Giovani playmaker crescono

Rondo vs Rose sarà  sicuramente una sfida ad alto livello nei prossimi 10 anni…

Siamo giunti alle finali di conference e "fortunatamente" ora si gioca solo una partita a sera; questo vuol dire che non si viene sommersi ogni volta da un macigno di notizie, di highlights, di commenti che, specialmente quest'anno, esaltano il palato di noi malati di basket ma che possono portarci a non cogliere alcuni aspetti di certo importanti ma meno esposti o, ancora peggio, a sostituire troppo in fretta la memoria della sera precedente con quella della successiva.

Ora, che come già  detto si gioca solo una partita al giorno, il ritmo è comunque incalzante (figurarsi per chi gioca) però ci viene lasciato più tempo da dedicare, giustamente, alle piccole cose, ad un'analisi più approfondita di una partita, di una giocata o perché no, di un giocatore.

Ed è proprio in questo periodo che, tra una giocata di Anthony e una di Kobe, tra un buzzer di Anthony ed un'epifania del Dio Lebron, ho deciso di spendere un po' di tempo per parlare di tre playmaker che hanno giocato una grandissima postseason, in barba alla timidezza e alla loro carta d'identità .

I Celtics, che l'anno scorso costruirono una squadra che come obiettivo aveva chiaramente il titolo e che non avrebbe accettato nulla di meno, compirono quella scelta azzardata, da molti criticata, di affiancare ai "Big-Three" un playmaker, giovane, inesperto, atipico e che non aveva ancora mostrato i premi segnali del giocatore che sarebbe diventato.
Stiamo ovviamente parlando di Rajon Rondo.

Il futuro playmaker dei Celtics, a livello giovanile aveva mostrato sprazzi di talento; tanto per citarne un paio snocciolò 31 assist in una partita durante la stagione da senior ad Oak Hill Academy e fece vedere ottime cose al college agli ordini della Kentucky di Tubby Smith.

Fu girato, dopo il draft, dai Suns proprio ai Celtics che, da sempre visionari, lo resero un incastro necessario per quel titolo dopo non avergli quasi fatto vedere il campo nella sua stagione da rookie. Quello che fece Rondo durante la scorsa stagione però non è importante (riferendosi alla sua crescita come giocatore) quanto ciò che ha fatto quest'anno; l'anno scorso, con i Big Three al massimo della forma, Rondo non era altro che un aggiunta, un giocatore di contorno; le cose sono cambiate quest'anno quando i Celtics si sono presentati alla postseason privi del loro leader in campo e fuori.

Ciò che risulta incredibile è come, in una squadra che schiera due fuoriclasse come Ray Allen e Paul Pierce, Rajon abbia preso il testimone da Kevin Garnett, divenendo di fatto il faro dei Celtics, e giocando dei playoff di una maturità  stordente, a soli 23 anni.

La consacrazione vera e propria Rondo l'ha ottenuta nel primo turno, concluso da poche settimane, contro Chicago, una delle più belle serie di playoff di sempre, decisa solo in 7 gare e da 7 overtime; fino a gara 6 Rajon ha viaggiato clamorosamente in tripla doppia di media, salvo poi sfiorarla per chiudere "solamente" a 19.4 punti, 11.2 assist e 9.3 rimbalzi.

Magic, Lebron? No, le cifre appartengono a Rondo, di professione playmaker e ampiamente sotto i 190 cm. Non scambiamo per oro però tutto ciò che luccica, attenzione, ma Rondo è veramente uno dei giocatori del futuro, una di quelle personalità  che dovrà  traghettare la NBA nei prossimi 10 anni.

Chi lo critica per la mancanza di giudizio o per la sua difficoltà  ad interpretare i momenti della gara, si dimentica della sua ovvia inesperienza che comunque nel 90% dei casi non dimostra; il livello di attività  e di furia agonistica che mette in campo non ha attualmente eguali in NBA, la sua esplosività  in palleggio ricordano quella dell'Iverson di Philadelphia, il suo atletismo, che il fisico "normale" non direbbe mai, è pari a quello di gente come Nate Robinson.

C'è ancora da migliorare qualcosa sulla gestione e sull'interpretazione della partita e dei suoi momenti chiave, ma il suo talento smisurato, la sua abilità  nel coinvolgere i compagni e specialmente il suo spirito di sacrificio gli permetteranno di farlo divenendo, come dice Dan Peterson, il playmaker del futuro in un contesto per natura vincente quale è quello dei Celtics.

