e la velocità  di piedi di Bynum e Gasol, che lo tengono lontano dalla sua “comfort zone”.

Howard tocca 73 volte il pallone a difesa schierata, trovandosi marcato 41 volte da Bynum (7 punti, 1/5 dal campo e 8 liberi guadagnati) e 27 da Gasol (5 punti, 0/1, 8 liberi), mentre Jackson sceglie di raddoppiare DH12 soltanto 5 volte.

I Magic chiudono la gara con il 35% nel tiro da tre punti (più o meno in linea con la loro media stagionale) ma un angosciante 28% nei tiri da due, che li condanna ad una inevitabile sconfitta.

Dall'altra parte, i Lakers mettono in scena una eccellente prestazione offensiva di squadra, eseguendo a piacimento il piano tattico prescelto: riescono ad imporre un ritmo contenuto (solo 86 possessi) giocando un basket fluido ed efficace (1.16 punti per possesso o PPP), il tutto impreziosito da un sontuoso 40+8+8 (con una sola palla persa) di Kobe Bryant, che sale in cattedra nel secondo e terzo periodo, segnando o fornendo un assist in 44 dei 60 punti segnati dai gialloviola in questi due parziali.

Gara 2

La difesa gialloviola si dimostra nuovamente efficace nel contenere gli avversari, tenuti a 0.96 PPP nonostante i tentativi di Van Gundy di mischiare le carte in tavola, e le giocate di un Rashard Lewis a tratti infallibile; così come in Gara1 niente early offense, poco e niente dai pick and roll Turkoglu-Howard, e pochissimo dalle giocate individuali di DH12: contro Gasol ben 67 palloni giocati e solo 6 punti (2/4 al tiro, 2 tiri liberi); contro Bynum 22 possessi e 3 punti (1/3, 2 liberi).

La difesa dei Lakers sceglie di raddoppiarlo più spesso (17 volte), e soprattutto introduce quello che sarà  un tema difensivo fondamentale: Superman in questa stagione ha fatto notevoli miglioramenti come passatore in situazione statica, ma è ancora molto deficitario sotto questo aspetto quando si mette in movimento, oltre al solito errore tecnico di tenere il pallone troppo basso quando raccoglie il palleggio: gli esterni dei Lakers approfittano di queste carenze attaccando con decisione la palla ogni volta che Howard parte in palleggio dal suo prediletto post basso sinistro, costringendolo a perdere ben 7 palloni.

I Magic, pur faticando in attacco, riescono comunque ad imporre un ritmo di gara più alto (100 possessi esatti), soprattutto grazie ad una straordinaria efficacia a rimbalzo difensivo (conquistando il 90% esatto dei rimbalzi disponibili sotto il proprio tabellone), e costringono i Lakers, dopo la passeggiata di Gara1, a conquistarsi ogni singolo punto con le unghie e con i denti; grande merito, ovviamente, va a Dwight Howard, che si fa perdonare un rendimento offensivo sotto il par dominando la propria area, ripulendo il tabellone difensivo, uscendo a contestare i tiri di Bryant dalla media distanza.

La partita si rivela quindi straordinariamente equilibrata, finendo per essere decisa da alcune giocate individuali (un paio di “jordanate” di Bryant e una cruciale palla recuperata di Fisher sul finto playmaker Redick) e dalla freddezza dei padroni di casa dalla linea della carità  (Kobe, Gasol, Fisher e Odom segnano 16 liberi su 17 tra quarto periodo e supplementare).

Gara 3

Se Gara2 era stata dominata dalle difese, in Gara3 sono gli attacchi a farla da padrone (86 possessi complessivi, esattamente come in Gara1, e PPP di 1.21 per i Lakers e 1.26 per i Magic): Alston è in serata di grazia e sfodera un primo tempo da antologia, i gialloviola sembrano improvvisamente dimenticare i concetti tecnici che avevano permesso loro di annullare il pick and roll di Orlando nelle prime due sfide, e i Magic ringraziano registrando la migliore prestazione balistica della storia delle Finals con il 62% dal campo (e il 70% esatto nei tiri da due, una cifra clamorosamente stridente con la prestazione deficitaria di Gara1).

