Lamar Odom, to be or not to be

Urla e determinazione per Odom

Lamar, essere o non essere?. Questo è il dilemma!

Quando sbarcò nel pianeta NBA Lamar Joseph Odom, nato il 6 novembre 1979 a
South Jamaica, nel Queens di quella che una volta chiamavano Nuova Amsterdam e
ora chiamano Grande Mela, era un grandissimo prospetto e molti lo avvicinavano
a grandi del passato tra cui Magic Johnson.

E dopo essere stato scelto, proveniente dall'università  di Rhode Island, al
draft del 27 giugno 2001 dai Los Angeles Clippers alla chiamata numero 4
assoluta, passando per Miami in casacca Heat è giunto infine a giocare nello
stesso palazzetto e a vestire gli stessi colori del fantastico atleta a cui lo
paragonavano per fisico e proprietà  di palleggio.

Difatti nella maxi trade che portò nella ridente Florida Shaquille "The Diesel"
O'Neal a vestire la maglia Heat e nella soleggiata California Caron Butler,
Brian Grant e lo stesso Lamar Odom a fregiarsi dei colori giallo-viola Lakers.

Da quando è arrivato ai Lakers Lamarvelous ha fatto vedere il meglio e il
peggio di sé.
Nelle prime stagioni in cui era il secondo violino di Kobe la pressione lo
schiacciava e quasi mai risultava decisivo in un match punto a punto nonostante
il suo soprannome di pennello per le opere artistiche che riesce a dipingere
con la mano sinistra.

Dopo la prima metà  stagione a Hollywood sotto l'egidia di Rudy Tomjanovic e la
seconda metà  passata a vedere quello che ha il nome di una bistecca giocare da
solo, il non contentissimo Odom vede tornare alla corte di Jerry Buss il coach
Zen dei nove anelli. Phil Jackson.

L'idea del coaching staff è di affiancare a Kobe un Lamarvelous con più
responsabilità , come fu per Jordan Scottie Pippen nella Chicago dei due three-
peat.

Nella triple post offense di Tex Winter Lamar sembra davvero devastante e
quando accende la luce i losangelini volano letteralmente e il giocatore
finisce la stagione con oltre 5 assist e più di 14 punti e quasi 10 rimbalzi.

Nella stagione seguente inizia a intravedersi un giovane centro di nome Andrew
Bynum che affancato a Kobe e Lamar cresce bene, molto bene, fino all'esplosione
dell'anno passato che fece diventare i Lakers una squadra molto temibile a
Ovest.

Poi, improvvisamente, un fulmine a ciel sereno: Andrew Bynum, il giovane centro
della squadra, si infortuna al ginocchio e ai Lakers sono costretti a muoversi
sul mercato ed ecco che lo scorso febbraio Mitch Kupchak manda a Memphis Kwame
Brown, la tessera di previdenza sociale di Aaron McKie, il neofita Javaris
Crittenton, un quarto di prosciutto di Parma, due culatelli e altri rimasugli
tra cui però Marc Gasol, gioiellino del Barcellona, in cambio del fratello
maggiore del suddetto: Pau Gasol.

E' una trade che cambia completamente gli equilibri della lega e della squadra
angelina.
Lamar passa da secondo violino a terza punta d'attacco dei Lakers, le
responsabilità  diminuiscono e il rendimento cresce fino ai playoffs, fino alle
finals NBA.

Se durante le serie precedenti Odom avevo svolto il suo compito in modo
diligente, nelle finals il giocatore si nasconde, non è decisivo, non mette i
punti che servono, soprattutto al Td Banknorth Garden dove prende ripassate
clamorose da Kevin Garnett.

E' un duro colpo da digerire per il giocatore che unitamente a Gasol,
ribattezzato Gasoft, viene accusato di essere molle e poco decisivo nei momenti
chiave e inoltre gli viene imputata una grave carenza di cattiveria e
continuità .

La stagione 2008/2009 riparte con i vice campioni del mondo carichi e decisi a
cambiare la storia finale che l'anno prima li ha visti perdenti: a Los Angeles
vogliono l'anello.
Odom è pronto a dimostrare tutto il suo valore; ma dove è Lamar?

Coach Zen lo lascia in panchina, i due lunghi titolari sono Gasol e Bynum
rientrato dall'infotunio.
Lamar accetta la situazione e anche partendo dal pino si ritaglia minuti
importanti, soprattutto difensivamente, e tutti i finali decisivi di partita li
gioca lui mentre il bimbo Drew guarda dalla panchina. E' un lusso avere Odom
come sesto uomo e i Lakers sfruttano a dovere la situazione.

Poi, improvvisamente, un fulmine a ciel sereno: nello stesso palazzetto della
scorsa stagione, nello stesso periodo dello scorso anno Andrew Bynum che
arrivava da prestazioni monstre e incoraggianti per il futuro si infortunia
nuovamente al ginocchio.

E' il momento di Lamar Joseph Odom. Molti si chiedono se è maturato ormai a 29
anni? Se gli ha fatto bene passare metà  stagione come sesto uomo? Se potrà 
prendersi ora le responsabilità  che prima non prendeva? Se ha imparato le
lezioni delle scorse finals?

Come sempre accade solo il campo può dare una risposta certa.

Lunedì 2 febbraio i Lakers sono di scena nella città  che ha dato i natali a
Odom contro i Knicks del nostro compaesano Danilo Gallinari che stanno
attraversando un periodo di grande forma. E' la notte dei 61 punti di Kobe
Bryant al Madison Square Garden ma è la notte anche dei 14 rimbalzi di Lamar,
anche se raccolti comtro il nulla dei lunghi newyorkesi escluso l'ultimamente
ottimo David Lee.