Un altro piccolo grande uomo è sicuramente Aaron Brooks; piccolo perché fatica ad arrivare al metro e ottanta, grande perché, catapultato nel pieno dell'azione, quando prima della trade che ha portato Alston in Florida faticava a vedere il campo dopo la fine del riscaldamento, ha saputo portare i suoi a poco da quella che sembrava per tuttu un'impresa impossibile.

I Rockets, per tradizione maledetti, si presentano alla sfida contro i temibilissimi Lakers con le due superstar in infermeria; se di una forse, senza fare nomi, i tifosi ne avrebbero comunque fatto volentieri a meno, l'altra, che possiamo riconoscere dai lineamenti asiatici appena marcati, e che aveva giocato un ottimo primo turno, sarebbe stata fondamentale.

Eppure i Rockets, senza le stelle, hanno compensato la dose non elevatissima di talento con una strabordante di cuore; l'emblema di questa "quasi impresa" non può che essere Aaron Brooks.

Brooks, al suo secondo anno nella lega, ha giocato dei playoff fantastici, trasformandosi nel leader che non sarebbe dovuto essere e divenendo il trascinatore dei texani nella mission impossible contro Los Angeles, nonchè il miglior realizzatore dei suoi nelle due belle vittorie di gara 4 e gara 6 segnando rispettivamente 34 e 26 punti.

Non una spiccata vena da passatore ma un gran palleggio, una maturità  inusuale, un tiro dalla lunga distanza mortifero, ed un gran cuore sono le doti di questo giovane playmaker che ha dimostrato di valere molto e su cui la dirigenza dei Rockets punterà  nelle stagioni a venire, che risulteranno essere quelle della verità  per la franchigia texana.

La notorietà  acquisita in questi tempi dal giovane Brooks è la giusta ricompensa per il lavoro svolto che non gli diede notorietà  né al tempo del draft, dove fu passato fino alla 26, né tantomento nella votazione per il rookie of the year.

La certezza però è che se questi due eventi fossero riproposti adesso, le quotazioni del piccolo uomo da Seattle sarebbero decisamente più elevate e ciò non può che consolare un grande lavoratore come Aaron, che comincia a vedere ora, e vedrà  probabilmente crescere sempre di più, i frutti del proprio duro lavoro.

Ultimo, ma non ultimo, in questa speciale lista è Derrick Rose.
La differenza principale con gli altri due giocatori di cui abbiamo parlato è che mentre Rondo e Brooks erano i tipici casi di giocatori inizialmente sottovalutati, qui si parla di un giocatore considerato un fenomeno già  dai tempi dell'high school.

Molte volte capita che un giovane venga gonfiato a tal punto da risultare poi una delusione; non è questo di certo il caso, perché Rose, considerato un giocatore di livello assoluto, tale si è rivelato all'atto pratico.

Scelto con la prima chiamata assoluta dai Bulls in un draft che proponeva grandi prospetti come O.J Mayo, Michael Beasley o Mario Chalmers, rispetterà  ogni aspettativa dividendo il ruolo di leader dei Bulls con Ben Gordon.

Verrà  eletto, quasi all'unanimità  rookie of the year, dopo una prima stagione estremamente incoraggiante. I Bulls pescano i Celtics campioni in carica al primo turno dei playoff, che si presentano orfani di Garnett e Leon Powe già  dalla prima partita.

Chicago è nettamente inferiore come squadra, specialmente a livello di esperienza, ma nonostante questo riuscirà  a far tremare il garden più volte, trascinata anche dal talento di Derrick Rose. Nella prima gara Rose fa 36, dico 36, con 11 assist; alla faccia del nervosismo da prima gara dei playoff.

Nel corso della serie lo scontro con Rondo sarà  sensazionale e vedrà  prevalere talvolta uno talvolta l'altro, dando sempre spazio ad un grande spettacolo tra due giovanissime che saranno destinati, senza giri di parole, a dominare questa lega.

Rose segnerà  due altre grandi prove specialmente in gara 3 ed in gara 6 dove metterà  a referto rispettivamente 23 e 28 punti. Anche qui comunque, bisogna migliorare, come ovvio che sia, la gestione dei possessi e la lettura della partita; specialmente nei minuti conclusivi di gara 5 e gara 7 Rose ha tenuto troppo la palla in mano, forzando qualche conclusione e incaponendosi nell'uno contro uno.

Detto questo, la base su cui lavorare, è comunque di primissima qualità , perché Rose è il perfetto prototipo playmaker del futuro: forte fisicamente, atleticamente spaziale e grande attaccante dal palleggio, ma che non rifiuta comunque soluzioni più "classiche" come il, tanto sottovalutato nella lega moderna, palleggio arresto e tiro, di cui risulta già  essere un grande artista.

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