I Lakers, nonostante questa prestazione epocale dell'attacco dei Magic, riescono comunque a tenere botta offensivamente, e cedono solo nel finale a causa dei liberi sbagliati da Kobe (3/7 nel secondo tempo di Gara3: 32/35, per un 91,4% degno di Mark Price, nel resto della serie) e dei troppi tiri presi (e sbagliati) da Ariza (4/10 dal campo nel terzo e quarto periodo), “battezzato” in modo sin troppo evidente dalla difesa dei padroni di casa: una scelta che si rivelerà  quantomai controproducente nelle due gare successive.

Gara 4

La quarta sfida è quella decisiva, e le squadre ritrovano l'efficacia difensiva di Gara2, segnando rispettivamente 1.06 (Lakers) e 0.96 PPP.

Dwight Howard incappa nuovamente in una serata disastrosa in attacco (10 punti e 4/9 dal campo in 58 possessi contro Gasol, 5 punti e 1/3 in 28 possessi contro Bynum, oltre a 7 palle perse e 5/12 ai liberi), ma sfodera una prestazione impressionante sotto il proprio tabellone (un record delle finals con 9 stoppate, oltre a 15 rimbalzi difensivi e 21 totali).

Orlando tiene a lungo le redini del confronto, prendendo il largo nel secondo quarto dopo una prima frazione in cui solo un Kobe dominante (13 punti, 4/7 dal campo e 5/5 dalla linea) aveva tenuto a galla i Lakers; proprio nel loro momento migliore, con un solido vantaggio in doppia cifra a metà  del terzo periodo, i Magic adottano un improvviso cambio di strategia.

Van Gundy passa all'improvviso ad una inattesa zona fronte pari: l'idea è quella di “raffreddare” la prevedibile sfuriata di Kobe, togliendogli la palla dalle mani ed invitando gli esterni (in particolare Ariza, come in Gara3) a prendersi i tiri più pesanti.

Kobe realizza immediatamente la situazione e si posiziona spalle a canestro per proteggere il pallone, spostando i suoi compagni come pedine degli scacchi viventi di Marostica.

Gasol va in lunetta (il punto debole di questo tipo di zona, da cui un lungo con mani educate come tiratore e passatore può punirla), mentre Ariza viene spostato lungo l'arco per garantire una migliore spaziatura.

Nelson raddoppia Kobe, ma il Mamba fa scattare immediatamente la trappola appena preparata: la presenza di Gasol sulla “top of the key” preoccupa e distrae Turkoglu, e Ariza ha metri di spazio a disposizione. In questo caso il californiano sceglierà  di partire in palleggio prendendo in contropiede il precipitoso tentativo di recupero del turco, guadagnandosi due punti nel pitturato.

La situazione tattica è esattamente identica alla precedente, e si sviluppa nello stesso modo: i Magic si ripresentano con lo stesso fronte difensivo, e ai Lakers non sembra vero di poterlo affrontare allo stesso modo, con un postup di Kobe e allargando gli esterni mentre Gasol taglia in lunetta.

Secondo lo stesso copione visto in precedenza, l'esterno più vicino a Kobe lo raddoppia rapidamente: mossa suicida, perché chiaramente riconoscibile e prevedibile per il #24; la palla finisce direttamente ad Ariza, e la tripla va immediatamente a segno.

Van Gundy insiste ancora sullo stesso tema tattico, e anche questa volta ne paga le conseguenze a carissimo prezzo.

Bryant, nella solita posizione di postup contro un avversario più piccolo e leggero, vede Gasol che prende posizione in lunetta, mentre gli esterni fanno spazio.

