Bryant e Fisher: quattro titoli assieme…
Inizia nel 1996 la storia che ha portato i Los Angeles Lakers a vincere il titolo 2009: quell'estate è passata alla storia per la trade che portò in "purple gold" Shaquille O'Neal.
Per creare lo spazio salariale Jerry West spedì a Charlotte Vlade Divac, ricevendo in cambio i diritti di scelta su Kobe Bryant. Con la seconda scelta a disposizione puntò poi su Dereck Fisher, piccolo playmaker dal college di Arkansas Little Rock, che per l'americano medio non significa proprio nulla.
Giovedì scorso, un minuto dal termine del tempo supplementare, Bryant è andato in post basso; raddoppiato da Nelson ha messo la sua voglia di titolo nelle mani di "Da Fish", l'unico superstite della squadra con cui aveva già vinto tre titoli. L'amico non l'ha tradito con la tripla della vittoria.
In questa azione semplice, ridotta all'osso, è possibile riconoscere il tratto distintivo delle vittorie di Phil Jackson. C'è stato Paxson, poi Kerr, ora Fisher: l'iniziatore del gioco che non ha bisogno d'avere la palla fra le mani e, soprattutto, riesce a incidere sugli scarichi delle star: prima Michael Jordan, ora Kobe.
Per diventare questo tipo di giocatore Fisher ha dovuto lavorare.
Nei primi anni della sua carriera è stato considerato il play difensivo che in attacco non può portarti al titolo.
Fisher se l'è conquistato il credito di cui gode oggi: prima come cambio di Nick Van Exel, talentuoso ma troppo egoista per cedere qualcosa di suo a beneficio del gruppo, poi di Dereck Harper che al sole di Hollywood ha ballato un'unica stagione "dimezzata".
Il primo titolo per Fisher è arrivato da cambio tattico.
Phil Jackson, che nella prima parte della sua carriera ha sempre dimostrato di non amare gli esterni sotto il metro e novanta, chiamò a Los Angeles Ron Harper, il terzo membro del back court ai Chicago Bulls. Fisher era il cambio, mandato in campo per contenere le penetrazione di Trevis Best.
La definitiva consacrazione in quintetto per "Da Fish" arrivò l'anno successivo.
Fedeli al detto secondo il quale apprezzi davvero ciò che hai solo nel momento in cui ti manca, i Lakers patirono l'assenza del play per 60 partite di stagione regolare.
Nel frattempo il tempo e le ginocchia chiesero il conto a Harper.
La Los Angeles da 15 vittorie e 1 sola sconfitta ai playoffs, record condiviso con i Sixers di Billy Cunningham, nacque quando Jackson liberò in quintetto Fisher per completare un gruppo che, accanto alle due star, aveva uomini solidi e affidabili come Fox, Grant e soprattutto Horry.
I lunghi mesi di assenza per l'infortunio Fisher li aveva passati a tirare per sconfiggere la frustrazione, ma soprattutto per migliorare questo fondamentale. Il 60% dall'arco nella finale di conference contro i San Antonio Spurs (battuti 4-0 con due blow-out nelle partite allo Staples Center) furono il premio al suo impegno.
Phil Jackson sa bene di aver vinto a Los Angeles solo con il contributo decisivo di Fisher: non ci è riuscito con Gary Payton, sarebbe stato improponibile con lo Smush Parker che trovò a El Segundo all'inizio della sua seconda avventura "losangelena".
Gli allenatori tendono sempre a fidarsi dei giocatori che hanno fornito le giuste indicazioni. Ed ecco quindi la decisione di fidarsi ancora del "Pesce", richiamato da Salt Lake City con l'intenzione di renderlo il portavoce fra la stella e il resto di una squadra che spesso ha faticato a sopportarlo.
Kobe Bryant nell'ultimo anno e mezzo si è giocato gran parte della reputazione.
Una certa stampa non l'ha mai considerato più di un meraviglioso alfiere di Shaquille O'Neal, vero motore dei tre titoli.
In parte è vero; è facile però dimenticare il contributo che il giocatore cresciuto in Italia ha dato per scardinare le difese, specie in trasferta, quando servire il pivot sarebbe stato pericoloso per la sua idiosincrasia a segnare i liberi.
Un Bryant meno testardo, più disposto ad accettare le regole imposte da Jackson e dallo spogliatoio in cui ha voluto imporsi come leader, avrebbe spinto anche la stampa a dargli più credito. E a non dipingerlo come la star egoista che ne può segnare 81 in una gara sola ma non sarà mai la guida di un gruppo da titolo.
Glielo spiegò bene proprio il suo coach quando nel 2005 gli fece notare che se "tu sei pronto ad essere il leader di questa squadra, la squadra non è pronta ad accettarti come tale".
Molti di quei giornalisti ora lo stanno incensando fingendo di non vedere che i numeri attuali del giocatore sono simili a quelli dell'anno scorso, semmai leggermente in calo: 30.1 punti con il 47% dal campo in 21 gare di playoffs l'anno scorso, 30.2 ma con il 45.5 in 23 partite in quelli da poco conclusi. Ma d'altronde una legge sempre valida sostiene che "lo sport è solo attualità ".
Bryant nell'ultimo mese è stato il secondo giocatore della lega, costretto a inchinarsi di fronte all'irresistibile ascesa di James.
E' diventato poi il leader inevitabile al termine di una gara1 delle finali da annali dello sport per la determinazione e la grazia con cui ha segnato i suoi 40 punti. Fra gara3 e gara4 è stato il campione un po' stanco che rischia di sentire la fatica proprio a pochi metri dal traguardo.
E' finita con il quarto titolo.
Nel secondo periodo di gara5 in cui i Lakers hanno definitivamente abbattuto il muro dei Magic, il suo contributo è stato appena accennato. Ha giocato la squadra: Ariza, l'uomo che era mancato 12 mesi fa contro i Celtics, Odom e ancora Fisher.
Ma questa è la storia di Phil Jackson che ha basato la sua carriera sulla "Triple Post Offense" delle pari opportunità , ha vinto potendo contare sui giocatori migliori, ma ha mostrato al mondo come si allenano e responsabilizzano i giocatori che attorno ai migliori devono muoversi.
I due giocatori si sono a lungo abbracciati e parlati poco prima della premiazione ufficiale.
Possibile che l'abbiano fatto nuovamente, lontani dagli occhi delle telecamere, nella consapevolezza di essere i depositari di quella continuità che ha portato i Los Angeles Lakers a vincere nove titoli sotto la proprietà di Jerry Buss.
I purple-gold piazzano l'impresa a soli sette anni all'ultimo titolo dell'"era-Shaq", cinque dalla finale che segnò l'implosione di quel gruppo.
E' un battito di ciglia per i tempi di una lega in cui i Celtics hanno dovuto aspettare 20 anni, i Pistons 14, New York non vede l'anello dagli anni '70.