Un Marbury di nuovo sorridente si gioca un'ultima chance con i Celtics
Alle ore 17.45 del 27 Febbraio 2009 ha avuto luogo la prima conferenza stampa di "Starbury" con la maglia dei Boston Celtics; dopo una lunga battaglia contrattuale con la dirigenza dei Knicks ottiene il buyout dalla società e quindi la possibilità di scegliere entro il termine per la firma dei free agent una nuova società . La firma é al minimo salariale, il contratto solo per la fine della stagione, la volontà , speriamo, é quella di conquistare un titolo al tramonto di una stagione inattiva e di una carriera incompiuta.
Sono un essere umano. Ho fatto degli errori ed ho imparato da questi. La sola cosa da fare é tenere duro ed andare avanti, sono venuto qui per aiutare i Celtics a vincere un altro titolo
Stephon Xavier Marbury nasce il 20 Febbraio 1977 a Coney Island da mamma Mabel e papà Donald "The major". Come spesso accade nei ghetti di New York le famiglie sono numerose e i soldi non avanzano; la famiglia Marbury non fa eccezione. Stephon è il sesto di sette fratelli, tutti giocatori di basket, tutti con una dose di talento troppo elevata per l'intelligenza concessa loro; i figli di Donald hanno giocato tutti in un college di prima divisione ma, almeno fino all'arrivo di Stephon, hanno sempre difettato della mentalità giusta per trasformare il loro rozzo e straripante talento coltivato nel "Garden" in qualcosa di controllato, qualcosa che li avrebbe portati alla NBA.
Per dare un'idea generale possiamo parlare del maggiore dei fratelli, Eric, detto Spoon, stella della Lincoln High School, (liceo che domina da anni il campionato delle scuole pubbliche di New York) che fu reclutato da Georgia University, e arrabbiato per una scelta di coach Durham, commise un'infrazione di passi volontaria nel possesso decisivo delle final four di un torneo nazionale.
Se gli altri fratelli di sangue di Stephon seguirono la falsa riga del fratello maggiore, un minimo di interesse meritano i cugini dal lato materno: Sebastian Telfair, detto Bassy milita attualmente nei Minnesota Timberwolves dove gioca discretamente con quasi 10 punti e 5 assist per gara pur non avendo mantenuto le aspettative dell'high school dove era ritenuto un talento straordinario come suo fratello minore, Ethan, considerato oggi uno dei maggiori talenti liceali del paese, frutto proibito per molti college di Division One.
Scendere dalla Subway D al capolinea Coney Island riserva a tutti gli amanti del cinema noir una grande emozione; la vista dei palazzoni, delle baracche, dei playground degradati e della celebre wonder wheel ( la ruota panoramica del parco di coney Island costruita alla fine dell'800) non puà³ che ricordarmi "The Warriors" e gli urli di battaglia di Swan, mentre passeggiare a Surf Avenue, accarezzato dalla brezza marina e accompagnato dall'infrangersi delle onde sulla passerella di legno, mi riporta al celebre spezzone di "He Got Game" in cui Denzel Washington spiega al figlio, un giovane Ray Allen, che il suo nome biblico è dovuto ad Earl Monroe, "The Pearl" nell' NBA e "Black Jesus" sotto il sole di Brooklyn.
Il talento di Stephon è una cosa che non si puà³ discutere.
"In una determinata notte puà³ essere il miglior giocatore della lega. Ed è una cosa che va rispettata" (Shaquille O'Neal).
Cià³ è ampiamente provato dai numeri, per anni è stato l'unico giocatore oltre ad Oscar Robertson ad avere una media in carriera di oltre 20 punti e 8 assist a partita; se è vero che ha sfasciato ogni spogliatoio in cui si è presentato è altrettanto vero che dovunque sia andato ha incantato la platea con le sue strepitose giocate, come quando nella stagione 2004-2005 con la casacca dei Knicks, rubata la palla a Jacque Vaughn segnà³ allo scadere l'incredibile canestro della vittoria contro i Nets o ancora quando segnà³ 45 punti di cui 38 nel solo secondo tempo (record di ogni epoca per i Knicks) contro i Mavs in stagione regolare.
Questa è solo una parte della vicenda, ma come in ogni storia che si rispetti, le medaglie hanno sempre due facce; l'altra è quella che porta Marbury ad essere ormai odiato dalla dirigenza e dalla tifoseria newyorkese che è dura per carità , ma non ingiusta, specialmente con i ragazzi cresciuti nei sobborghi della City; c'è da dire che Starbury le ha combinate di tutti colori: ai Wolves, nel '99, chiese di essere ceduto perché percepiva uno stipendio minore rispetto a quello di Kevin Garnett, nella New York di coach Larry Brown fu protagonista di infiniti battibecchi per concludere in bellezza l'anno scorso in cui fu multato per 200 mila dollari da Donnie Walsh perché, chiamato in campo, si rifiutò di giocare.
Oggi Marbury non è piຠil giocatore di un tempo.
L'anno trascorso lontano dal campo da gioco ha inevitabilmente indebolito il suo gioco, ridotto la fluidità¡ dei suoi passaggi, la velocità¡ dei suoi palleggi, la precisione del suo tiro.
La speranza di Danny Ainge e della tifoseria di Boston è che la lontananza dal basket sia stata motivo di riflessione, e che abbia potuto migliorare il suo rapporto con l'allenatore e con i compagni di squadra, da lui sempre visti come un peso, una zavorra al suo talento ed una minaccia alla sua leadership.
Attualmente Marbury sta accettando il ruolo di riserva nei Celtics, segna all'incirca 5 punti per gara e non ha ancora mostrato sprazzi del talento di qualche anno fa; Stephon è ora costretto dagli ultimi, ingloriosi anni, a dimostrare che la sua superbia e la sua testardaggine possono essere sconfitte dalla sua forza d'animo e dalla sua disciplina mentale e per farlo non vi sarà¡ luogo né momento piຠadatto dei prossimi playoff, teatro che rappresenterà per lui, senza dubbio, the last chance.