Questa volta il raddoppio non arriva, e la scelta di Kobe è affidare il pallone alle capaci mani del catalano, che ovviamente attira subito le attenzioni di tutti i difensori.

Le suddette attenzioni hanno liberato Ariza nell'angolo, e per un passatore come Gasol il passaggio con i tempi giusti è sin troppo facile: altra tripla non contestata di Ariza, a coronamento di un break di 16-3 che toglie l'inerzia della partita dalle mani dei padroni di casa, trasformandola in un'altra sfida punto a punto.

Nelle fasi finali della sfida, nonostante una significativa discrepanza nei tiri liberi tentati (17 a zero in favore dei padroni di casa nel quarto periodo), i Magic non riescono a chiudere i giochi a causa delle palle perse (una ogni cinque possessi) e degli errori in lunetta di Howard e Turkoglu: si arriva così all'ultima azione con i Lakers a -3 e una decina di secondi da giocare.

Van Gundy allunga la difesa e raddoppia immediatamente Kobe sulla prima ricezione, per togliergli la palla dalle mani.

Il 24 se ne libera rapidamente per Ariza, che a sua volta scarica a Fisher, e a questo punto il veterano ha via libera.

Nelson, che aveva ruotato su Ariza, recupera rapidamente su Fisher, ma anziché affrontarlo faccia a faccia sull'arco dei tre punti gli lascia un inspiegabile “cuscinetto” di un paio di metri; non è un tiro semplice per un giocatore mancino (un pull-up jumper da tre andando a destra, dopo aver tirato 0/5 dalla lunga distanza in tutta la gara e un angosciante 23% nel resto dei playoffs) ma è comunque una situazione in cui ad un giocatore sotto al metro e novanta e verticale quanto i Van Gundy viene concessa una chiara e non contestata visuale del canestro… il resto lo sapete già .

Gara 5

I Magic non si arrendono senza lottare, e nei primi 17' di Gara5 mettono sul parquet letteralmente tutto quello che hanno, giocando la miglior pallacanestro offensiva di tutta la serie: Howard supera Bynum con alcune movenze offensive sorprendentemente fluide (5/5 e 10 punti nei 31 palloni giocati contro il giovane collega, nessuna palla persa nel primo quarto e mezzo), gli esterni dei Magic fanno buon uso del pallone (8 assist a fronte di 2 sole palle perse), Lee e Lewis attaccano con aggressività  e lucidità ; nel complesso dei suddetti 17 minuti, i Magic mettono a referto ben 40 punti, ma godono di un vantaggio di sole quattro lunghezze, che verrà  presto spazzato via dal decisivo parziale di 16-0 in favore degli ospiti.

Le implicazioni psicologiche del finale di Gara4 incombono infatti sul parquet, e questa splendida sfuriata ricorda più gli ultimi assalti della cavalleria polacca contro la wehrmacht che non un reale tentativo di ribaltare il destino di una serie ormai segnata: i Lakers, che nei primi turni di questi playoffs avevano spesso mostrato una notevole pigrizia nel chiudere anticipatamente una serie, scendono nell'arena con la cattiveria agonistica di chi sente profumo di metallo prezioso, è ormai consapevole di essere la squadra più forte, e vuole chiudere i conti una volta per tutte; il primo a dare l'esempio, ovviamente, è Kobe Bryant.

Una poderosa stoppata di Howard in una delle sue classiche uscite sul penetratore (in questo caso Ariza) innesca il contropiede dei Magic, opportunità  che in questa serie non hanno quasi mai avuto a disposizione: Alston parte a tutta velocità , Lewis e Turkoglu completano il 3vs1 contro il solo Bryant.

Kobe non si perde d'animo, spinge sull'acceleratore e tallona Skip to my Lou, sconsigliando il layup.