Unitamente ai 14 rimbalzi però Lamarvelous mette a referto anche 6 punti e
smazza 4 assist segnali di piccola ripresa dopo molte partite che non partiva
in quintetto titolare, in considerazione del fatto che "quell'altro" con la
maglia numero 24 a cui piace tanto essere chiamato Mamba aveva leggermente
monopolizzato l'attacco.

Dopo la Big Apple i ragazzi della città  degli angeli atterrano all'Air Canada
Center per affrontare i Toronto Raptors dell'altro nostro connazionale Andrea
Bargnani.
Il meraviglioso Lamar gioca 34 minuti e mette a referto 13 punti con 6 su 13
dal campo, 6 rimbalzi di cui 5 nella sua metà  campo, 1 assist e 2 stoppate. Il
ragazzo stenta a carburare e ancora non incanta ma sembra concentrato al punto
giusto e pronto ad esplodere.

Poi il destino spesso beffardo gli offre una chance. La chance. Coach Jackson
vede i suoi giocatori riscaldarsi sul parquet dove nello scorso giugno erano
usciti umiliati con il punteggio, in gara 6 delle finali, di -39. Lamar parte
in quintetto e sembra subito in partita, fa a sportellate con Kevin Garnett,
segna, fa segnare ed è sempre nel vivo del gioco e, caso anomalo, si fa
rispettare sia nella propria metà  campo sia nella metà  campo avversaria. E'
molto aggressivo nell'attaccare l'uomo e il canestro e Garnett sarà  costretto a
spendere su di lui alcuni falli che gli costeranno il seguente sesto fallo e il
fouled out a 4 minuti dalla fine del quarto periodo.

Lamarvelous gioca 35 minuti e mette a referto 20 punti con il 60% dal campo e
una tripla molto importante. Inoltre colleziona 6 rimbazli e 3 assistenze, ma
soprattutto mette in mostra muscoli, voglia, cattiveria, energia e un
plus/minus di +8, il più alto, unitamente a Gasol della sua squadra.
Probabilmente se Kobe avesse giocato meno in proprio gli ultimi minuti del
quarto periodo e avesse cavalcato di più il sorprendente Lamar la partita non
sarebbe arrivata ai supplementari.
Un indizio.

Sembra una delle classiche serate in cui il gioiello di Rhode Island si sveglia
e predica il basket più amato dai puristi e pennella con il suo mancino giocate
spettacolose.
Ovviamente la sua discontinuità  non fa presagire nulla di buono per l'ultimo
viaggio a Est, nell'imbattuta Quicken Loans Arena del re Lebron James.
Molti addetti ai lavori affermano che non potrà  giocare un'altra partita a
questi livelli e che il suo peggior difetto tornerà  a galla.

Invece, l'8 febbario, Lamar Odom sbanca da MVP indiscusso l'Arena dove nessuno
quest'anno era riuscito a vincere.

Difatti la partita inizia nel refrain del duello Kobe-Lebron e il 24 angelino
non si fa aspettare infilando molti punti nei primi due quarti nonostante
vomito e quant'altro, mentre il prescelto nicchia e preferisce smistare
assistenze, saranno 12 alla sirena finale.

Lentamente, nel frattempo, sale alla ribalta Lamar Odom.
I primi due quarti gioca con la squadra e per la squadra e il primo tempo
finisce sul punteggio di 61-51 in favore della squadra casalinga che per
l'occasione vestiva magliette vintage, per la gioia del merchandising e degli
NBA store sparsi nel mondo che sentitamente ringraziavano.
Il giocatore non sembra rimasto al Garden di Boston anzi sembra più vivo che
mai e coaudivato da Gasol tiene a galla i Lakers con un Bryant a mezzo servizio
nonostante i 19 punti finali con 3 rimbalzi e 2 assist.

Poi, all'improvviso, il terzo quarto.
Si riparte, dicevamo dal 61-51 Cavaliers, da qui in poi Lamar trascina i
Lakers con uno spettacoloso One-man Show condito da schiacciate, rimbalzi
offensivi e difensivi, urla in faccia al prescelto, a Zydrunas e Varejo, al
pubblico di casa, incitazioni ai compagni da vero leader che grazie al
microfono della Espn wired anche il pubblico da casa ha potuto godere.

Solamente nel terzo periodo mette a referto 15 punti e 10 rimbalzi violentando
cestisticamente il malcapitato J.J. Hickson troppo giovane per contrastarlo.
Alla fine del match per il numero 7 gialloviola saranno 28 i punti totali con
13 su 19 dal campo conditi da 2 triple, 17 i rimbalzi di cui sette strappati
nella metà  campo avversaria e uno spettacolare strappato dalle mani del numero
23 dell'Ohio, 2 gli assist, 1 stoppata per un plus/minus di +9 in 38 minuti di
gioco. MVP della partita.

Dirà  a fine match: "E' stato un grande match per noi che sapevamo non avere
Kobe al 100% perchè stava male. Tutto ciò mi ha aiutato a restare concentrato.
Dopo questa lunga trasferta sono pronto a tornare a casa e mettere i miei piedi
nella sabbia"
.
Un vero leader.
Due indizi.

A questo punto si sa, se 2 indizi non fanno una prova, aspettiamo il terzo ben
consci che se è questo il Lamar Joseph Odom dei Lakers allora come direbbe
coach Peterson: “mamma butta la pasta”, io i miei dieci dollari educati li
punto sui Lakers vincenti a giugno. Resta da vedere se sarà  questo il Lamar
Odom durante i playoff quando la tensione sale.

Sembra cresciuto, forse la vicinanza di coach Zen e l'esperienza delle scorse
Finals l'hanno fatto maturare definitivamente.

In America si chiedono Lamarvelous or not-so-Lamarvelous.
Essere o non essere, questo è il dilemma Lamar, sta a te risolverlo.

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