Alston, per evitare brutte figure, scarica quindi a Lewis che lo segue lungo la corsia centrale, ma Bryant mette in mostra i suoi tempi di reazione infinitesimali arrestandosi proprio sulla linea della penetrazione, in posizione perfetta per indurre l'avversario al fallo in attacco. Lewis, che quanto a movenze feline non scherza, riesce in qualche modo ad arrestarsi sulle punte dei piedi, evitando lo sfondamento, ma deve accontentarsi di un jumper in precario equilibrio, che sbaglia, e il rimbalzo è degli ospiti: una prevedibile conclusione ad alta percentuale si è trasformata in un possesso sprecato.


Immagine 1

Siamo proprio nel momento cruciale del parzialone di cui parlavamo in precedenza: i Magic, sopra di uno, si apprestano ad un entry pass per Howard in post basso, reso più efficace dal fatto che il passatore è l'uomo di Odom, e quindi l'area è libera; Bryant, però, ha già  visto il film prima degli altri, e balza sul centro di Orlando.

Howard, che si aspetta che un eventuale raddoppio arrivi proprio da Odom, “big on big”, non si avvede dell'arrivo del mamba, che gli strappa il pallone con irrisoria facilità , incaricandosi personalmente di iniziare la transizione.

I Magic rientrano decisi (ci sono tre maglie bianche tra Kobe e il ferro), ma restano morbosamente attratti dal rettile che si avvicina all'area, finendo per accalcarsi attorno a lui: Lewis è correttamente accoppiato con il #24, ma anche Turkoglu e Pietrus (che dovrebbero identificare il proprio uomo in Gasol e Ariza) ripiegano verso il pitturato, lasciando una prateria a disposizione di Ariza stesso.

Tutto sin troppo facile: Bryant serve la sua ala piccola, che mette a segno la tripla per l'ultimo e decisivo sorpasso di questa stagione NBA, segnando il 42-40 da cui i Lakers non si guarderanno più indietro.

Sono passate solo poche azioni, ma i gialloviola sfruttano ancora l'intensità  del proprio leader per piantare gli ultimi, proverbiali chiodi sulla bara di Orlando: Lewis prova una tripla centrale contestata da Odom, che va larga a sinistra e si traduce in un rimbalzo altissimo.

Howard va alla caccia del pallone, ma Bryant sale più in alto e più cattivo, conquistando un poderoso rimbalzo difensivo ampiamente sopra al ferro, e ripartendo immediatamente in transizione.

In questo caso i Magic non hanno problemi di accoppiamenti difensivi, dal momento che tutti i componenti del quintetto sono già  associati al proprio uomo: a creare un'opportunità  di tiro ci pensa Bryant, che copre il campo in tre falcate, si mette spalle a canestro contro Lee e vira, con un unico movimento fluido, verso il pitturato.

La mossa attrae inevitabilmente l'attenzione di Turkoglu, che per un attimo si concentra esclusivamente sul mamba: Ariza è di nuovo libero, e il passaggio arriva di nuovo puntuale.

Altro canestro dalla lunga distanza per Ariza, altro assist per Kobe, che contribuisce personalmente ai primi 11 punti di questo parziale, con tre assist per nove punti dei compagni e un canestro in sospensione, oltre alle suddette giocate difensive: il degno coronamento ad una prestazione da MVP, per un giocatore che in questa serie ha mostrato una continuità  ed una intensità  nei suoi sforzi difensivi forse addirittura superiore al suo rendimento offensivo (e non è poco, visto che ha messo su cifre eguagliate da pochissimi eletti, come vedremo in seguito), degna del capolavoro difensivo della sua carriera, la celeberrima Gara7 contro i Blazers del 2000.

Varie ed eventuali

In conclusione, per gli amanti delle statistiche, un breve riepilogo di alcuni aspetti numericamente rilevanti di queste Finals.

Non si può evitare di ripensare a queste partite senza rendere onore ai Magic, protagonisti di una splendida cavalcata trionfale fino alle Finals, opponendo ai Lakers una strenua resistenza, nonostante quel che il 4-1 finale suggerirà  ai posteri.

In Florida si sono sprecate i rimpianti per “quel pizzico di fortuna in più che ci avrebbe permesso di essere 3-1 anziché 1-3 dopo Gara4”, ma la fortuna c'entra poco e nulla: se è vero che il layup di Lee in Gara2 ha ballato sul ferro, è altrettanto vero che si trattava di un tap-in volante in controtempo di notevole difficoltà ; se è vero che sarebbe bastato un 50% ai liberi di Howard in Gara4 per assicurarsi la vittoria, è altrettanto vero che DH12 aveva tirato con il 70% nelle tre sfide precedenti, quindi quella brutta serata non ha fatto altro che riportarlo sui suoi valori standard (60% in carriera); d'altronde, se Bryant non avesse tirato con il 50% i propri liberi in Gara3, i Lakers avrebbero potuto aggiudicarsi anche quella sfida.

La realtà  è che i Magic hanno giocato tre partite su cinque in casa, eppure la serie si è risolta con due vittorie agevoli per i gialloviola e tre gare combattute, in cui il 2-1 a favore dei Lakers è perfettamente spiegabile pensando alla differenza di talento ed esperienza (prima di questa sfida il roster dei Lakers vantava complessivamente un centinaio di partite giocate nelle finals, quello dei Magic era composto interamente di esordienti).

Tutte le statistiche di squadra, inoltre, evidenziano una superiorità  dei Lakers lieve ma indiscutibile:
-alcuni commentatori d'oltreoceano hanno parlato dei Magic traditi dal proprio tiro da tre punti (sia come percentuali che come quantità  di tentativi) e dalla lunetta, ma in realtà  i tiri dalla lunga hanno rappresentato il 31% delle loro conclusioni totali (cifra praticamente identica alla loro media, 30.8%, nel resto dei playoffs), realizzandone il 33% (che si colloca praticamente a metà  tra la loro percentuale di 36% ed il 31% concesso dai Lakers ai propri avversari dalla lunga distanza); per quanto riguarda i liberi, il 69% dei Magic non ha fatto altro che confermare un trend già  emerso nel corso dei playoffs (72% dalla linea della carità , terza peggior prestazione del lotto, dopo essere già  stati la peggior squadra della lega in questo fondamentale durante la regular season).

-Nel resto dei playoffs, i Magic sono stati tenuti a meno di un punto di per possesso soltanto in tre occasioni su 19 gare (e tutte in trasferta): i Lakers ci sono riusciti in quattro sfide su cinque (due volte su tre all'Amway), e nonostante una pletora di tiri liberi a disposizione di Orlando: il rapporto tra tiri liberi e tiri dal campo tentati è stato del 37%, nettamente superiore alla migliore squadra dei playoffs in questo settore (32% dei Nuggets), alla loro media abituale durante la postseason (26%), e a quella normalmente concessa dai Lakers ai propri avversari dei playoffs (27%).

-I Lakers sono stati superiori ai Magic praticamente in tutte le categorie statistiche (tranne, come detto, la percentuale di liberi tentati): efficienza, percentuali di tiro da due, da tre e dalla lunetta, palle perse, assist, rimbalzi difensivi ed offensivi; in quest'ultima categoria, in particolare, sono stati eccellenti, superando il 30% in tre gare su cinque, e faticando soltanto nella già  menzionata Gara2.

-I neocampioni, nel corso delle Finals, hanno migliorato il proprio bottino in tutte le categorie statistiche offensive e difensive rispetto al resto dei playoffs; il segno di un rendimento in crescendo, dimostrato dalle 6 vittorie nelle ultime 7 gare stagionali, chiudendo con due dominanti W in trasferta le ultime due serie (+13 in Florida e +27 a Denver, dopo aver rifilato un +29 casalingo ai Rockets); i loro playoffs si conchiudono senza aver mai perso due partite di seguito (e non ne perdono tre in fila, compresa la regular season, da quando è arrivato Gasol), rifilando agli avversari un differenziale medio di 17 punti nelle gare successive a ciascuna delle 6 sconfitte in questa postseason.

Per quanto riguarda gli onori individuali, le storie più gettonate sono state quelle di Fisher (che sale al terzo posto ogni epoca per triple segnate nelle finali, ad una sola lunghezza da MJ) ed Ariza (che ha impreziosito i propri playoffs tirando 40/84 da tre, a fronte di uno scouting report che, prima di questa stagione, diceva 16/70 – 22.8% – nel resto della sua carriera!), ma non si può omettere di tributare i giusti elogi ai lunghi gialloviola.

Pau Gasol, per cui molti pronosticavano una serie da incubo contro la potenza di Howard, ha chiuso la serie con il 60% dal campo, ma soprattutto ha costretto Superman ad un miserrimo 7/20 dal campo (con 24 liberi tentati) nelle 223 occasioni in cui Howard è stato marcato singolarmente dal catalano.

Andrew Bynum, da più parti etichettato come una delusione di questi playoffs, nei pochi minuti giocati ha comunque tenuto botta meglio del previsto (considerando la giovane età , l'esordio nelle Finals, la condizione fisica molto lontana dalla forma migliore): per Howard 12/20 dal campo (pesantemente influenzate dal 5/5 di Gara5 e dal 4/4 di Gara3) e 21 liberi tentati nei 183 possessi in cui è stato affrontato da Bynum; il giovane centro ha quindi concesso ad Howard soltanto 36 punti complessivi in tutta la serie, una prestazione più che onorevole.

L'efficacia dei due centri nel tenere botta contro Howard si è rivelata decisiva, permettendo ai gialloviola di raddoppiare Howard soltanto 34 volte su 414 palloni toccati, una percentuale inferiore al 100%: non ci sarebbero stati molti commentatori disposti a scommettere un dollaro su un Howard così poco incisivo nonostante marcature quasi esclusivamente individuali.

La maggiore sorpresa, però, è probabilmente rappresentata dal rendimento di Lamar Odom, che dopo le Finals dell'anno passato era stato il principale imputato della debacle gialloviola, a causa del suo solito rendimento “a corrente alternata” che lo aveva portato a scomparire letteralmente da alcune gare della serie con i Celtics.

Era opinione abbastanza diffusa tra appassionati ed opinionisti che le probabilità  di vittoria per i Lakers sarebbero dipese quasi esclusivamente da quante partite di finale avrebbero visto in campo l'Odom “buono”, quello che difende come pochissimi, va a rimbalzo con decisione e punisce le difese avversarie con il suo pennello mancino; nessuno però si sarebbe immaginato una serie offensiva addirittura da record personale, in cui il nuiorchese ha chiuso con il 54% dal campo, il 70% ai liberi ed il 50% tondo da tre punti (degna conclusione di una postseason da 51.2% complessivo, buono per il quinto posto assoluto): cifre strepitose per chiunque, e a maggior ragione per uno che non ha mai avuto nel tiro il suo punto forte, e che in carriera viaggiava al 31% dalla lunga distanza (25% ai playoffs), oltre ad essere famigerato per gli errori in lunetta nei momenti finali delle gare.

Ed infine, commentando il titolo dei Lakers, non ci si può esimere dal chiudere proprio con Kobe Bryant, che con queste Finals ha definitivamente piazzato il suo trono nel Valhalla degli eroi del basket NBA: chiude la serie con 30 punti e 7 assist abbondanti di media, raggiungendo un ristretto club composto da Jerry West e Micheal Jordan.

I suoi 43 minuti di gioco in Gara5 coronano (alla soglia dei 31 anni e nonostante svariati, inevitabili acciacchi, tra cui una lesione ad un tendine della mano con cui tira, riacutizzatasi proprio nel corso delle finali) un ineguagliato tour de force di 208 partite NBA consecutive tra regular season e playoffs, “intervallate” (si fa per dire) dalla partecipazione al torneo olimpico del 2008.

Amazing.

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